sabato 18 dicembre 2010

LA SENTENZA: NON ESISTE IL DIRITTO ALL'ABORTO


di Marco Respinti - La Bussola Quotidiana
17-12-2010


La buona notizia è che ieri la Corte europea dei diritti dell’uomo ha finalmente e con chiarezza stabilito che nella Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali non esiste alcun diritto all’aborto. Quella meno buona è che contemporaneamente la Corte rimanda ai parlamenti nazionali degli Stati membri dell’Unione Europa ogni decisione legislativa sul punto. L’ambiguità sta tutta nel fatto che se, in teoria, il secondo provvedimento garantisce una misura di democrazia assolutamente necessaria dentro le istituzioni europee, salvaguardando il principio della sovranità nazionale, in pratica sposta solamente il problema quasi fingendo di non vedere quali siano gli orientamenti legislativi della stragrande maggioranza dei parlamenti degli Stati membri dell’Unione Europea in tema di diritto alla vita. Del reste, proprio una delle eccezioni storiche all’orientamento filoabortista della media delle legislazioni nazionali, l’Irlanda (lì l’aborto è vietato se non in casi rari e particolarissimi), è stato il casus belli.


La sentenza di Strasburgo ha chiuso ieri il caso, noto come “ABC”, aperto nel 2005 dal ricorso presentato da tre donne (due irlandesi e una lituana residente in Irlanda) contro la legislazione non-abortista del Paese accusato per questo motivo di violare l’articolo 8 della suddetta Convenzione europea (un trattato internazionale redatto dal Consiglio d’Europa ed entrato in vigore nel 1953), il quale tutela il «diritto al rispetto della vita privata e familiare».

Per abortire le tre donne si recarono a suo tempo, come di triste prassi in questi casi, in Gran Bretagna. Una di esse era appena uscita dal cancro e chiedeva di abortire temendo che portare a termine la gravidanza indesiderata avrebbe causato una recrudescenza del male. A lei, solo a lei, la Corte di Strasburgo ha dato ragione, ravvisando una violazione del famoso art. 8 e quindi condannando l’Irlanda a risarcire la donna con 15mila euro.


Ciò che però ha fatto ieri Strasburgo è stato solo riconoscere una violazione di quell’articolo della Convenzione, non il sostenere che esso contempli positivamente il diritto all’aborto.
Certamente, nel caso concreto, l’art. 8 è stato strumentalmente utilizzato da “C” per sostenere il diritto all’aborto, ma di per sé la Convenzione non lo stabilisce, né in spirito né in lettera.


Il crinale è sottile e la lotta serrata. Certe forze politiche e lobby culturali cercano d’introdurre a forza in Europa il diritto all’aborto là dove esso non esiste, invocando una sorta di “spirito dei trattati” europei “aleggiante” per “opinione comune” sopra i testi dei documenti stessi. Le autorità giuridiche custodi dell’“originalismo” dei trattati li smentiscono categoricamente e costantemente testi alla mano. Ma il limbo dell’interpretazione resta ancora troppo ampio.


Quanto a “C”, il caso che più si presta a valutazioni capziose, il PNCI, Parliamentary Network for Critical Issues (un coordinamento internazionale per la promozione e il rispetto della dignità della vita umana, diretto a Washington da Marie S. Smith), diffonde ora una importante dichiarazione di John Smeaton, direttore nazionale della Society for Protection of Unborn Children che ha sede a Londra. «La Corte», dice Smeaton, «ha frainteso la Costituzione irlandese, confondendo l’aborto con le cure mediche. La Costituzione d’Irlanda non prevede alcun diritto all’aborto, né il diritto alla vita dei bimbi non nati può in alcun modo essere ritenuto in concorrenza con il diritto alla vita delle madri. L’aborto non è una cura medica e l’Irlanda, dove l’aborto è vietato, offre alle madri le migliori cure sanitarie del mondo. Se diventerà legge, questa sentenza legalizzerà l’aborto per un ampio ventaglio di circostanze».


