venerdì 22 ottobre 2010

SUSAN BOYLE: "PER I MEDICI ERO NULLA"

Susan Boyle: «Non dovevo nascere Per i medici ero nulla»


Se sua mamma non avesse giudicato «impensabile» il mettere fine alla sua nona gravidanza, oggi non avremmo il piacere di ascoltare una delle voci più splendide del panorama musicale internazionale. I Dreamed I Dream, il brano tratto dal musical Les Misérables ispirato al romanzo di Victor Hugo, non l’avrebbe resa celebre, nell’aprile 2009, se l’opinione dei dottori che avevano in carico sua madre avesse surclassato il desiderio materno di mettere al mondo un’altra figlia. Susan Boyle, la 49enne inglese, nuova star della musica pop internazionale, ha rivelato in una recente biografia che il personale medico aveva suggerito a sua madre di non farla nascere e di ricorrere all’aborto. Motivo: la gravidanza era a rischio.

Ma Bridget Boyle, immigrata irlandese a Blackburn, paesino nel West Lothi, a quel tempo già mamma di 8 figli, rifiutò categoricamente tale possibilità «perché era una cattolica devota». E così diede alla luce Susan la quale, al momento del parto, soffrì di asfissia perinatale, malanno che causò alla bambina un leggero danno celebrale. Ma ciononostante, dopo una vita passata a subire scherni e derisioni (non ultima, quella dello show della presentatrice Usa Oprah Winfrey), la bimba che non doveva nascere è diventata una delle più grandi cantanti di oggi: perfino l’attrice Demi Moore è una sua fan sfegatata ed è entrata nel Guinnes dei primati per la sua rapidissima celebrità. SuBo, come l’hanno ribattezza i media inglesi, ha rivelato tutto questo nella sua autobiografia The Woman I Was Born To Be, appena pubblicata in Inghilterra (Bantam, 328 pp, £ 18.99), pochi giorni dopo la performance dell’artista davanti a Benedetto XVI a Londra.
Nel libro la cantante rivela che, al momento della sua nascita, i medici non salutarono la nuova arrivata con il tradizionale «Congratulazioni, una bellissima bambina!» rivolto alla madre, bensì in tutt’altra maniera: «I dottori mi guardarono in modo sprezzante, dal momento che sospettavano avessi avuto danni celebrali a causa di una mancata ossigenazione del cervello. Così dissero a mia madre: “Doveva darci ascolto. Adesso dovrà acccettare il fatto che Susan non diventerà mai niente di buono”».

Mai profezia fu meno azzeccata visto che Susan è una star da 9 milioni di dischi venduti in sole 6 settimane. Ma lei non porta rancore. «Sono sicura che i dottori avessero le loro migliori intenzioni ma penso che non dovessero dire quelle cose dal momento che nessuno può prevedere il futuro. Quello che i medici non sapevano è che io sono una sorta di combattente e che durante tutta la mia vita ho cercato di dimostrare loro che avevano torto».

E alla Bbc, qualche mese fa, Susan Boyle, di cui è conosciuta la profonda fede cattolica, spiegava: «La mia storia dimostra che non si deve guardare all’apparenza, ma bisogna considerare la persona nella sua interezza emotiva, fisica, mentale e spirituale. Spero che dicendo questo io riesca a dimostrare che i sogni non sono impossibili». Proprio nei mesi scorsi un altro cantante molto noto, Andrea Bocelli, aveva raccontato che a sua madre i medici avevano suggerito di abortire perché il bambino che portava in grembo avrebbe subito delle menomazioni a causa di un attacco di appendicite da lei subito. Sebbene completamente cieco, Bocelli è diventata una star della canzone pop e della lirica.

Lorenzo Fazzini

FONTE: http://www.avvenire.it/

giovedì 21 ottobre 2010

SUSAN BOYLE HA RISCHIATO DI NON NASCERE

Susan Boyle: «Per i medici mia mamma doveva abortire»

Nella biografia "The woman I was born to be", la cantante parla di chi diceva a sua madre: «Sua figlia non farà mai nulla di buono»

di Benedetta Frigerio
Le confessioni di Susan Boyle, l'usignolo scozzese dalla voce incantevole,raccontano che poteva non essere mai nata. Alcuni medici cercano di convincere la mamma della cantante ad abortire, perché la sua è una «gravidanza a rischio». La signora Boyle, cattolica di fede profonda e alla nona gravidanza, non dà retta a quei consigli. Non si fida. La piccola al momento del parto soffre di asfissia perinatale. E subisce un lieve danno al cervello, per cui i medici quasi compiaciuti redarguiscono la madre. «Doveva darci ascolto, adesso dovrà accettare il fatto che Susan non diventerà mai niente», le dicono.

Peccato che la piccola, non solo è già «un miracolo» per la mamma, felice di averla così com'è,
 ma diventerà qualcuno anche per i parametri moderni cui probabilmente quei medici si rifacevano per giudicare la dignità della vita della piccola. Così la biografia di Susan Boyle, The woman I was born to be, appena pubblicata in Gran Bretagna, si aggiunge ai colpi (vedi Andrea Bocelli) che fanno vacillare il determinismo di cui è imbevuta la società.

Chi è stato più realista e intelligente? La mamma fideista e retrograda o i medici? Perché se è più realista la madre, allora significa che la vita è sin dall'inizio un mistero da scoprire. Comunque vada. Anche se Susan non avesse mai scalato le classifiche musicali di mezzo mondo. Questo rende più evidente quanto il determinismo scientifico, di cui ci vantiamo e che ci fa sentire dei semi dei, sia invece ridicolo e di corte vedute.


FONTE: www.tempi.it

COME SI AGGIRA LA LEGGE 40

Così le cliniche della "disonestà intellettuale" aggirano la legge 40

Roberto Colombo


L’introduzione, a partire dal 1978, delle procedure di fertilizzazione extracorporea (fecondazione in vitro; FIV) per la generazione di embrioni umani da trasferire nell’utero della donna (embryo transfer; ET) al fine di ottenere una gravidanza, altrimenti impossibile o improbabile a motivo di uno o più fattori di sterilità femminile o maschile, è stata celebrata nelle scorse settimane in occasione dell’assegnazione del premio Nobel 2010 per la medicina a Robert G. Edwards, che della FIV umana è stato uno dei pionieri.

Come ogni “novità” biotecnologica, anche questa ha prodotto un mutamento non solo nelle procedure cliniche relative al trattamento di una patologia, ma ha generato uno “sguardo” diverso nella pratica della biologia e della medicina, “trasfigurando” – per così dire – la posizione del ricercatore e del medico, che di questa capacità tecnica decidono di avvalersi, di fronte alla vita umana, talora senza che gli stessi professionisti avvertano inizialmente la portata culturale e sociale di questo mutamento.
Tra le conseguenze che la FIV-ET ha introdotto nell’ultimo quarto del secolo scorso vi è anche la possibilità pratica, fino ad allora irrealizzabile (e anche, a detta di molti, impensabile), di manipolare in laboratorio il concepito nei primi giorni del suo sviluppo, già a partire dalla fertilizzazione, quando l’embrione è costituito da una sola cellula fino a poco più di un centinaio di cellule. L’essere umano all’inizio della sua esistenza, che sino a qualche decennio fa era “nascosto” e “protetto” nelle vie genitali femminili – la salpinge e la cavità uterina – e, prima del suo impianto endometriale, non poteva neppure essere “osservato” indirettamente attraverso l’ecografia, è così divenuto un “oggetto” biologico disponibile per ogni genere di studi, di tipo invasivo o non invasivo.

Fatto crescere, a 37 gradi centigradi e in presenza di ossigeno, in un apposito terreno di coltura contenente numerose sostanze, l’embrione viene osservato al microscopio ottico, le sue cellule vengono misurate e contate in funzione delle ore che trascorrono dalla messa a contatto dell’ovocita con gli spermatozoi, e anche, talora, prelevate (una o poche di esse) per analizzarle citogeneticamente e molecolarmente.

