lunedì 31 maggio 2010

Ecco l'aborto con la RU 486

Una donna: vi racconto lo strazio infinito del mio aborto facile con la Ru486

di Gianfranco Amato

Non fatevi ingannare. La pillola abortiva RU486 non è affatto un’alternativa dolce all’intervento chirurgico. Le pillole da prendere, in realtà, sono due: con la prima si uccide il feto, con la seconda, da assumere due giorni dopo, si causano le contrazioni necessarie per la sua espulsione.Questo sistema per procurare l’aborto chimico viene spacciato come un metodo più semplice e psicologicamente accettabile di quello chirurgico. Un metodo più moderno, più rispettoso dell’integrità fisica e psichica della donna, meno invasivo e meno rischioso. In realtà, l’esperienza di molte donne che sono ricorse alla RU486 racconta un’altra storia.

Dopo che hai ingoiato la prima pillola, sai che quel giorno stesso tuo figlio morirà, e resterà attaccato lì, morto, dentro il tuo ventre. Il suo cuoricino, che il giorno prima hai ascoltato durante l’ecografia, smetterà di battere. Per sempre. È l’effetto della prima pasticca, che tu devi mettere in bocca da sola, perché da sola sei lasciata a sopprimere quella vita che tu stessa hai deciso di eliminare.

Lo capisci subito la sera stessa che quel figlio è morto, perché senti improvvisamente sparire tutti quei segni di gravidanza che le donne ben conoscono, primo fra tutti il seno più turgido, e quella piccola tensione del basso ventre tipica dei primi mesi di gravidanza.

Poi viene il momento peggiore: quello dell’attesa. Devi aspettare tre lunghi giorni, nei quali continui a fare quello che hai sempre fatto, lavorare, camminare, mangiare, dormire, andare al cinema. Cerchi di distrarti, ma sai che hai quel “coso” morto lì dentro che deve essere eliminato, espulso, cioè abortito.

In quei tre giorni, poi, hai tutto il tempo per pensare e riflettere su quello che ti è accaduto e che ti accadrà, hai il tempo per pregare e per piangere. Ti senti una specie di assassina in libertà e ti chiedi perché mai hai accettato questo maledetto metodo. Arrivi persino a pensare che forse sarebbe davvero stato meglio far fare tutto al medico. In anestesia, in sala operatoria, non avresti sentito né provato nulla, ti saresti risvegliata pulita e liberata dal tuo problema. Tutto sarebbe durato meno di un’ora.

Invece, dopo quei tre lunghissimi giorni di attesa, devi ripresentarti in ospedale per la seconda pillola, nella speranza che tutto finisca più in fretta possibile. Anche quella pasticca ti viene messa in mano e sei tu che la devi mandare giù. Sei tu l’unica e sola mandante e autrice di un piccolo omicidio, quello del tuo figlio mai nato, e senti che una parte di te sta per sparire per sempre, che non tornerà mai più ed è una sensazione solo tua, di solitudine, che non condividi nemmeno con l’anonima infermiera che ti consegna la pillola nella garza sterile. A quel punto però la ingoi subito perché speri che tutto finisca più in fretta possibile.

Non sai ancora che, da quel momento, ti prepari ad assistere, a partecipare e a effettuare il tuo “avveniristico” aborto terapeutico (rectius, chimico o farmacologico). Intanto, oltre alla situazione dolorosa, vieni pervasa dall’ansia dell’arrivo dei dolori fisici. I medici ti spiegano che si tratterà di una sorta di minitravaglio, con qualche contrazione uterina, lievemente dolorosa, ma essenziale per provocare il distacco del feto, ormai morto, dalla parete uterina e per la sua espulsione, e che comunque sarebbe stato eliminato facilmente, misto con del sangue. I medici ti spiegano che sarà come avere delle mestruazioni più dolorose del solito.

Invece il dolore è molto più forte, le contrazioni molto più lunghe e la consapevolezza di quello che sta avvenendo rende tutto più nauseante, orribile e terribile insieme. E assistere a tutto questo diventa insopportabile. Piangi per il dolore fisico, ma soprattutto per il dolore dell’anima, per la partecipazione attiva a un evento che mai avresti voluto vivere e osservare da così vicino.