Il pericolo, insomma, non è scongiurato. Resta però il fatto che la decisione di ieri è, dice il PNCI, una grande sconfitta della logica abortista, quella che sognava di trasformare il caso “ABC” nella legalizzazione dell’aborto “europeo” insinuando il dubbio che la legislazione irlandese sia incoerente rispetto ai parametri medi degli Stati membri.

giovedì 9 dicembre 2010

IN STATO VEGETATIVO DA 5 ANNI RISPONDE AI MEDICI

In stato vegetativo da 5 anni,
risponde agli stimoli dei medici

Un paziente si risveglia dallo stato vegetativo di minima coscienza dopo cinque anni e per sei ore comprende e risponde agli ordini dei medici. È successo all'istituto ospedale San Camillo di Venezia e a rilevarlo è ora uno studio, pubblicato sulla rivista "Neurorehabilitation and Neural Repair", organo ufficiale della Federazione mondiale di neuroriabilitazione. Secondo gli specialisti è un caso clinico unico che ha permesso per la prima volta al mondo un risveglio dagli stati vegetativi tramite la stimolazione magnetica transcranica (Tms).

La stimolazione è stata eseguita su un paziente ricoverato al San Camillo e lo studio è stato realizzato in collaborazione con i dipartimenti di Neuroscienze delle università di Padova e di Verona. Il paziente, che ha 70 anni, cinque anni prima era stato colpito da un'emorragia cerebrale. Un mese dopo, aveva recuperato il livello minimo di coscienza: poteva aprire gli occhi spontaneamente o in risposta a stimoli tattili, poteva girare gli occhi verso un suono o seguire un oggetto in movimento.

FONTE: www.avvenire.it

martedì 7 dicembre 2010

LO SCIENZIATO CHE DICE SI' ALLA VITA

Vescovi, da scienziato a "stregone" per aver detto no alle staminali embrionali



fonte: www.ilsussidiario.net

E’ uno dei pochi scienziati che il mondo ci invidia. E ha fatto in fretta, per essersi laureato in biologia iscrivendosi a un corso universitario serale, mentre di giorno lavorava al mercato per tirar su qualche lira. Da lì al Canada, Calgary University,  dove per caso, si fa per dire, scopre la possibilità di isolare cellule cerebrali umane, e comincia a studiare tutte le prospettive  che si aprono alla medicina. La cura che viene da dentro, come spiega il titolo di un suo libro. Vescovi parla alle Accademie USA come ai ragazzi dell’Università di Milano Bicocca, con la stessa scioltezza, sincerità. Controcorrente. Da quando ha preso dichiaratamente posizioni pro life l’intellighenzia nostrana lo ascolta con sufficienza, lo guarda con sospetto, soprattutto gli lesina passerelle e riconoscimenti. In Italia si passa rapidamente dallo status di genio a quello di fanatico, da libero pensatore a oscurantista servo del Vaticano.

Vescovi dirige l’Istituto Casa Sollievo della Sofferenza di San Giovanni Rotondo e la Biobanca delle staminali cerebrali di Terni. Sono cellule di grado clinico, ci dice, certificate GMP secondo i parametri più selettivi al mondo, che una volta prodotte possono essere trapiantate nei pazienti, e in linea di principio sono applicabili a qualunque malattia nervosa. “Abbiamo chiesto all’ISS il permesso di sperimentare sui pazienti di Sla, per poi allargare ad altre sperimentazioni. Se abbiamo i soldi…”. Al Congresso mondiale di Neuroscienze di san Diego, il 16 novembre, ne è stata data notizia. “Qualche giorno dopo  sul Sole 24 Ore  è uscito un articolo che ci definiva una sorta di stregoni, che trattano gli uomini come cavie…Ci hanno chiesto i dati. Hanno fatto due interrogazioni parlamentari. I dati, sotto responsabilità penale, vengono presentati all’ISS che ce li ha chiesti, com’è ovvio!”. 