Gli embrioni – solitamente più di uno per ogni ciclo di stimolazione ovarica, prelievo degli ovociti e FIV – sono così classificati in diverse categorie standardizzate (un processo che gli inglesi chiamano “embryo scoring”: letteralmente, “assegnare un punteggio all’embrione”) sulla base della loro morfologia e della loro sviluppo nel tempo: solamente quelli ritenuti “vitali” (ossia in grado di continuare a svilupparsi regolarmente e di impiantarsi nell’endometrio dopo l’ET) vengo trasferiti mediante un sottile catetere nella cavità uterina della donna durante i primi giorni della fase luteale del suo ciclo ovarico, in un numero che viene deciso dall’équipe di procreazione medicalmente assistita (PMA) con il consenso della madre, tenuto conto della sua età, degli eventuali precedenti “fallimenti” della FIV-ET, del rischio di una gravidanza multipla che essa è disposta ad accettare e della legislazione vigente nel Paese (in Italia, non più di tre embrioni).
Nonostante il monitoraggio della “qualità” degli embrioni (il termine, purtroppo, è entrato nel gergo della PMA ed è un’altro amaro frutto della deriva culturale introdotta nell’antropologia della procreazione umana dalla FIV-ET) generati in vitro e “selezionati” per il trasferimento in utero, ordinariamente svolto solo attraverso l’osservazione microscopica (senza biopsia cellulare), possa sembrare così severo, esso non consente di escludere che uno o più embrioni destinati all’ET sia affetto da una anomalia cromosomica (che può riguardare il numero dei cromosomi, differente dalle 23 coppie di un soggetto euploide, oppure la loro morfologia, come nel caso delle traslocazioni e di altre aberrazioni cariologiche) o da un difetto genomico (mutazione patogenetica), capaci di influenzare negativamente lo sviluppo e la salute del nascituro.
Talora, in un numero limitato di casi, il difetto è già presente nella famiglia di origine del padre e/o della madre e vi è una data probabilità che esso possa venire trasmesso al figlio o alla figlia. Più frequentemente, il timore per la nascita di un figlio da FIV-ET non sano è generico, cioè riferito alla probabilità generale dell’insorgenza di malattie da anomalie cromosomiche (come la sindrome di Down, quella di Ullrich-Turner e altre) o legate a mutazioni geniche presenti nella popolazione cui gli aspiranti genitori appartengono. Vi è, infine, la non infondata paura che le stesse manipolazioni dei gameti e dell’embrione legate alla FIV possano avere provocato, seppure raramente, dei difetti cromosomici nel concepito.
Al “desiderio di un figlio”, solo per compiere il quale le coppie infertili sembravano disposte a ricorrere alla FIV-ET quando essa fu originalmente resa disponibile nella pratica clinica ed esclusivamente per rispondere al quale alcuni medici si erano inizialmente dedicati a questa nuova procedura ostetrico-ginecologica, si è successivamente aggiunto il “desiderio di un figlio sano”.

Cosa, in sé, legittima – la salute è un bene prezioso dell’uomo e “desiderarla” per i nostri figli così come per noi stessi è una aspirazione positiva – se il “desiderio” non si trasformasse in una “pretesa” nei confronti della PMA tale da indurre taluni dei suoi specialisti (biologi, genetisti e medici), che accondiscendono a una simile “pretesa”, ad introdurre un “filtro selettivo” degli embrioni, prima del ET, non più legato esclusivamente alla loro “vitalità” (così come emerge dalla divisione cellulare, dalla regolarità morfologica e da altri parametri osservazionali), ma basato sulla “qualità” cariotipica e/o genotipica del concepito.

Lo si voglia designare con questo termine oppure no, lo scivolamento dal “desiderio” (o “invocazione”) alla “pretesa” (o “condizione”) della salute per ogni figlio nato attraverso la FIV-ET rappresenta una deriva in senso eugenetico della PMA capace di effetti dirompenti, a livello sociale, sulla riconosciuta uguaglianza nella dignità e nei diritti fondamentali di tutti gli esseri umani che iniziano la loro vita su questa terra, indipendentemente dal loro patrimonio genetico e dalle caratteristiche biologiche (fisiologiche o patologiche) del loro corpo e della loro mente.

Nel nostro Paese, la legge 40 sulla PMA vieta (art. 13) la selezione genetica degli embrioni nel corso della FIV-ET. Cedendo a pressioni (o alimentando la “domanda”: accade anche questo) delle coppie infertili di avere i propri concepiti in vitro selezionati prima dell’impianto in utero per escludere quelli portatori di difetti cromosomici o genomici, alcuni centri italiani di PMA hanno deciso di predisporre studi sperimentali o applicare protocolli collaudati in altre nazioni per la cosiddetta “diagnosi preimplantatoria” (DPI) sugli embrioni.

Alcuni di essi, confidando su sentenze giudiziarie che sconvolgono lo spirito e la lettera della legge, si stanno attrezzando per la “classica” DPI, quella eseguita sull’embrione a più cellule (stadio di pre-morula o morula) che prevede il prelievo di una o più di esse, una procedura invasiva che, tra l’altro, non è priva di qualche rischio per lo sviluppo regolare dell’embrione biopsiato. Pochi altri centri, invece, hanno cercato di aggirare il divieto della legge 40 prospettando una diagnosi eseguita sul gamete femminile, l’ovocita, in sostituzione di quella sull’embrione (non è tecnicamente possibile eseguire un’analisi cariotipica o genomica sul gamete maschile, lo spermatozoo, senza distruggerlo).

Si tratta di una tecnica che prevede il prelievo e l’analisi di uno o di entrambe i cosiddetti “globuli polari”, (corpuscoli collocati nello spazio sottostante la zona pellucida che la riveste l’ovocita). Il primo contiene quella metà dei cromosomi omologhi della madre che non sarà trasmessa al figlio attraverso la fecondazione. Per differenza dal corredo materno, è così possibile conoscere (non senza un certo margine di errore, dovuto al fenomeno della “ricombinazione genica” che avviene solo dopo che lo spermatozoo è penetrato nell’ovocita) se l’embrione che dovesse risultare dalla fertilizzazione avrà oppure no un difetto genetico.
Nel caso sia portatore del difetto, l’ovocita non sarà fecondato e si dovrà procedere ad analizzarne altri, alla ricerca di uno esente. Se ci si limita al prelievo e all’analisi del primo globulo polare, non si interviene ancora sul concepito (non è ancora avvenuta la fecondazione), ma solo sulla cellula germinale della donna, e questo non viola il dettato della legge 40 a proposito della sperimentazione, selezione e distruzione di embrioni umani generati mediante la FIV (artt. 13-14).

Per ridurre il margine di errore di questo tipo di DPI, altri centri di PMA hanno invece deciso di analizzare anche il secondo dei due globuli polari, che si forma dopo fase della meiosi in cui è possibile una “ricombinazione genica”, ossia quando la penetrazione dell’ovocita da parte dello spermatozoo è già avvenuta. Dopo l’analisi del secondo globulo polare è nato da FIV-ET in Italia, a settembre, il primo bambino selezionati per l’esenzione da difetti cromosomici.


Contrariamente a quanto un uso improprio del termine “ovocita” ha lasciato intendere ai non addetti ai lavori, la selezione non è avvenuta sul gamete femminile prima della fecondazione (se così fosse, non sarebbe stato possibile analizzare anche il secondo globulo polare), ma dopo, ossia sul concepito allo stadio di una sola cellula (il cosiddetto “zigote pronucleato”). Per quanto esso si trovi nelle prime ore del suo sviluppo, si tratta di un essere umano che racchiude in sé il patrimonio genetico ricevuto dalla madre e dal padre, ossia tutte le informazioni necessarie per la sua crescita ed il suo impianto nell’utero materno.


Sottigliezze biologiche e filosofiche, qualcuno potrebbe dire. In realtà, è proprio sulla lealtà (un tempo la si sarebbe chiamata “onestà intellettuale”) con la quale si guarda la realtà dell’inizio della vita umana individuale che si gioca tutto il rispetto e l’amore che si ha verso di essa, sia da parte dei genitori che chiedono alla medicina di essere aiutati a concepire un figlio, sia da parte dei medici che si mettono al servizio dei genitori e, così facendo, anche di Colui che dona loro un figlio: il Mistero da cui proviene il nostro essere e quello di ogni altro uomo che viene al mondo.