Poi, quando tutto è finito, quando tutto è compiuto, la procedura ti obbliga anche a verificare di persona che effettivamente l’aborto farmacologico sia ben riuscito, per cui ti viene effettuata l’ecografia di controllo, che trasmette dallo schermo l’immagine pulita del tuo utero non più “abitato”, ma vuoto e libero dal corpo estraneo che si è voluto medicalmente eliminare. Non si sente più nessun battito galoppante, nessun segno di vita, ma solo silenzio di morte. E un infinito, straziante senso di colpa.

La descrizione che ho fatto non è frutto di creatività letteraria ma corrisponde, purtroppo, alla drammatica testimonianza resa da una mia collega, un’avvocatessa di trentaquattro anni, che ha avuto la disavventura di ricorrere all’aborto chimico cinque anni fa, quando la Regione Toscana ha deciso di attuare la somministrazione della RU486 in via sperimentale. La testimonianza rende drammaticamente l’idea di quanto poco di “dolce” ci sia nella tanto decantata pillola abortiva RU486.

Se non si ha il coraggio di osservare la realtà per quello che essa è, si rischia sempre di restare prigionieri dei luoghi comuni dell’ideologia. E facili prede degli ingannevoli messaggi subliminali del Potere.

www.ilsussidiario.net

giovedì 20 maggio 2010

SPOT PRO-ABORTO IN GB

Gran Bretagna: primo spot tv pro aborto

La pubblicità, promossa dalla «Marie Stopes International», sarà trasmessa lunedì su Channel 4

Un'immagine della campagna pubblicitaria
Un'immagine della campagna pubblicitaria
MILANO - Alle 22.10 di lunedì 24 maggio Channel 4 trasmetterà uno spot di 30 secondi a favore dell’aborto, cosa mai successa prima su una televisione britannica, durante la prima puntata del nuovo show «The Milion Pound Drop», presentato da Davina McCall. Dietro alla campagna pubblicitaria, che ha scatenato la durissima presa di posizione dei gruppi antiabortisti e della Chiesa, che ne chiedono la messa al bando all’Advertising Standards Authority almeno fino a che un pubblico dibattito non decida altrimenti, la «Marie Stopes International», un’associazione no-profit che pratica circa 65mila interruzioni di gravidanza l’anno, ricevendo oltre 30 milioni di sterline (pari a quasi 35 milioni di euro) dal Servizio Sanitario inglese (così sostiene il quotidiano britannico Daily Mail). Ed è proprio quella dicitura - “no profit” - ad aver permesso alla «Marie Stopes» di aggirare il divieto alla trasmissione di pubblicità pro aborto che vige in Inghilterra, sfruttando una lacuna legislativa secondo la quale le organizzazioni senza fini di lucro non sarebbero soggette a tale restrizione.

LO SPOT - Come stabilito dalla «Clearcast Uk» (organizzazione che si occupa della visione dei corto pubblicitari), lo spot andrà in onda per tutto il mese di giugno e se il primo verrà trasmesso dopo le 21, quelli successivi non avranno alcuna limitazione oraria, anche se ci sarà un minimo di controllo per impedire che vengano mostrati nelle trasmissioni dedicate ai minori. «Channel 4 è un’emittente finanziata con denaro pubblico – ha tuonato Simon Calvert del “Christian Institute” – e, pertanto, deve rassicurare i telespettatori che, permettendo la trasmissione di quello spot, non sta prendendo alcuna posizione su uno dei più controversi temi della nostra società, che divide pubblico e Parlamento. Mi chiedo, però, perché non si possa fermare la messa in onda di una pubblicità che parla di aborto fino a quando non vi sia stata un’adeguata analisi. Di certo, alla “Marie Stopes” non dovrebbe essere consentito di calpestare le obiezioni largamente diffuse di una parte considerevole del pubblico britannico su questo controverso argomento. La gente, già probabilmente scioccata nell’apprendere quanto denaro pubblico viene dato all’associazione per eseguire gli aborti, lo sarà ancora di più nel sapere che parte di quel denaro viene usato per promuovere iniziative a favore dell’aborto».