Non è il primo degli attacchi. “Dopo il referendum del 2005 ho dovuto lasciare il San Raffaele perché mi è stato reso impossibile lavorare. Ho pubblicato uno scritto su Nature prima di andarmene, per poter dire: l’ho fatto di mia scelta, non potete mandarmi via dicendomi che non sono capace. Nelle Università parecchi colleghi mi definiscono un millantatore, un “sedicente ricercatore”.  Sono stato estromesso a viva forza da un progetto della Comunità Europea che si chiamava Fungenes. E il comitato che decideva chi restava e chi no aveva al suo interno il vicedirettore di una company inglese che lavorava sulle staminali.”

Eppure ha sempre buona stampa. “Prima. E resta qualche giornalista coerente e aperto, che continua a cercarmi. Ma molti che mi telefonavano un giorno sì  e l’altro pure, prima del referendum, sono spariti. Non citano neanche più le mie pubblicazioni scientifiche”.
Si è chiesto da dove vengono questi attacchi, e perché? “Se riesci ad andare in clinica senza ammazzare i pazienti, anzi se dici che potrai perfino curarli con un  metodo eticamente accettabile, le bugie propagandate sulle staminali embrionali crollano di colpo. E’ stato detto ai malati che il modo più efficace per alleviare le loro sofferenze è lo studio sugli embrioni: in questo modo scavalcano il problema etico. Giustificano con la scusa di aiutare il paziente la distruzione di vite tramite frollatura, non saprei usare altro termine, o la creazione di altre vite da distruggere.”

Si sostiene che con le staminali embrionali si sono ottenuti risultati importanti per curare malattie terribili. “Falso. E’ stata avviata la prima sperimentazione ufficiale due mesi fa. Non c’è niente! E avremmo potuto lavorare con buona pace degli embrioni da almeno 5 anni, utilizzando le risorse in altro modo”. Ci sono anche interessi economici, oltre che ideologici? E di carriera? “Spesso gli interessi non hanno a che fare coi trapianti sui pazienti, ma per esempio con la ricerca sui farmaci. C’erano anche in Italia compagnie di biotecnologie che si vantavano di fare questo, succhiandosi tra l’altro soldi pubblici.”
 
Ma lei avrebbe problemi a lavorare su embrioni criocongelati, frutto di fecondazioni assistite non andate a buon fine? “Sì, avrei problemi. Intanto, non c’è bisogno di congelare degli embrioni per la Fivet, bisogna dirlo una buona volta, quindi sono stati congelati per un approccio sbagliato alla tecnica. Se non si potessero più impiantare e andassero distrutti, potrei vedere il senso di un loro utilizzo. Solo ed esclusivamente se qualcuno nel frattempo ha fatto qualcosa per bloccare la continua produzione di soprannumerari. Altrimenti è un’ipocrisia: quelli prodotti fino a una certa data possono essere utilizzati. Ma intanto vanno avanti a produrne! “

E comunque lei sostiene che non ce n’è bisogno. “Non io. Sapendo delle cellule somatiche, dei lavori del giapponese Yamanaka, sapendo che puoi sperimentare sulle cellule embrionali di scimmia, o di topo, che necessità abbiamo di usare embrioni umani? E’ una sconfitta per la scienza. Produrre esseri umani per distruggerli, invece che far di tutto per aiutare la vita, curarla.”
Chi invece  l’ha aiutata? “Tanti hanno avuto la sensibilità di investire nelle ricerche cui sto lavorando, e voglio fare dei nomi, come la Neuroton Onlus, l’Associazione Mielolesi, la Fondazione Borgonovo, addirittura la Fondazione  Milan, personaggi pubblici come Maurizio Costanzo,  Raoul Bova e Formigoni, che ci ha aiutato a fondare al Niguarda l’Istituto di Ingegneria dei tessuti.

O il ministro Fazio. Eppure, viviamo in una condizione di solitudine sconcertante. Si investe tanto in emotività sugli eventi musicali, sportivi…se si mettesse un decimo di quell’interesse e passione, oltrechè di denari, per chiedere che si sviluppino terapie a partire dalle staminali…Mi creda, l’indifferenza è peggio degli attacchi. Quelli si  smontano, perché nascono dall’ignoranza, nel senso di ignorare le cose, i fatti. Ma  se alle telefonate minatorie a te e alla tua famiglia,  aggiungi il fatto che non hai neanche un laboratorio dove lavorare… Ed io sono già stato fortunato. Altri colleghi sono tornati in Usa. Per forza”.