Che l’uomo non sia riducibile a un “prodotto” da selezionare – anche quando, purtroppo, non è generato dall’atto d’amore di una madre e di un padre, ma attraverso una procedura biotecnologica – è la stessa ragione che lo suggerisce: la nostra vita non è la somma di quantità e di qualità che non ineriscono ad alcunché e stanno sospese in un “vuoto d’essere”, disponibili per essere prese o lasciate, ma essa consiste in un soggetto, un “io” unico e irripetibile, che solo è capace di dare consistenza a tutto ciò che gli appartiene, incluse le sue quantità e qualità biologiche e psicologiche.


Un soggetto, dunque, che chiede di essere accolto per quello che è, non per ciò che ha o non possiede (ancora). Questo è l’uomo che, all’inizio della sua esistenza, la FIV-ET ha messe nelle mani dell’uomo: una responsabilità pesante per chi decide di avvalersene, rispetto alla quale la società non può dichiararsi estranea o “neutrale”. La civiltà di una nazione non si misura forse dalla sua capacità di difendere e promuovere i diritti di coloro il cui grido non è la “povera voce di un uomo che non c’è”, ma implora silenziosamente “che il respiro della vita non abbia fine”?

FONTE: http://www.ilsussidiario.net/

mercoledì 20 ottobre 2010

STAMINALI ADULTE CONTRO LA SLA

"Le staminali per curare la Sla"


Una speranza per i malati di Sla. “Una scintilla nel buio”. Monsignor Vincenzo Paglia, vescovo di Terni e padre spirituale della Comunità di Sant’Egidio, ne è convinto. Dal suo laboratorio sulle colline umbre arrivano buone notizie: la ricerca sulle cellule staminali va avanti. Un grande esperimento per dimostrare anche che fede e ragione possono andare d’accordo.
Eccellenza al momento qual è la situazione?

“Al momento è stata certificata la correttezza procedurale delle cellule staminali adulte. Ovvero: le cellule prodotte possono essere impiantate sull’uomo. A questo punto resta il passaggio dal centro di produzione al malato. Il farmaco, insomma, è pronto: va innestato. Un passaggio clinico che richiederà ancora quattro, cinque mesi. Poi, inizierà la cura vera e propria. E’ l’unico esempio in Europa e forse nel mondo”.

Dall’Italia, anzi da Terni, la soluzione per questa terribile malattia?

“Non è matematico l’effetto positivo. Ha funzionato sui topi e sulle scimmie. Ma è ovvio che la speranza è d’obbligo, come del resto la prudenza. Io mi auguro che in questo modo si arrivi ad una cura efficace della Sla ma anche di altre malattie neurodegenerative. Certamente è stata messa la pietra angolare”.

Colpisce che una notizia del genere arrivi da un piccolo centro patrocinato per altro da un vescovo, prelato eminente del panorama ecclesiastico italiano …

“E’ questa la grande scommessa. Tutto è nato da un incontro tra uno scienziato (Angelo Vescovi) e un vescovo (io). Da questo incontro, così, si è portato avanti il difficile cammino della sperimentazione mettendo insieme la grande preoccupazione per i malati, una grande passione scientifica e umanistica per non parlare di un impegno economico non indifferente … Ma, nonostante gli ostacoli, alla fine siamo arrivati a questa straordinaria vittoria, un traguardo importantissimo”.

Con lo zampino di un uomo di Chiesa.

“Io credo questo sia solo un piccolo esempio di quel circolo virtuoso che vede fede, scienza ed etica camminare assieme”.
Qual è la posizione del Vaticano sulle cellule staminali?

“Se l’embrione è vita, non è possibile ucciderlo per trarre cellule staminali”

Detto questo, ci sono anche quelle adulte …

“Esatto. Una strada che non comporta l’uccisione della vita. Quella che, d’altronde, abbiamo seguito noi”.

E’ una passione recente, questa, Eccellenza?

“No. Ho cominciato a interessarmi alle cellule staminali quando ho visto un esperimento su un topo sette anni fa. Dissi allo scienziato: “Se non hai cambiato topo è una cosa straordinaria”.

Da qui la sfida per sconfiggere la Sla...

“Si. Tutto nasce dopo aver visto uno spiraglio. Ho voluto forzarlo e la porta si è aperta. Ecco io oggi posso dire non attraverso discorsi ma attraverso risultati che Chiesa e Scienza non solo possono andare d’accordo ma in alcuni casi affrettano il risultato. Il problema è la Scienza senza morale: può trasformarsi in follia”.
Cosa direbbe oggi a un malato di Sla?

“Due mesi fa ne ho incontrato uno. Parlava componendo le parole su uno schermo muovendo le pupille degli occhi. Ha scritto tre frasi: “Sono commosso per la visita. Ne sentivo un grande desiderio. Forse per me è troppo tardi. Continui la ricerca. Molti ne hanno bisogno”. Ecco, direi: una scintilla è stata accesa nel buio. Perché fino ad oggi non c’era nessuna speranza per questi malati”.

Francesco Cutillo

FONTE: http://www.tgcom.mediaset.it/

venerdì 15 ottobre 2010

UNA MERAVIGLIOSA TESTIMONIANZA

DIRITTI SCHIZOFRENICI?

In Europa il "partito" degli abortisti nega i diritti che non fanno al caso suo

Rilevo una tendenza contrastante della nostra società post-moderna. Più aumentano le tensioni soggettivistiche volte a dar rilievo giuridico alle istanze più personali e particolari delle persone e più aumenta la rilevanza che l’autorità dà alla coscienza di ogni singolo uomo, ed al suo libero sviluppo, quale principale criterio di riferimento per l’individuazione di nuove pretese tutelate; più, dall’altra parte, si riscontra la tendenza ad una limitazione della medesima coscienza nel suo rapporto con l’autorità, ad una compressione del diritto di ciascuno di obiettare alla legge scritta.


In sostanza, ad un maggior grado di tutela dell’autodeterminazione corrisponde una minore libertà di esercizio dell’obiezione di coscienza. Si prendano alcuni recenti casi. Nell’ambito internazionale dei diritti umani si tende a proclamare in tutte le versioni e le colorazioni possibili la più ampia tutela ed il più ampio esercizio della libertà (compresa quella - questa volta la novità viene dall’Australia - di pubblicizzare l’eutanasia mediante apposito spot televisivo, da parte di una multinazionale il cui nome è significativamente Exit International).


Contemporaneamente si pone in discussione alla seduta plenaria del Parlamento Europeo di pochi giorni fa (8 ottobre) la risoluzione Women’s access to lawful medical care: the problem of unregulated use of conscientious objection (“Accesso delle donne a cure mediche legali: il problema di un uso non regolamentato dell’obiezione di coscienza”). Per inciso, l’eufemismo medical care sta in realtà per aborto. Si pensi a quale grado di stravolgimento può giungere il significato assegnato a parole e frasi.


La proposta è volta a limitare la libertà di esercitare l’obiezione di coscienza, bilanciando il diritto al suo esercizio con il diritto, affermato come  sacrosanto, della donna alla “cura medica” (leggi: aborto) richiesto, che dovrà essere “rispettato, protetto ed adempiuto in tempi ragionevoli”.


Poco tempo fa avevamo assistito al caso suscitato dalla delibera della giunta regionale di Vendola del marzo di quest’anno, mirante a discriminare i ginecologi obiettori di coscienza, assegnando ai consultori pubblici solo personale medico ed ostetrico “non obiettore”, così da bilanciare il personale e garantire “il diritto” delle donne di abortire. Il tutto è stato deciso a favore del “potenziamento del percorso di nascita”. Altro bell’esempio di stravolgimento lessicale e sostanziale.


Mi sono domandato il perché di questo strabismo. Ad una rivalutazione della coscienza in senso garantistico di riconoscimento di diritti collegati al suo libero esprimersi, dovrebbe corrispondere un rafforzamento di quelle scelte “di coscienza” che si affermino anche contra legem, ossia in alternativa alla scelta compiuta dall’autorità. Eppure avviene il contrario.

 
Una spiegazione mi è parsa evidente leggendo Elogio della coscienza, dell’allora cardinal Ratzinger (apparso sul Il Sabato del 16 marzo 1991). Spesso - vi si dice - “la coscienza non si presenta come la finestra che spalanca all’uomo la vista su quella verità universale, che fonda e sostiene tutti noi e che in tal modo rende possibile, a partire dal suo comune riconoscimento, la solidarietà del volere e della responsabilità”.