DETTAGLI - Malgrado i dettagli dello spot siano ancora segreti, stando a quanto scrive il giornale, il leit-motiv dovrebbe essere la frase “Sei in ritardo?” (riferita al ciclo mestruale) che scorre su immagini di donne preoccupate, mentre la parola “aborto” non verrebbe pronunciata. «Questo spot intende solo fornire delle informazioni - ha spiegato Julie Douglas, direttore marketing della “Marie Stopes” – così che le donne sappiano a chi possono rivolgersi senza essere giudicate. Malgrado le statistiche dicano, infatti, che in Inghilterra una donna su tre avrà un aborto entro i 45 anni, l’argomento non viene ancora affrontato apertamente e discusso con obiettività». Una tesi che, però, gli antiabortisti rifiutano in toto, condannando senza appello la messa in onda dello spot e l’argomento che tratta. E le prese di posizione contrarie sono davvero trasversali e se l’associazione «ProLife Alliance» mette in guardia sul fatto che la pubblicità non fornisca «informazioni complete sullo sviluppo del feto, sulla procedura stessa dell’interruzione di gravidanza, sui rischi a cui si espongono le donne e sulle eventuali alternative all’aborto» e la «Society for the Protection of Unborn Children» annuncia via «Daily Telegraph» il ricorso all’azione legale per stabilire «La legittimità di uno spot che reclamizza l’uccisione di bambini non ancora nati», la «Family Education Trust» sottolinea come l’aborto sia «una tragedia personale per mamma e bambino». Ma Channel 4 rigetta le critiche, sostenendo di non aver infranto alcuna regola. «Riteniamo – si legge nella nota di un portavoce dell’emittente - che siano i telespettatori che si debbano fare un loro giudizio sul contenuto della pubblicità e sul messaggio che essa vuole trasmettere». E a meno di clamorosi colpi di scena, lunedì sera l’Inghilterra intera vedrà in diretta tv il primo spot a favore dell’aborto.

Simona Marchetti

fonte: www.corriere.it

sabato 15 maggio 2010

TROPPI ABITANTI?

MALTHUS NON FA PIU' PAURA

di Gianfranco Fabi

In questo inizio del XXI secolo, in maniera del tutto silenziosa, sta avvenendo la svolta più significativa nella storia dell'umanità. Per la prima volta infatti dai tempi di Adamo ed Eva la crescita della popolazione mondiale non aumenta più di velocità, ma inizia a rallentare fino a lasciare prevedere nel giro di pochi decenni il raggiungimento di una sostanziale stabilità. Ci sono voluti dodici anni, sia dopo il 1975 sia dopo il 1987, per aggiungere un miliardo alla popolazione mondiale passando a cinque e poi a sei miliardi. Ora ce ne vorranno almeno 14 di anni per raggiungere i 7 miliardi con una popolazione che entro la fine del secolo, forse senza riuscire a toccare i 9 miliardi, inizierà gradualmente a diminuire.

Nei paesi industrializzati, tranne che in Francia e paesi scandinavi, il tasso di natalità è già ora tale che solo con l'immigrazione si mantiene una pur limitata crescita della popolazione. Ma anche nei grandi colossi mondiali il processo di riduzione del tasso di natalità appare ormai irreversibile. Più velocemente in Cina, più lentamente in India l'effetto congiunto del maggiore benessere e della diffusione dell'educazione, dei metodi anticoncezionali e dell'aborto stanno portando la natalità al di sotto della soglia di sostituzione.

Appare quindi definitivamente superata la drammatica profezia di Thomas Robert Malthus, il reverendo inglese che alla fine del Settecento con il suo Saggio sul principio di popolazione e i suoi effetti sullo sviluppo futuro della società diede il via a una corrente di pensiero che ha progressivamente aumentato nei secoli i propri discepoli. Contribuendo tuttavia a creare l'illusione che le politiche demografiche potessero sostituirsi agli interventi reali per favorire la crescita.

Le profezie di Malthus non si sono avverate. Il mondo è ben lontano dai più di duecento miliardi di abitanti a cui si sarebbe dovuto arrivare se si fosse mantenuta la crescita con progressione geometrica indicata dal reverendo inglese. E il sottosviluppo e la povertà sono del tutto riconducibili più alla corruzione, all'inefficienza, al protezionismo e alle ambizioni dei poteri politici, spesso dittatoriali, che alla pressione demografica.