Che risultati vorrebbe raggiungere, che cosa aspetta, dopo trent’anni di lavoro? “Già l’averci provato è significativo, ma vorrei ottenere la possibilità di sviluppare delle terapie per i malati. Come ricercatore sono già contento, ma mi piacerebbe alleviare le sofferenze o almeno aprire la strada a tecniche che riusciranno a farlo, in un giorno vicino”.

domenica 5 dicembre 2010

Avvoltoi radicali ronzanti alla Camera (non ardente) attorno al corpo di Mario Monicelli

Rieccoli i radicali pronti a rispuntare fuori e dire che si stavano godendo un momento di pausa dopo l'ingordigia vissuta dato il successo di ascolti della radical faziosa trasmissione dell'anno "vieniviaconme".
Pochi giorni ed eccoli piombare come avvoltoi sul corpo di Mario Monicelli, morto suicida, gettandosi da un balcone dell'Ospedale San Giovanni dove era ricoverato, a 95 anni!
Non entro nel merito della scelta di vita (ops, di morte) del regista italiano la quale, pur non condividendola, va rispettata.
L'assurdo è vedere i Radicali alla Camera dei Deputati, aiutati dall'altro radicale mascherato Walter Veltroni, che invece entrano nel merito della scelta di vita (ops, di morte) di Monicelli cercando di elevarlo, dopo Welby ed Englaro, ad altro paladino dell'eutanasia.
Non è ingerenza dello Stato nella vita privata????
Avete sentito la dichiarazione di Veltroni? "Era un uomo coerente e anche l'ultimo atto della sua vita gli assomiglia. Ha vissuto, non si è lasciato vivere e non si è lasciato morire. Ha deciso di andarsene. Era un italiano con la schiena dritta".
A parte che oggi giorno ci vuole più coraggio ad essere come Mario Melazzini, cioè ad avere la schiena dritta anche su una carrozzella, che a buttarsi da un balcone, ma si possono dire queste cose lanciando un assist ai radicali che, dalla Bernardini in poi, hanno cominciato con il loro latrare pruriginoso?
Lasciatelo in Pace il maestro Monicelli.
Io non lo conosco così bene, l'ho detto, per giudicare il gesto se non dal punto di vista mio personale ed etico e religioso.
Penso però che Monicelli metterebbe Veltroni, Bernardini e tutti gli altri su un treno in partenza e gli piglierebbe a schiaffi, ad uno ad uno, mentre loro sono affacciati e non vedono l'oltre più in là del loro naso.
Maestro, non so perchè a 95 anni ha concluso così la sua esistenza ma le posso solo dire: riposi in Pace.

di Giorgio Gibertini
fonte: http://giorgiogibertinijolly.blogspot.com

sabato 4 dicembre 2010

Apriamo gli occhi!

Nell’indifferenza generale, a fine gennaio di quest’anno, lo scrittore britannico Martin Amis avanza un’idea simpatica: «dovrebbe esserci una cabina a ogni angolo di strada, dove se hai l’età giusta puoi prenderti un Martini e la pastiglia della buona morte» (Corriere della Sera, 25/1/2010). A metà ottobre fanno il giro del mondo le dichiarazioni dell’attore Michael Caine, due volte premio Oscar, che dichiara d'aver aiutato il padre a morire. Negli stessi giorni, Carlo Troilo, dell’associazione Luca Coscioni, dichiara che mentre anni fa riteneva più «realistico rinviare a tempi migliori il discorso sull’eutanasia e puntare ad introdurre nella nostra legislazione il testamento biologico» (L’Unità, 13/10/2010) oggi ha cambiato idea, indicando l’introduzione della “dolce morte” come unica priorità. Appena due settimane più tardi, al Festival di Roma, viene premiato il film Kill me please, black comedy sull’eutanasia. Poco dopo i Radicali lanciano in Italia lo spot di Exit International sull’eutanasia, già censurato in Australia: ben tre reti italiane – Telelombardia, Antenna 3 e Milano – si dichiarano «pronte a trasmetterlo» (Corriere della Sera, 10/11/2010). Lunedì 15 novembre, nel corso della trasmissione Vieni via con me, Roberto Saviano ha spiegato a 8 milioni di italiani che Welby ed Englaro sono esempi di lotta per «il diritto alla vita».