Spesso essa “sembra essere piuttosto il guscio della soggettività, in cui l’uomo può sfuggire alla realtà e nasconderlesi… L’essere convinto delle proprie opinioni, così come l’adattarsi a quelle degli altri sono sufficienti. L’uomo è ridotto alle sue convinzioni superficiali e, quanto meno sono profonde, tanto meglio è per lui”.


Se si riduce la coscienza dell’uomo a “l’autocoscienza dell’io, con la certezza soggettiva su di sé e sul proprio comportamento morale” (che, peraltro, “può essere un mero riflesso dell’ambiente sociale e delle opinioni ivi diffuse”), allora si capisce come l’autorità possa, da una parte, dare rilievo a quelle opzioni di scelta più intime e personali dell’uomo, corrispondenti alla coscienza individuale, e rientranti in una sfera talmente privata da non consentire intromissioni altrui, neppure dell’autorità; dall’altra parte, impedire qualunque forma di ribellione della coscienza soggettiva alle decisioni dell’autorità, derivandone altrimenti una spinta eversiva moltiplicata per le singole coscienze, ognuna potenzialmente ribelle.


Se coscienza significa piuttosto presenza percepibile ed imperiosa della voce della verità all’interno del soggetto stesso (per dirla con il beato Newman, la cui figura è stata ricordata pochi giorni fa dal Papa in terra inglese), allora ne risulta che anche nelle scelte più intime del singolo è presente l’elemento della relazionalità che lo costituisce come persona; e l’obiezione di coscienza, lungi dal rappresentare un momento eversivo, costituisce invece il più alto e vero concetto del diritto come giustizia.


Nell’obiezione di coscienza è dunque presente un anelito di giustizia del caso singolo, per l’obiettore che si contrappone ad una singola norma avvertita come ingiusta; e, nello stesso tempo, è presente una giustizia pensata e postulata come universale, valida per tutti perché riferibile a quel nucleo di valori che sono iscritti ab origine nel cuore-coscienza di ogni singolo uomo.

 
Da questo punto di vista vanno salutati positivamente gli esiti delle due vicende sopra indicate: il TAR della Puglia ha annullato il provvedimento della giunta Vendola, ed ha precisato che impedire la presenza di medici obiettori nei consultori “viola il principio costituzionale di eguaglianza di cui all’art. 3 Cost., oltre che i principi posti a fondamento della obiezione di coscienza (libertà religiosa e di coscienza ex art. 19 Cost. e libertà di manifestazione dei pensiero di cui all’art. 21 Cost.).


Contrasta altresì con l’art. 4 Cost. relativo al diritto al lavoro realizzando una inammissibile discriminazione stigmatizzata peraltro dall’art. 3, comma 1, lett. A, d.lgs. 216/2003 (‘Il principio di parità di trattamento senza distinzione di religione, di convinzioni personali, di handicap, di età e di orientamento sessuale si applica a tutte le persone sia nel settore pubblico che privato ed è suscettibile di tutela giurisdizionale secondo le forme previste dall’articolo 4, con specifico riferimento alle seguenti aree: a) accesso all’occupazione e al lavoro, sia autonomo che dipendente, compresi i criteri di selezione e le condizioni di assunzione’)”.


Anche l’assemblea parlamentare del Consiglio di Europa, nella seduta dell’8 ottobre, ha capovolto la risoluzione della parlamentare inglese Christine McCafferty, che, in casi di aborto, voleva limitare il ricorso all’obiezione di coscienza, accusata - dalla presentatrice - “di mettere in pericolo la vita delle donne”. Così il parlamento ha completamente cancellato il paragrafo uno della risoluzione in cui si esprimeva “profonda preoccupazione per il ricorso crescente non sufficientemente regolamentato alla obiezione di coscienza in molti stati membri, in particolare nel campo della salute riproduttiva” (ancora stravolgimenti edulcoranti).


L’assemblea ha così ribadito (per la verità, ha dovuto ribadire ciò che sinora figurava nei diritti umani affermati internazionalmente) che “il diritto all’obiezione di coscienza è una componente fondamentale del diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione riconosciuto nella Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo e nella Convenzione europea dei diritti dell’uomo. In materia di cure mediche, la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo garantisce questo diritto tanto alle persone che alle organizzazioni regolate da determinati principi etici”.


E’ stato disconosciuto l’obbligo  per il medico di fornire la “cura” prevista se la paziente ne ha diritto (come voleva la McCafferty). Si è invece ribadito che “nessuna persona, nessun ospedale o istituzione sarà costretta, ritenuta colpevole o discriminata in qualsiasi maniera per il rifiuto di effettuare o assistere ad un aborto, di manipolazione umana, di eutanasia o qualsiasi atto che potrebbe causare la morte di un feto o un embrione, per qualsiasi ragione”.

fonte: www.ilsussidiario.net


giovedì 14 ottobre 2010

STAMINALI ADULTE: LA VERA SPERANZA

Vescovi: la speranza per la SLA (e non solo) è depositata nella Biobanca




Segnali contrapposti in questo periodo dalla vecchia Europa e dai progressisti Stati Uniti sul fronte della ricerca sulle cellule staminali. In Italia l’AIFA (Agenzia Italiana del Farmaco) ha conferito l’autorizzazione alla produzione di cellule staminali cerebrali umane utilizzabili per terapie avanzate sull’uomo al “Laboratorio cellule staminali, Cell Factory e Biobanca” di Terni guidato da Angelo Vescovi. Ad Atlanta, allo Shepherd Center, l'azienda privata Geron, dopo aver ottenuto il placet dalla FDA (Food and Drug Administration), ha avviato il primo test con cellule embrionali per ricostruire la guaina dei nervi di un paziente dopo una lesione spinale; mentre dall'Harvard Stem Cell Institute arriva l’annuncio di un nuovo metodo per riprogrammare cellule della pelle in staminali. In proposito abbiamo interpellato il professor Vescovi, che sta procedendo con grande decisione ed energia sulla linea delle staminali adulte, non solo a Terni ma ora anche nella sua qualifica di direttore scientifico del IRRCS Casa Sollievo della Sofferenza di Padre Pio a San Giovanni Rotondo e dell’Istituto di ricerca Mendel di Roma. Il suo entusiasmo per le nuove piste di ricerca, supportato dall’ampliamento delle strutture a disposizione, non riduce la pazienza con la quale attende, nei prossimi mesi, il via libera da parte dell’Istituto Superiore di Sanità, essendo convinto che «non si tratta di burocrazia ma di tutelare pienamente l’interesse dei pazienti, offrendo soluzioni che sappiano dare la massima efficacia col minimo rischio».


Questa autorizzazione dell’AIFA cosa vi consente di fare?

L’autorizzazione significa che le cellule staminali prodotte nella Banca delle staminali di Terni, cioè cellule staminali del cervello, sono già autorizzate al trapianto nell’uomo e quindi possono venir utilizzate in tutte quelle sperimentazioni cliniche che tentano di sostituire cellule nervose. Più precisamente ci permette di tornare alla commissione di Fase 1 per la sperimentazione clinica dell’Istituto Superiore di Sanità (alla quale avevamo già fatto richiesta) e verificare se quello che abbiamo fatto nel frattempo è giusto e quindi poter procedere con la sperimentazione nel caso della SLA (Sclerosi Laterale Amiotrofica).

A quali altre patologie pensate di applicare, prossimamente, il vostro metodo?

Stiamo pensando di allargare queste sperimentazioni ad altri tipi di malattie come quelle genetiche-metaboliche in età pediatrica (morbo di Tay Sachs) e, successivamente, anche a forme gravemente invalidanti di sclerosi multipla.

Quali sono in breve i vantaggi del vostro metodo?

Per poter parlare di vantaggi ci dovrebbe essere qualcosa di comparativo. Attualmente io non vedo altri metodi che consentano di fare quello che noi possiamo fare. L’unica sperimentazione progettata con le staminali embrionali, che di fatto sta ancora per partire, ha richiesto 40 milioni di dollari e non è proponibile su nessuna scala pratica. Non è quindi un metodo che compete con un altro: semplicemente, non ce n’è un altro.

Lei si riferisce ai test annunciati dalla Geron?