Nella storia del mondo la crescita della popolazione è stata sempre affiancata da progressi nella tecnologia, nei metodi di coltivazione, nell'efficienza della produzione e dei commerci. Ora come afferma Fred Pearce, giornalista di New Scientist, nel suo Il pianeta nel futuro, «stiamo uscendo dalla più massiccia espansione demografica della storia umana»: ci avviamo a un mondo in cui i problemi saranno sempre più l'esatto contrario di quanto temuto da Malthus.

Le società occidentali, e soprattutto l'Italia, si trovano già ora a dover fare i conti con la bassa natalità, per l'allungamento della vita media, per la scarsa partecipazione femminile al lavoro, per l'alta età media in cui i giovani trovano un'occupazione. Con la necessità di gestire un'immigrazione altrettanto indispensabile, quanto complessa sotto il profilo sociale. Senza dimenticare che il calo demografico dell'Occidente rientra sempre più spesso, nel giudizio degli economisti, tra le cause strutturali della crisi che ha investito negli ultimi anni il sistema economico.

fonte: www.ilsole24ore.it

giovedì 13 maggio 2010

NOI STIAMO CON IL PAPA

Il Movimento per la Vita il 16 maggio in piazza san Pietro insieme al mondo cattolico

Il Movimento per la vita sarà in piazza San Pietro, domenica 16 maggio, come proposto dalla Consulta nazionale delle aggregazioni laicali (Cnal) per la recita del Regina Coeli per rinnovare al Papa il più profondo affetto e e la gratitudine per un magistero tenace e infaticabile.

In una lettera aperta al Santo Padre, pubblicata dal mensile SiallaVita il presidente Casini scrive: “Sentiamo anche noi una stretta al cuore quando leggiamo di preti che hanno tradito nel modo più ignobile la loro vocazione” che non fa dimenticare gli incommensurabili meriti della Chiesa ma che “crea il tumulto nei cuori e nelle anime di tanti credenti” che assistono al tentativo di “una Potenza Nemica che approfitta della fragilità, della colpa, della malattia di alcuni per aggredire Lei, la Chiesa, la sua missione”.

“È quanto meno simbolicamente assai significativo che gli ultimi attuali attacchi contro la Chiesa e anche contro di Lei, Santo Padre, giungano in un momento in cui la Sua voce e quella dei vescovi, si è fatta particolarmente forte per proclamare il diritto dei più piccoli e deboli, quali sono, in particolare, i bambini non ancora nati”. E proprio nella convinzione che “
questa è la Chiesa dei poveri. Quella che non teme la solitudine, la reazione rabbiosa, persino l’abbandono quando si mette dalla parte degli ultimi”, che Santo Padre, i credenti possono ritrovare “la pace del cuore e l’entusiasmo per un rinnovato impegno” che nessun tradimento, neppure il più turpe potrà scoraggiare.

fonte: ufficio stampa MpV

TEMPO DI RIFORME. E IL DIRITTO ALLA VITA?

Per salvare dall’aborto i bambini non ancora nati occorre riconoscere che sono bambini anche prima della nascita

di Carlo Casini (Presidente MpV Italiano)

D
opo l’episodio dell’abbandono di un bambino abortito a Rossano Calabro, rimasto vivo per molte ore, un amico medico, presidente di un Cav (Centro di aiuto alla vita) ha fatto circolare con la posta elettronica un duro e dolente commento che critica la stampa cattolica e me stesso perché avremmo «stigmatizzato» il fatto senza sottolineare «la barbarie di questa legge che ha legittimato questo aborto».

Poiché tra pochi giorni (22 maggio) ricorrerà il 32° anniversario della L.194 e, come stiamo facendo da trentadue anni, dovremmo porci la domanda «che fare?», vale la pena riflettere sulla contestazione sostanzialmente rivolta dall’amico medico alla linea sin qui seguita dal Movimento per la vita e da gran parte del cosiddetto «mondo cattolico».