Durante l’ultima puntata della stessa trasmissione di Rai 3, dopo che i conduttori hanno definito  «inaccettabile» la presenza in studio di malati desiderosi di gridare la loro voglia di vivere e denunciare l’abbandono terapeutico, viene annunciata la morte di Mario Monicelli. Si viene presto a sapere che si tratta di suicidio: il celebre registra, anziano e malato, si è gettato dal quinto piano dell’ospedale dov’era ricoverato. Seguono commenti entusiasti del gesto: Paolo Villaggio parla di scelta «eroica, magnifica, » Stefania Sandrelli di «gesto estremo di libertà, di anticonformismo, di curiosità», il critico Mariano Sabatini di «ennesima lezione di libertà». I Radicali propongono a livello parlamentare, per bocca di Rita Bernardini, una riflessione legislativa sull’eutanasia e il Presidente Napolitano, tanto per buttare benzina sul fuoco, elogia la fine di Monicelli come «manifestazione forte della sua personalità, un estremo scatto di volontà. » Due giorni dopo la morte del registra, Rai 3 – sempre Rai 3 – manda in onda il prima serata il film Million dollar baby, che presenta l'eutanasia come una scelta umanamente possibile mentre a Rai 2, la stessa sera, il vignettista Vauro chiude la trasmissione Annozero con una ventina di “allegre” vignette sul suicidio. Domanda: cosa deve ancora succedere perché la gente capisca che vogliono farci il lavaggio del cervello e renderci tifosi dell’eutanasia?


Giuliano Guzzo

LA TESTIMONIANZA DI CRISAFULLI

MA SE ASCOLTASSIMO I MALATI?

Salvatore Crisafulli ha 38 anni quando l’11 settembre del 2003 è coinvolto in un terribile incidente stradale. Privo di coscienza, Salvatore respira con un tubo infilato nel collo, le sue braccia sono ricostruite in sala operatoria, presenta una pesante frattura alla colonna vertebrale, i gravissimi danni celebrali riportati sono irreparabili.



Medici, esperti e luminari di ogni centro di riabilitazione neurologica italiana e straniera dichiarano che quello di Salvatore è uno stato vegetativo “permanente”, senza alcuna possibilità di ripresa o miglioramento, che non ha speranze di vita e che non durerà più di qualche anno.

Prima dell'incidenteI medici affermano che Salvatore non può capire, non può sentire, non può parlare; se alza la testa, se abbassa le palpebre, se muove gli occhi, se emette versi, si tratta di semplici riflessi involontari, comuni ad ogni povero disgraziato della sua condizione. La sua è totale incoscienza e tale rimarrà per sempre. La prima degenza di Salvatore Crisafulli, quella nella sua regione, al Centro studi Neurolesi di Messina, è un’esperienza disastrosa. Trascurato del tutto, viene trovato sempre defecato addosso e con catarri che fuoriescono dalla cannula della tracheotomia, la testa sempre girata verso sinistra, cosa che gli procura anche una piaga all'orecchio sinistro.

Nonostante le proteste il regime non cambia e quando i suoi familiari decidono di cambiarlo, lavarlo e pulirlo di persona notano che aveva delle piaghe anche sulle spalle. Ma al momento del cambio del pannolone assistono ad una visione orribile e indimenticabile: sul fondo della schiena c’è un’altra spaventosa piaga in stadio così avanzato e trascurato da essersi trasformato in un enorme buco profondo 6 centimetri, da cui fuoriusciva persino l’osso sacrale. Il trasferimento dal centro, con tanto di denuncia, è immediato. Inizia un calvario che durerà per molto tempo.