Sì. Devo aggiungere che non credo sia necessario spendere tutti quei soldi per una sperimentazione e penso che quella non sia neppure la sperimentazione che loro stessi avevano inizialmente preparato. Rifiuto nel modo più totale quanto affermato dall’amministratore delegato di Geron e cioè che quello è l’unico modo di produrre le cellule adatte per il trapianto nei pazienti. Noi, infatti, lo facciamo e, se mi è permessa la battuta, ai ricercatori della Geron che volessero venire qui nel nostro laboratorio a prenderle potremmo darne un secchiello pieno a costo zero. Di queste sperimentazioni non penso né bene né male. Dico solo che: primo, non c’era bisogno di utilizzare cellule staminali embrionali; secondo, trovo sospetto che un trial clinico parta nel momento in cui si manifestano alternative, come quella della staminali cerebrali o quella della riprogrammazione cellulare. Non posso non pensare a una mossa politica.

In che senso?

È chiaro che il trapianto o lo fanno adesso o non potranno più farlo. Inoltre, sono fortemente preoccupato per il tipo di modello scelto. Da quello che posso capire, stanno pensando a un trapianto in un caso di lesione spinale acuta; ma in casi del genere non è possibile predire come evolverà e quindi non capisco come pensano di interpretare i risultati: infatti, qualunque variazione si riscontri potrebbe essere dovuta semplicemente all’evoluzione fisiologica della lesione. Agire in tale situazione mi sembra – ma è un parere molto personale - più simile all’utilizzo dell’essere umano come cavia e non a finalità terapeutiche. E poi non ci vogliono tutti quei soldi. Tenga presente che nel nostro caso, con tutte le difficoltà aggiuntive che ci sono nel no-profit, abbiamo speso due milioni di euro.

Cosa pensa invece dell’annuncio dell'Harvard Stem Cell Institute di un nuovo metodo per riprogrammare le cellule?

Sulla riprogrammazione delle cellule adulte ho più volte espresso delle valutazioni positive. Quando Yamanaka ha diffuso i suoi risultati c’erano già delle evidenze sperimentali dirette: un nostro articolo su Science del 1999, molto criticato, mostrava che da una cellula adulta di un certo tessuto si potevano produrre cellule di altri tessuti. Insomma, che si potessero ottenere cellule staminali senza produrre embrioni era nell’aria. Yamanaka ha avuto il grande merito di crederci e soprattutto di sviluppare una tecnica adatta. Ora, nell’arco di cinque anni, abbiamo ormai cellule umane clonate e quasi pronte per la sperimentazione umana. Non ho mai visto un settore svilupparsi così rapidamente e con una tale coerenza di risultati. Questa è la strada che la scienza propone e che tutti stanno seguendo; non lo dico solo io, l’ha scritto recentemente il New York Times. Pertanto è difficile giustificare l’insistenza su altri approcci, come quelli di coloro che hanno propugnato l’utilizzo di cellule embrionali per interessi che poco hanno a che fare con il bene del paziente ma per loro interessi scientifici, ideologici, politici o puramente commerciale.

Quindi è questa la tecnica del futuro?

Sì. La tecnica della riprogrammazione si sta avvicinando a grande velocità alla possibilità della sperimentazione clinica. Ricordo peraltro che con questa tecnica è possibile clonare le cellule, quindi non c’è più il problema del rigetto e la clonazione ha un’efficienza assolutamente vincente. Inoltre non presenta alcun problema di tipo etico.

Anche voi state svolgendo ricerche in questa direzione?

Sì, ci stiamo muovendo in questa prospettiva. Mentre adesso per la genesi delle cellule e la loro modificazione partiamo dal tessuto cerebrale, stiamo sviluppando un progetto per cui le cellule che entrano nel processo, che pure rimane identico, non saranno più le cellule cerebrali ricavate dagli aborti spontanei ma verranno dalle cellule riprogrammate del paziente. È un’operazione che sappiamo fare molto bene con le cellule di topo; ci basta ora avere a disposizione le cellule riprogrammate umane: per questo ho messo a punto uno specifico progetto con l’Istituto Mendel di Roma.

Il vostro centro di Terni si pone ormai come un punto di eccellenza e anche di servizio a livello internazionale?

Prossimamente devo partecipare al congresso mondiale di neuroscienze e lì lancerò questa proposta: che la Biobanca di Terni i diventi un punto di riferimento internazionale per tutti quei ricercatori che hanno evidenze preliminari della possibilità, se avessero a disposizione le cellule adatte, di condurre una sperimentazione clinica. Ebbene, la mia proposta è che qui possano avere accesso alle cellule già di grado clinico, per testarle su animali e poi per allargare subito la sperimentazione sull’uomo. Tutto ciò dovrebbe essere condotto su base no-profit e così moltiplicare il numero di sperimentazioni cliniche nel mondo. Oggi infatti il collo di bottiglia per queste sperimentazioni è la disponibilità di cellule di grado clinico umane ed è proprio ciò che ci è stato certificato.

(a cura di Mario Gargantini)

fonte: www.ilsussidiario.net

STAMINALI EMBRIONALI? SOLO PER SOLDI!

Né per vita né per scienza ma solo per soldi


La sperimentazione annunciata lunedì dall’azienda biomedica Geron di Atlanta ha fatto ripartire il dibattito sull’uso delle cellule staminali embrionali. A un paziente che ha subito da pochi giorni un evento traumatico con danni al midollo spinale sono state somministrate cellule di embrioni umani trattate. Si tratta del primo esperimento di questo tipo su una persona con lo scopo di preservare il tessuto midollare danneggiato dal trauma e, se possibile, rigenerarlo proprio per mezzo di queste cellule embrionali. Ovviamente si pongono questioni etiche, che sono fondamentali, perché non si può utilizzare la vita umana come strumento neppure per salvare un’altra vita, pena dare il via ufficiale alla disumana legge del più forte.

Accanto a quelli più strettamente bioetici vi sono però altri nodi di carattere scientifico, che hanno pure il loro risvolto etico. È noto infatti che le cellule staminali embrionali hanno la caratteristiche di proliferare senza controllo, dando origine a effetti tumorali non facilmente risolvibili. In secondo luogo, le sperimentazioni sugli animali hanno mostrato come queste cellule, una volta iniettate nell’organismo, hanno la tendenza a impiantarsi nei tessuti sani e non in quelli residui all’incidente o alla malattia, che si vorrebbero rigenerare. Esiste poi la questione del rigetto, in quanto si tratta di cellule provenienti da embrioni umani che danno la stessa problematica dei trapianti di organi.

A tutti questi interrogativi propriamente scientifici la Geron ha risposto "assicurando" che il processo di ingegnerizzazione a cui sono state sottoposte le cellule embrionali (una sorta di sub-clonazione non meglio specificata) dovrebbe risolvere il problema dei tumori e del rigetto. Silenzio assoluto sulla collocazione delle cellule: se queste mettono radici in tessuti sani, oltre a non risolvere il problema di partenza, ne creano altri per la salute del paziente. Ma anche sui problemi che l’azienda americana considera risolti vengono offerte solo rassicurazioni generiche, senza alcuna evidenza scientifica.

I problemi cui abbiamo fatto cenno avevano già costretto la Geron a rinviare di un anno e mezzo l’annuncio della sperimentazione. Ma adesso gli amministratori della società (si badi bene, non gli scienziati) quotata alla Borsa di New York non potevano più rinviare l’annuncio: una buona parte degli investitori comincia infatti a nutrire seri dubbi sul fatto che si possano ricavare profitti nel breve e medio termine. Per tacere dell’enormità di fondi mangiati sinora da una ricerca senza esiti concreti, mentre adesso si pretendono anche quelli del contribuente americano, concessi improvvidamente da Obama.

Questa sperimentazione con embrioni umani è come buttare un sasso in una caverna buia. Non si sa che effetto farà. Intanto fa un po’ di clamore e tiene buoni gli investitori. Ricorda il caso della mano trapiantata a Lione al paziente australiano: si sapeva che l’operazione sarebbe finita male. Nel frattempo l’équipe ha mostrato al mondo di essere brava nella microchirurgia e ha ricevuto abbondanti finanziamenti.