L’amico scrive:
Se il bambino fosse morto subito nessuno si sarebbe scandalizzato, e bravi sarebbero stati quei medici «rispettosi» della legge. Ma è sopravvissuto e perciò essi sono da condannare, saranno oggetto di severa ispezione dagli Ispettori dell’on. Roccella, perché non hanno saputo fare un buon «lavoro». Quel bimbo che doveva morire di aborto, è stato invece lasciato agonizzante e bisognava rianimarlo. Non per pietà (lo si voleva morto!), ma per rispettare questa legge che qui mostra l’aspetto più diabolico…[…] Qualche ora prima, nel grembo materno, era considerato carne da macello, ancor più perché (forse) era malato. C’è da impazzire di fronte a questa spaventosa contraddizione: è come se si gridasse allo scandalo se, dopo averla massacrata di botte, un killer abbandonasse una persona agonizzante e anziché condannarlo per questa violenza, se ne deplorasse il mancato soccorso per rianimarla.

Chi è più coerente qui, il killer che omette il soccorso di una persona che voleva uccidere dopo averla ridotta in fin di vita, o chi, come 'Avvenire' non vuole riconoscere che il killer ha ricevuto piena legittimità a fare ciò che ha fatto da una legge dello Stato? Noi non vogliamo rispettare la 194, né applicarla meglio. La vogliamo abrogare!


Non si può nascondere l’orrore della contraddizione evidenziata in questo messaggio, anche se in questo caso una corretta applicazione della legge avrebbe impedito l’aborto, che non doveva essere effettuato in quanto esisteva quella «possibilità di vita autonoma» che, secondo l’art. 7 della legge, consentiva l’Ivg (interruzione volontaria di gravidanza) solo per il pericolo di vita della donna. Ma la contraddizione resta perché quel bambino restava bambino anche se l’aborto fosse intervenuto qualche settimana prima. Tuttavia è ingiusto sospettare di rassegnazione e di conseguente reticenza nel proclamare l’iniquità della legge il sottoscritto e 'Avvenire'. I fatti e la storia parlano da soli. Piuttosto bisogna riflettere sulla strategia da seguire affinché la «non rassegnazione» possa davvero esplicarsi in modo efficace.


Realismo, per non rassegnarsi


Il grido «noi non vogliamo rispettare la legge, né applicarla meglio. Noi la vogliamo abrogare» esprime davvero l’obiettivo ultimo?

Oppure lo scopo che giustifica l’impegno incessante dei
pro Life è quello di salvare la vita dei bambini a qualsiasi costo, in qualsiasi circostanza, nonostante le più grandi difficoltà? Se per salvare la vita io debbo denunciare le violazioni della legge, io lo farò. Se immagino possibile una interpretazione della legge secondo uno spirito meno perverso di quello che fino ad ora ne ha determinato l’attuazione, io cercherò di imporre una tale diversa interpretazione.

Prima della recente riforma voluta da Zapatero, in Spagna e Polonia le leggi erano pressoché identiche, ma in Polonia gli aborti non superavano mai le mille unità all’anno mentre in Spagna galoppano oltre i 100.000. Perché?

Una diversa interpretazione della norma. Naturalmente non collaboreremo mai, in alcun modo, alla uccisione dei bambini. Perciò difenderemo l’obiezione di coscienza con tutte le nostre forze.