 La famiglia Crisafulli, per niente benestante, è però in gravi difficoltà economiche: gli sforzi fisici così come le spese che richiede la malattia di Salvatore sono enormi. Ma al peggio non c’è fine e così anche uno dei fratelli di Salvatore è coinvolto in un grave incidente stradale, costretto a rimanere a letto per una lunga fase di convalescenza. I familiari di Salvatore non hanno più possibilità né economiche né fisiche per accudirlo. Vengono lanciati diversi appelli di aiuto su tutti i principali giornali e reti nazionali, alla gente, alle Istituzioni. L’altro fratello di Salvatore, Pietro, minaccia addirittura di portarlo a morire in Belgio con eutanasia se nessuno si muoverà per aiutarlo. Si tratta però solo di una disperata provocazione, l’eutanasia è un’opzione rifiutata fin dal principio dalla famiglia Crisafulli, profondamente cattolica.

L'Italia assiste alla vicenda pietosa e scandalizzata, ma nessuno muoverà mai mano per prestare soccorso. Lasciata sola dal Paese e dalle Istituzioni, la famiglia Crisafulli non è del tutto sola: a scendere in campo al suo fianco è la Chiesa Cattolica. Lo stesso Papa Benedetto XVI richiede di incontrare Salvatore e famiglia in udienza in Vaticano, mentre la fondazione di Don Oreste Benzi, la Comunità Papa Giovanni XIII, si offre per sostenere la famiglia con mezzi economici e strutture. I problemi della famiglia Crisafulli sono terminati. Ma intanto è avvenuto qualcosa di straordinario. In una delle ultimi visite, questa volta ad Arezzo, la diagnosi medica è chiara: Salvatore non è più un vegetale e ha già ripreso coscienza da quasi due anni. Si tratta della Locked-In Sindrome (LIS), gli effetti sono occhio e croce gli stessi della SLA, cioè un ictus che immobilizza il corpo, ma lascia integre le funzioni cognitive. E' lo status di Piergiorgio Welby, l'unica differenza tra i due sta nelle due differenti cause e patologie che li hanno condotti in quella condizione. D’ora in poi Salvatore Crisafulli potrà riprendere a comunicare tramite un sofisticatissimo computer a scansione con lettere da individuare attraverso il movimento del capo e degli occhi, scegliendo il bersaglio giusto. Queste saranno le sue parole:


“Dopo circa sette mesi dal trauma sentivo e capivo tutto, avevo fame e sete, vedevo i miei familiari muoversi intorno al mio letto, volevo richiamare la loro attenzione gridando, ma dalla mia bocca non usciva alcun suono, i medici parlavano di stato vegetativo permanente ed irreversibile. Sentivo i medici dire che i miei movimenti oculari erano solo casuali, che ero del tutto incosciente, che la mia morte era solo questione di tempo, ed iniziavo ad aprire e chiudere gli occhi per attirare l'attenzione di chi mi stava attorno. Vivevo nel terrore. Pian piano incominciava la fase del mio risveglio, che viaggiava su due piani paralleli, quello fisicamente personale, di cui pian piano prendevo coscienza di ciò che mi era accaduto, assaporando lentamente il mio ritorno alla vita, e quello estremo, in cui cerco di convincere a chi mi sta intorno di essere veramente ancora vivo e vegeto, ma mi trovavo impossibilitato, prigioniero nel mio corpo che non mi rispondeva".


Salvatore Crisafulli è riuscito a scrivere anche un libro dal titolo “Con occhi sbarrati”. Come migliaia e migliaia di malati della sua condizione in tutto il mondo, oggi la sua ultima e grande lotta è quella contro l’eutanasia, la grande nemica contro cui ha lanciato il suo anatema:



“Dal mio letto di quasi resuscitato alla vita cerco anch’io di dare un piccolo contributo al dibattito sull’eutanasia.


Il mio è il pensiero semplice di chi ha sperimentato indicibili sofferenze fisiche e psicologiche, di chi è arrivato a sfiorare il baratro oltre la vita ma era ancora vivo, di chi è stato lungamente giudicato dalla scienza di mezza Europa un vegetale senza possibile ritorno tra gli uomini e invece sentiva irresistibile il desiderio di comunicare a tutti la propria voglia di vivere.