La vicenda della Geron ripropone le due grandi questioni che dovremo fronteggiare sempre più spesso. Anzitutto l’uso spregiudicato e strumentale della vita umana embrionale che, in seguito alle manipolazioni tecnologiche, si pretende di trasformare in farmaco, in una forma di utilitarismo inaccettabile perché antiumano. Che non ci sia alcuna umanità in questo progetto – e qui si apre la seconda questione – lo dice il fatto che non ci sarà mai nessuna Geron che renderà disponibile l’eventuale farmaco per i pazienti poveri: il nuovo prodotto a base di vita umana è inevitabilmente destinato a essere appannaggio dei soli pazienti ricchi. L’ingegnerizzazione delle cellule embrionali umane va dritta filata nella direzione di una medicina che non va a beneficio dell’umanità ma è pura e semplice espressione di una scienza medica sfigurata dal mercato e dalla logica del profitto. Detta tutta: è solo una questione di soldi.

Michele Aramini
fonte: www.avvenire.it

martedì 12 ottobre 2010

ERA COME ELUANA. ORA CORRE IN MACCHINA

Graham era in stato vegetativo come Eluana, ora corre in macchina


La Provvidenza, o il caso per chi non crede, si è incaricata di dare un altro duro colpo ai sostenitori del suicidio assistito in Gran Bretagna. Lo ha fatto attraverso la vicenda della guarigione di Graham Miles, affetto dalla sindrome neurologica chiamata “locked-in” (imprigionato dentro), che lo ha paralizzato dalla testa ai piedi, costringendolo in quella condizione che i giudici della prima sezione civile della Corte d’Appello di Milano avrebbero considerato «vita non degna di essere vissuta», in quanto priva di una «pienezza di facoltà motorie e psichiche» (decreto 9 luglio 2008 sul caso Englaro).

Miles, che ora è un pensionato di 66 anni, non solo riesce a camminare e parlare, ma si è persino dedicato all’hobby delle corse automobilistiche al volante della sua Jaguard E-type.
La storia di quest’uomo merita di essere raccontata. Graham Miles, ingegnere nel settore energetico, viveva a Sanderstead, nel Surrey, con la moglie Brenda ed i figli Claire e Richard. Una splendida famiglia ed un’ottima professione.

E’ però il suo disordinato stile di vita - fumo eccessivo e stress da lavoro - a tradirlo, all’età di quarantanove anni. La sera del 2 dicembre 1993, durante il viaggio di ritorno a casa dall’ufficio, viene gravemente colpito da un ictus celebrale che determinerà la paralisi totale del suo corpo, ad eccezione degli occhi.

Trascorre sei mesi al Mayday University Hospital di Croydon e sei mesi in una struttura riabilitativa prima di essere mandato a casa. La diagnosi è di quelle che non lasciano scampo: paralisi totale irreversibile. Al punto che Miles percepisce di essere «left to die», lasciato morire dallo staff medico. Il racconto di quell'esperienza è davvero drammatico. «All’inizio - spiega Miles - il problema era riuscire a respirare, perché sebbene i muscoli involontari come il cuore ed i polmoni funzionassero, la paralisi del petto ostacolava la respirazione». Solo il suo ostinato desiderio di vivere è riuscito a fargli superare quell’incubo.


 Poi, il miracolo. Sbalordendo prima di tutto gli stessi medici, Graham Miles ha clamorosamente smentito la sicumera degli specialisti che lo davano senza speranza, la stessa sicumera sulla presunta irreversibilità dimostrata dai giudici milanesi nel caso della povera Eluana Englaro. Colpisce, in realtà, il fatto che nonostante siano diversi e abbastanza frequenti i casi di guarigione dalla “locked-in syndrom” (mi viene in mente anche il caso di Kerry Pink reso noto agli inizi di agosto), i media preferiscano non parlarne.

La spinta ideologica pro-eutanasia, e gli interessi economici che la sostengono, è ancora troppo forte. Graham Miles, tra l’altro, era affetto dalla stessa identica sindrome che colpì il giornalista francese Jean-Dominique Bauby, autore nel 1997 delle celebri memorie intitolate Lo scafandro e la farlalla, da cui è stato tratto l’omonimo film di Julian Schnabel, premiato al festival di Cannes nel 2007.

Il caso di Graham Miles appare, inoltre, diametralmente speculare a quello di Tony Nicklinson, anche lui ingegnere e affetto da “locked-in syndrom” a causa di un ictus celebrale, il quale ha adito la Suprema Corte britannica per chiedere che la moglie Jane possa accompagnarlo nel suo ultimo viaggio in Svizzera, presso la clinica Dignitas specializzata in eutanasia, senza che essa venga incriminata secondo le leggi inglesi. E’ interessante vedere come due uomini della stessa provenienza culturale, della medesima professione, di identica condizione sociale, colpiti entrambi alla stessa età di 49 anni da un evento tragico, possano avere una reazione così diversa.


Uno che combatte ostinatamente per vivere, spinto da una forza misteriosa capace di sconfiggere la malattia, ed uno che invoca la morte, imprecando contro la vita («sono stufo di vivere e non sono affatto grato ai medici che mi hanno salvato la vita; se potessi tornare indietro, non chiamerei mai più quella maledetta ambulanza»). Questa differenza mi ha fatto venire in mente la domanda posta da mons. Giussani nella sua opera Il Senso Religioso: «Non è più vero e grande amare l’Infinito, che bestemmiare la vita, il destino?». Graham Miles ci ha dato la risposta a quest’interrogativo. E ha anche dimostrato che i miracoli possono sempre accadere.

FONTE: www.ilsussidiario.net

lunedì 11 ottobre 2010

VITTORIA EUROPEA, PARLA FARINA

Così l'Europa del silenzio ha sconfitto gli abortisti


Questa è una storia bellissima e impossibile. Ha una forza simbolica eccezionale. Può essere tutto: che finisca così, con una gloria effimera. Oppure può essere un punto di partenza. Qui proviamo a evitare che sia insabbiata, dimenticata oppure travisata, ridotta a un incidente folcloristico, devoto, consolatorio.

Veniamo al punto. Per la prima volta una istituzione europea ha affermato la negatività dell’aborto, il diritto-dovere di mettere al primo posto la persona, affermando uno di quei principi non-negoziabili che Benedetto XVI invoca continuamente, non in nome di una etica cattolica, ma sulla base di un amore semplice alla verità del nostro essere uomini.

È accaduto il 7 ottobre di quest’anno. Si doveva discutere e votare su una risoluzione al Consiglio d’Europa. Per intenderci, qui c’è un’assemblea parlamentare che raccoglie la volontà popolare di 47 Paesi d’Europa. Non solo i 27 dell’Unione Europea, ma qualcosa di più largo: ci sono anche la Russia, la Turchia, l’Albania, la Georgia, l’Ucraina…

Non è un’istituzione da niente. Da essa dipende la Corte europea dei diritti umani. Siamo noi del Consiglio d’Europa ad eleggere i suoi giudici, gli stessi che hanno stabilito di togliere i crocefissi dalle pareti dei luoghi pubblici.

In ballo stavolta  c’era una decisione sull’obiezione di coscienza di medici e operatori sanitari in tema di aborto. Nelle commissioni la tesi era quella solita del nichilismo progressista che domina nella cultura dell’Occidente. E cioè chi sceglie di dire di no all’interruzione volontaria di gravidanza nega la libertà individuale delle donne.
 
Tutto è stato predisposto per limitare la scelta libera e cosciente di ginecologi e infermieri. Essi - secondo il documento portato avanti da socialisti ma anche da esponenti del Partito popolare europeo - devono essere obbligati a praticare l’aborto in caso di urgenza, oppure quando l’ospedale dove provvedere all’eliminazione dell’intoppo (che sarebbe un bambino) sia considerato lontano.

Non basta: si deve dichiarare che non ci può essere alcuna clinica riconosciuta dallo Stato che non preveda nelle sue strutture di operare gli aborti. Insomma, venendo al concreto: o il Policlinico Gemelli o la clinica dei Camilliani devono essere disponibili alla pratica che avete capito.