So benissimo che la legge, in non piccola misura anche a causa della sua ulteriormente perversa
attuazione, produce aborti. Per questo il 22 maggio dimostreremo, ancora una volta, che se gli aborti sono diminuiti, come sostengono i difensori della legge, ciò è accaduto non per «causa» della legge, ma «nonostante» la legge per merito di quanti si oppongono alla legge. Di più: da uomo di legge e diritto quale sono, avverto profondamente il bruciore della ferita. Come si fa a considerare la dottrina dei diritti umani «come il fondamento moderno della giustizia e poi permettere l’uccisione dei più piccoli e poveri tra gli uomini» fino a tentare di includere un preteso diritto di aborto nel catalogo dei diritti umani fondamentali? E ancora: capisco la logica di appellarsi alla L. 194 per contrastare la Ru486, ma da qui a qualificare come «giusta» la legge ce ne corre. Nella mente della gente il giudizio sulla legge si traduce facilmente in giudizio sul fatto disciplinato dalla legge. Quante volte ci siamo sentiti replicare: «che stiamo a discutere? Se la legge lo permette significa che lo possiamo fare!». Così il giudizio legale diviene giudizio etico e viene distrutto l’ultimo baluardo della vita: la coscienza. Perciò è doveroso ricordare sempre l’ingiustizia della legge. Ma chi vuole difendere davvero la vita, chi non si rassegna, non si contenta dei gridi di protesta. Vuole davvero cambiare le cose. Cerca di guadagnare terreno con le unghie e con i denti. Se non può immediatamente raggiungere l’obiettivo finale, non si sente sconfitto se intanto ha potuto salire solo un gradino della scala. Per non essere inutile velleitarismo la non rassegnazione deve essere impregnata di realismo. Deve chiedersi: che cosa è possibile realisticamente fare?

Tra l’altro chi chiede
sic et sempliciter l’abrogazione non vuole certamente l’eliminazione di qualsiasi legge regolatrice: nel vuoto l’aborto diventerebbe lecito sempre, ben oltre i limiti della 194.

Né sembra pensabile un ritorno al codice penale del 1931. Perciò chi vuole l’«abrogazione» deve pensare ad una «sostituzione» e deve perciò formulare la normativa desiderabile. Rispondo così anche a talune istanze di ricorrere nuovamente ad un referendum abrogativo che sento ripetere qua e là.


Punti di partenza per la riforma


Realisticamente a me pare di constatare due elementi positivi su cui è possibile far leva per cambiare le cose: la indiscussa proclamazione a livello teorico dei diritti umani, come parola d’ordine della modernità e il sentimento cresciuto della «preferenza per la
». Il primo dato è fortemente contraddetto dall’aborto legale.

Vedo però una salutare inquietudine quando la questione è posta non in termini di divieti o di morale, ma di uguaglianza, dignità umana, titolarità dei diritti umani.

Perciò, per quanto difficile e forse lunga sia la battaglia, credo nella possibilità di riuscire a scrivere all’ingresso dell’ordinamento giuridico italiano, nell’art. 1 del Codice Civile, che tutti, proprio tutti, fin dal concepimento sono riconosciuti come dotati di soggettività giuridica. La possibilità di un tale risultato è già dimostrata dall’art. 1 della L. 40/2004 sulla procreazione artificiale. La prospettata riforma, anche senza cambiare niente altro, influirebbe sulla interpretazione della L. 194 (eliminando la equivocità del suo art. 1), impedirebbe l’ultimo degrado delle coscienze, eserciterebbe un ruolo positivo anche a livello internazionale.

Il secondo dato – la preferenza per la nascita – in prevalenza non ha una motivazione forte. Il sentimento è suscitato sia dall’apprezzamento della non più ignorabile lodevole utilità dei Cav, sia soprattutto, della coerente consapevolezza del danno economico provocato dal crollo delle nascite. La paura della «bomba demografica» è divenuta paura dell’«inverno demografico».

Si aggiunge che qualsiasi persona di buon senso non può non avvertire lo stridore tra le centinaia di migliaia di bambini abortiti ogni anno in Italia e le decine di migliaia di coppie che non trovano bambini da adottare. Sembra perciò possibile trasformare la logica dei primi articoli della L. 194 intendendo l’intervento consultoriale e più in generale quello «colloquiale», non come uno strumento per constatare l’autodeterminazione della donna, ma come il mezzo per tutelare la vita del figlio non contro ma insieme alla madre. Anche a questo riguardo qualcosa si può fare sia sul piano legislativo sia su quello amministrativo. È giunto il momento di adempiere agli impegni assunti verso gli elettori dai governanti e dai parlamentari nelle elezioni politiche del 2008 e dai governanti regionali e dai consiglieri regionali nelle elezioni del marzo scorso.

Queste riflessioni hanno strutturato gli eventi che il Mpv, in collaborazione con il Forum per le Famiglie e Scienza e Vita, ha programmato per l’imminente 32° anniversario della L. 194.

fonte: www.avvenire.it