Durante quegli interminabili due anni di prigionia nel mio corpo intubato e senza nervi, ero io il muto o eravate voi, uomini troppo sapienti e sani, i sordi? Ringrazio i miei cari che, soli contro tutti, non si sono mai stancati di tenere accesa la fiammella della comunicazione con questo mio corpo martoriato e con questo mio cuore affranto, ma soprattutto con questa mia anima rimasta leggera, intatta e vitale come me la diede Iddio.


Ringrazio chi, anche durante la mia "vita vegetale", mi parlava come uomo, mi confortava come amico, mi amava come figlio, come fratello, come padre. Ma cos’è l’eutanasia, questa morte brutta, terribile, cattiva e innaturale mascherata di bontà e imbellettata col cerone di una falsa bellezza?


Dove sarebbe finita l’umana solidarietà se coloro che mi stavano attorno durante la mia sofferenza avessero tenuto d’occhio solo la spina da sfilare del respiratore meccanico, pronti a cedermi come trofeo di morte, col pretesto che alla mia vita non restava più dignità?


E invece tu, caro Pietro, sfidavi la scienza e la statistica dei grandi numeri e ti svenavi nel girovagare con me in camper per ospedali e ambulatori lontani. E urlavi in TV minacce e improperi contro la generale indifferenza per il mio stato d’abbandono. E mi sussurravi con dolcezza di mamma la ninna-nanna di "Caro fratello mio", per me composta, suonata, cantata e implorata come straziante inno d’amore, ma non d’addio.


Vi ricordate di quel piccolo neonato anencefalico di Torino, fatto nascere per dare inutilmente e anzitempo gli organi e poi morire? Vi ricordate che dalla sua fredda culla d’ospedale un giorno strinse il dito della sua mamma, mentre i medici quasi sprezzanti spacciavano quel gesto affettuoso per un riflesso meccanico, da avvizzita foglia d’insalata?


Ebbene, Mamma, quando mi coprivi di baci e di preghiere, anch’io avrei voluto stringerti quella mano rugosa e tremante, ma non ce la facevo a muovermi né a parlare, mi limitavo a regalarti lacrime anziché suoni. Erano lacrime disprezzate da celebri rianimatori e neurologi, grandi "esperti" di qualità della vita, ma era l’unico modo possibile di balbettare come un neonato il mio più autentico inno all’esistenza avuta in dono da te e da lui.


Sì, la vita, quel dono originale, irripetibile e divino che non basta la legge o un camice bianco a togliercela, addirittura, chissà come, a fin di bene, con empietà travestita di finta dolcezza.

Credetemi, la vita è degna d’essere vissuta sempre, anche da paralizzato, anche da intubato, anche da febbricitante e piagato. Intorno a me, sul mio personale monte Calvario, è sempre riunita la mia piccola chiesa domestica.

Mamma Angela, Marcello, Pietro, Santa, Francesca, Rita, Mariarita, Angela, Antonio, Rosalba, Jonathan, Agatino, Domenico, Marcellino, si trasfigurano ai miei occhi sbarrati nella Madonna, nella Maddalena, nella Veronica, in san Giovanni, nel Cireneo. Mi bastano loro per sentirmi sicuro che nessun centurione pagano oserà mai darmi la cicuta e la morte”.




Salvatore Crisafulli

Fonte: pagina Facebook di Salvatore Crisafulli

DAL RIFIUTO DELLA DISABILITA' ALLA SOPPRESSIONE PROGRAMMATA DEL MALATO

Eugenetica high tech


Il nodo dell’embrione umano continua ad essere al centro della bioetica e biopolitica contemporanee, un punto nevralgico in cui ne va del nostro futuro di esseri umani, del modo con cui pensiamo noi stessi e gli altri (compresi i concepiti) come appartenenti all’unico genere umano. Riconferma questa crucialità un intervento del senatore Ignazio Marino (Corriere della Sera, 28 novembre), che solleva problemi delicati. Scrive il senatore Marino: «Le tecniche per fare nascere un bimbo in provetta servono a una coppia con problemi di sterilità per coronare il loro progetto di famiglia, ma permettono anche di individuare alcune malattie fin dai primi stadi dello sviluppo dell’embrione, prima del suo impianto nell’utero materno. Sono malattie molto gravi come alcuni tumori o la talassemia». Marino introduce poi l’ipotesi che un giorno gli esseri umani potrebbero orientarsi in massa verso una riproduzione in provetta per avere la certezza di mettere al mondo figli sani. Quali orizzonti si aprono, domanda?