L’Italia viene citata come esempio infame: il 70 per cento dei medici e il 50 per cento degli anestesisti obietta. Occorre intervenire.
La battaglia era perduta. Nelle commissioni affari sociali e in quella delle pari opportunità passano emendamenti sempre più duri. Si rifiuta qualsiasi dialogo, mediazione, eccezione. Niente da fare, in apparenza. Invece…

Invece un gruppetto (Volontè, eccellente capogruppo nel Ppe, un irlandese, un olandese, un lituano protestante, i russi, chi qui scrive) prepara emendamenti. Si prova a ragionare sulla realtà piuttosto che sull’ideologia. Dimostriamo che l’obiezione di coscienza attiene alla libertà incoercibile. Si dimostra che la preparazione del rapporto ha escluso testimonianze non allineate alla tesi precostituita.

Ed eccoci in aula. Diciamo le nostre ragioni. Proponiamo di ridiscutere tutto. Non accettano, i nostri avversari. Emendamento dopo emendamento, guadagniamo consensi. La risoluzione cambia radicalmente. Diventa l’affermazione del primato della persona, del buon diritto all’obiezione, della negazione del diritto all’aborto.
 
Vinciamo tutto, nello stupore di chi era abituato a colonizzare e a imbrigliare il giudizio di tanti parlamentari. Dalla Georgia arrivano in aereo i parlamentari, con un volo predisposto per questa scelta. In Albania, il Parlamento sospende le sedute per consentire il voto ai due rappresentanti di Tirana. Gli ungheresi, con gravi sacrifici economici, arrivano in tempo. Risultato: 56 contro 51, più 4 astenuti.

Noi italiani abbiamo fatto fatica ad esserci. Personalmente ho ricevuto un sms intimidatorio che mi imponeva di non partire firmato dal capogruppo, senza che ci fossero votazioni in aula. Ma un gruppetto del Pdl ha sfidato l’imposizione e c’era. Bergamini, Tofani, Nessa. Uno dell’Api, Russo. Uno dell’Api di Rutelli, Giacinto Russo. Oltre a Volontè dell’Udc, il capogruppo Ppe. Nessuno dei democratici cattolici del Pd.

C’è un’altra Europa, che non dà per scontato che il mondo scivoli inesorabilmente verso il nichilismo. Se ne sono accorti in Francia, in Gran Bretagna. In Polonia i deputati sono rientrati e hanno indetto manifestazioni per contrastare l’inerzia del dissolvimento di una tradizione. In Spagna, la risoluzione è già usata contro le leggi liberticide di Zapatero. In Russia il Patriarcato di Mosca guarda con stupore felice. Da noi: zero, nessuna dichiarazione, solo Avvenire dà spazio. Il resto della politica si ferma al reciproco addentare i polpacci.

Eppure qualcosa accade. Niente trionfalismi. Tra l’altro anche se si vincesse sempre, questo non è garanzia di un bel niente. Non sono le leggi a cambiare il mondo. Anche se avessimo perso la partita sarebbe quella di sempre: non è certo la politica a salvare l’uomo, e neanche i politici. Ma c’è una unità nel riconoscimento delle esigenze del cuore che spalanca orizzonti nuovi per l’Europa. Tocca accorgersene. Lavorare per questo. Sapendo che - come dice T. S. Eliot - perché distruggano gli altari bisogna pure che prima qualcuno li costruisca.

Personalmente, in questa battaglia devo dire che molto ho imparato dai nostri amici che scrivono su IlSussidiario.net, da Andrea Simoncini a Marta Cartabia. Abbiamo scoperto un attimo dopo che questa vittoria è accaduta il 7 ottobre, anniversario di Lepanto, festa della Madonna del Rosario. Forse la bandiera d’Europa, che ha il fondo azzurro e la corona di stelle come dice della Madonna l’Apocalisse, ha qualcosa di profetico. Purché noi ci si converta.

FONTE: www.ilsussidiario.net

domenica 10 ottobre 2010

VITTORIA EUROPEA, PARLA VOLONTE'

Obiezione, Volontè: «Abbiamo fatto
vincere coscienza e diritti umani»

«È possibile far vincere il pieno rispetto dei diritti umani,della sovranità nazionale e del buon senso anche con i numeri». Luca Volontè, capogruppo del Ppe del Consiglio d’Europa, riflette sullo straordinario risultato conseguito giovedì pomeriggio nel Palazzo d’Europa di Strasburgo, quando l’assemblea parlamentare ha ricevuto dalla commissione Affari sociali una risoluzione che voleva cancellare l’obiezione di coscienza in materia sanitaria (aborto e eutanasia) e l’ha trasformata in un documento che invece la tutela e la riafferma solennemente in Europa.

Cosa è successo dunque?

A fronte della assurda e pervicace volontà della ideologia pro-aborto e di un femminismo radicale, dopo un anno di inviti da parte dei Popolari e Cristiani democratici al Consiglio di Europa per aprire un confronto di merito, siamo stati costretti a mettere in votazione e cambiare totalmente quel rapporto.

Cosa affermava il documento della McCafferty

Già nel titolo era tutto una contraddizione, non é possibile infatti pretendere di regolare la coscienza delle persone, a meno che non si voglia cadere nel ridicolo e nel macabro esercizio delle ideologie totalitarie. Per un anno intero, noi popolari abbiamo chiesto di fermarsi a riflettere, di ascoltare le organizzazioni dei medici, di chiedere pareri ai Comitati di Bioetica e valutare i dati con i singoli Stati. Nulla, tutto si é negato perché si voleva approvare una ideologia basata su un diritto assoluto dell’aborto a scapito degli stessi diritti umani.

Ma siamo a 60 anni dalla firma della Convenzione

Infatti. Proprio nei giorni precedenti, l’assemblea aveva commemorato il 60° anniversario di quella solenne Dichiarazione europea dei Diritti umani, nella quale non solo si ribadisce il diritto inalienabile alla vita, ma si promuove ovviamente anche la libertà di coscienza, religione e pensiero. La stessa Convenzione, così lungimirante, mette in guardia sul pericolo che gli organismi internazionali e il dibattito contemporaneo vivono: l’abuso dei diritti.

La risoluzione per regolare l’obiezione effettuava un tale abuso?

Questo era il suo scopo. Era stata costruita a tavolino nelle stanze dell’ufficio legale delle lobby pro aborto europee e statunitensi. Infatti, nel dibattito di ieri, la stessa McCafferty si é lasciata sfuggire, dopo l’approvazione dei nostri primi emendamenti, che quel rapporto era molto atteso da tutti coloro che volevano affermare l’aborto come “diritto umano”, compresi i “giudici della Corte”. Vorrei sottolineare queste parole della McCafferty. Tutte queste agenzie e istituzioni erano pronte, come riteneva la parlamentare socialista, a basare le loro decisioni future sulla risoluzione? Speriamo che lo facciano ora che quel rapporto contiene tutti gli elementi necessari per promuovere i diritti e le libertà della Convenzione.

In che chiave dunque celebrare il 60° della Convenzione?
L’ha indicata chiaramente Benedetto XVI nell’ultimo incontro con il Bureau della assemblea parlamentare. Si deve sviluppare la validità di questi diritti e la loro inviolabilità, inalienabilità e indivisibilità. Avremmo voluto convincere i colleghi socialisti e molti colleghi liberali delle nostre buone ed evidenti ragioni. Lo ha impedito la caparbietà della relatrice e dei suoi fans, che hanno negato la possibilià del confronto fino alla fine, fino alla bocciatura della richiesta di tornare in commissione.
 



Lei e coloro che si sono opposti a quella impostazione, cosa avete pennsato?
Che quel Rapporto originario avrebbe portato a tagliare le radici del Consiglio (artt.9 e 14) della Convenzione, la Carta dei diritti fondamentali della Ue, l’art.18 della Convenzione internazionale dei diritti civili e politici e ovviamente, la Dichiarazione Universale del 1948. Ed anche avrebbe violato la legislazione dei 47 Paesi membri. Sarebbe stato un vulnus inaccettabile per i principi di sussidiarietà e sovranità.  Il gruppo del Ppe non poteva tacere, avrebbe negato la sua Carta dei valori. Insieme a noi hanno votato colleghi di altri gruppi Parlamentari. Hanno capito se non altro che era in gioco il buon senso. Con questo voto, che molti hanno definito storico, abbiamo rafforzato il lavoro nel Ppe ma anche l’amicizia politica con molte ong cristiane e laiche in molti paesi del Consiglio, oltreché i tanti laici, ortodossi, islamici e protestanti di ogni Paese.

È stata una battaglia molto impegnativa?

Sì, ma non eravamo soli. Giovedì era la festa della Vergine del Rosario.
Pierluigi Fornari
fonte: www.avvenire.it

venerdì 8 ottobre 2010

VITTORIA EUROPEA!!!

«L'obiezione di coscienza resta un diritto di libertà».
Una risoluzione che era entrata nell’emiciclo del Palazzo d’Europa per restringere l’obiezione di coscienza, diviene un documento che la tutela fin nel titolo. E, alla fine è approvata la stessa risoluzione (56 voti a 51 e 4 astenuti), ma non la raccomandazione per il Comitato dei ministri dei 47 Paesi membri perché non è stata raggiunta la maggioranza qualificata dei due terzi.


«Una giornata storica per il Consiglio d’Europa, sono passati tutti gli emendamenti che abbiamo proposto a favore della vita», commenta il capogruppo dei popolari, Luca Volontè, che con le sue proposte molto ha contribuito a stoppare l’attacco all’obiezione di coscienza. «Una giornata di vergogna per il Consiglio d’Europa, la mia risoluzione è stata distrutta», ha lamentato la relatrice Christine McCafferty, che aveva condizionato il voto attribuendo la responsabilità a chi proponeva emendamenti al suo testo di mettere in pericolo la vita delle donne.


Peraltro la parlamentare inglese avrebbe potuto evitare la disfatta perché il polacco Ryszard Bender (Edg) aveva proposto il rinvio in commissione, ma sono stati i socialisti con la McCafferty e il capogruppo, lo svizzero Gross, in testa a respingere la proposta. La bocciatura del rinvio è avvenuta di stretta misura 51 voti contro 50. Poi i socialisti hanno riprovato a fermare la discussione, ma il presidente dell’assemblea ha opposto il regolamento. Poi è partita un’offensiva contro il testo iniziale per cui è saltato il paragrafo introduttivo della relazione che voleva una «regolamentazione completa» della obiezione di coscienza nei casi di aborto e eutanasia.

Nel paragrafo uno si esprimeva «profonda preoccupazione per il ricorso crescente non sufficientemente regolamentato alla obiezione di coscienza in molti Stati membri del Consiglio d’Europa, in particolare nel campo della salute riproduttiva», cioè dell’interruzione di gravidanza. Ma è stato completamente cancellato. Una avvisaglia di quanto stava accadendo si era avuta già in mattinata quando, in una riunione prima della seduta dell’assemblea, passava con 10 voti contro 7 un emendamento del capogruppo del Ppe, Luca Volontè, e della leghista Rossana Boldi, che aveva così corretto il testo: «Il diritto alla obiezione di coscienza è una componente fondamentale del diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione riconosciuto nella dichiarazione universale dei diritti dell’uomo e nella Convenzione europea dei diritti dell’uomo. In materia di cure mediche, la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo garantisce questo diritto tanto alle persone che alle organizzazioni regolate da determinati principi etici». Nel dibattito in aula è stata cancellata anche la norma che imponeva «l’obbligo all’operatore sanitario di fornire la cura prevista, se la paziente ne ha diritto in virtù della legge, nonostante l’obiezione di coscienza», in casi di emergenza, che vengono specificati come quelli del rischio di morte «o di pericolo per la salute della paziente».

È da ricordare che proprio questi ultimi casi sono stati alla base della introduzione dell’abortotout court in Italia. Da notare che è stato approvato anche un emendamento che punta a garantire la possibilità della obiezione di coscienza nelle istituzioni: «Nessuna persona, nessun ospedale o istituzione sarà costretta, ritenuta colpevole o discriminata in qualsiasi maniera per il rifiuto di effettuare o assistere a un aborto, di manipolazione umana, di eutanasia o qualsiasi atto che potrebbe causare la morte di un feto o un embrione, per qualsiasi ragione». Inoltre l’assemblea del Palazzo d’Europa sottolinea insommma la necessità di affermare a chiare lettere il diritto della obiezione di coscienza.

Pier Luigi Fornari

fonte: http://www.avvenire.it/

giovedì 7 ottobre 2010

SE GUARDASSIMO CON GLI OCCHI DEI BAMBINI

SENTENZA DI FIRENZE: IL COMMENTO DI CARLO CASINI

«Bisognerebbe abituarsi a guardare alla procreazione artificiale con gli occhi dei bambini, visto che, secondo la Dichiarazione universale del 1959 che li riguarda, "l'umanità ha il dovere di dare al fanciullo il meglio di se stessa"» Carlo Casini, presidente del Movimento per la vita, interviene così sulla decisione del giudice fiorentino in materia di fecondazione eterologa. 

«Credo che, se i figli potessero parlare, rifiuterebbero di essere generati per la morte immediata nelle sperimentazioni e nelle selezioni. Credo anche che vorrebbero avere un padre e una madre certi, e che quindi quelli che li hanno generati siano gli stessi che li accolgono e li educano quando nascono. Ma nella fecondazione eterologa qualcuno, donando il seme o l'uovo, genera un figlio per abbandonarlo. Non si può fare nessun confronto con l'adozione, che è un rimedio contro l'abbandono, il quale in se stesso è un male. Ma nella fecondazione eterologa si genera per abbandonare. 

«In ogni caso, da giurista e da presidente della Commissione per gli affari costituzionali del Parlamento europeo, non posso non notare che gli argomenti del giudice fiorentino sono platealmente infondati in quanto la Costituzione pone a carico dei genitori l'obbligo di mantenimento dei figli (art.30), e perché non è vero che il Trattato di Lisbona ha automaticamente introdotto le decisioni della Corte di Strasburgo nel diritto comunitario. Decisioni che in ogni caso riguardano il caso singolo e non hanno portata generale».


fonte: www.mpv.org

SCUSATE, MA VORREI CAPIRE

Scusate, ma vorrei capire. Sono un cittadino qualunque. Sono - più o meno - un sessantamilionesimo di sovranità popolare. Poco più che una croce su una scheda con un simbolo.

Ma voglio capire lo stesso. Voglio capire, per esempio, perchè anche se i miei rappresentati, che io ho eletto, approvano una legge a maggioranza ampia e trasversale, anche se la legge deve passare da un referendum, e io mi impegno nella campagna elettorale di quel referendum, e noi lo vinciamo quel referendum (75 a 25, più o meno), anche se per ben due volte mi hanno raccontato che io ero importante, che i cittadini erano importanti, che quello che i cittadini sceglievano (di fare o di non fare) era importante...

Ecco, nonostante tutti questi "anche" oggi scopro che un giudice qualsiasi, di una qualsiasi sezione del tribunale di Firenze (ma sempre la stessa...), accogliendo un ricorso promosso e finanziato dai Radicali (anche qui, sempre gli stessi...), può decidere che la mia volontà non vale niente. Può decidere che il popolo è sovrano, sì, ed esercita questa sovranità, certo, ma attenzione: nei limiti e nelle forme previste dalla magistratura italiana con l'accordo del Partito Radicale.
Stupido io, che credevo che la Costituzione dicesse una cosa diversa, cioè che i limiti erano quelli della Costituzione.

Chiedo spiegazioni, e me le danno. Mi dicono che, proprio perchè i limiti costituzionali siano rispettati, è giusto che anche una legge passata due volte al vaglio della sovranità popolare possa essere ribaltata a piacimento da qualche giudice che ha fatto molta carriera.
Mi spiegano anche che questi giudici, la "suprema corte", può "interpretare" la Costituzione e, in virtù di ciò, giudicare appunto la costituzionalità delle leggi. E il caro vecchio potere di ultima istanza? Siamo una democrazia che lo lascia ai giudici?

Ma a questo punto la domanda diventa un'altra. Apro la Costitiuzione, la leggo, e mi chiedo: in quale comma di quale articolo si spiega che, secondo i Padri della Repubblica Italiana, l'essere umano può essere ridotto, da soggetto, ad oggetto? In quale punto si spiega che gli uomini non sono uguali, ma hanno una dignità diversa a seconda del modo in cui sono stati concepiti e, ovviamente, dell'età anagrafica che hanno? E dove si sottolinea che volere è potere, che tutto ciò che è tecnicamente possibile è anche giusto?
Leggo e rileggo la nostra bella Costituzione, e continuo a domandarmelo. 

Un sessantamilionesimo della sovranità italiana