È chiaro che per raggiungere tale certezza si dovrebbe ricorrere a una selezione eugenetica degli embrioni creati in vitro al fine di impiantare solo quelli perfettamente sani. Eccoci dinanzi a un nodo veramente cruciale: chi e che cosa è l’embrione umano? Possiamo farne quello che vogliamo, praticando senza remore di coscienza una vera e propria eugenetica, sopprimendo gli embrioni difettosi prima dell’impianto o congelandoli (e in tal modo negando loro il diritto naturale allo sviluppo)?

Questo è il punto. Vi sono infatti ottime probabilità di curare numerose malattie ricorrendo alle cellule staminali non embrionali ma adulte (e dunque non sopprimendo gli embrioni), mentre non risultano analoghe possibilità di oltrepassare il problema dinanzi ad un embrione umano creato in vitro, e segnato da difetti più o meno gravi. Qui non abbiamo la possibilità di ricorrere ad altre vie d’uscita: o rispettiamo l’embrione umano sino in fondo come un essere umano a pieno titolo, oppure lo consideriamo una res nullius ed eugeneticamente lo sopprimiamo o lo condanniamo alla crioconservazione. Aggiungo che non stiamo parlando di terapie embrionali o fetali che rimangono legittime, se non implicano la soppressione del curato.

Può darsi che in futuro si possano effettuare diagnosi separate sui gameti maschile e femminile, onde selezionare quelli migliori prima della fecondazione, ma al di là dello stato attuale delle ricerche in merito, ciò condurrebbe a una completa separazione tra riproduzione in provetta e procreazione naturale, ossia alla Fivet sempre e comunque, la quale infine induce a pensare l’essere umano come mero prodotto di laboratorio: fatto, non procreato.



Il problema più scottante per il nostro futuro di uomini che intendano praticare un rispetto incondizionato per il genere umano e per ogni suo appartenente, riguarda l’illiceità della soppressione dell’embrione difettoso. L’eugenetica attuale, levigata e democratica, rigetta con orrore il sospetto di essere assimilata a quella nazista, da cui non differisce poi enormemente: mentre i nazisti praticavano un’eugenetica positiva mirando a migliorare l’ariano, e una negativa mediante la soppressione di razze ritenute inferiori e di individui "tarati", l’attuale eugenetica mira soprattutto a non far nascere i disabili. Essa si riserva l’ultima parola su come deve essere l’uomo per vedersi concesso il diritto di nascere, sebbene il diritto alla vita del portatore di malattie genetiche sia pari a quello del sano. L’eugenetica high tech, specializzata, utilitaristica suggerisce che per i disabili valga il detto: «Meglio morti che vivi». Per la mentalità eugenetica la strada è attaccare la malattia sopprimendo il malato, non farle guerra rispettando il paziente.

di Vittorio Possenti

Fonte: http://www.avvenire.it/

DICONO LIBERTA' MA E' SOLO ARBITRIO

di Michele Aramini, bioeticista


Paolo Flores d’Arcais in un recente intervento online argomenta in difesa della scelta del­la coppia Fazio-Savia­no di non concedere ai rappresentanti dei familia­ri di malati con grandi disabilità uno spazio per affermare le loro ragioni. L’argomento che usa per difendere la scelta di Fa­zio è il seguente: sono due diritti diversi. Mina Welby e Beppino Englaro avrebbero difeso il di­ritto alla libertà di scelta nei confronti della ma­lattia. I familiari dei malati rivendicano un dirit­to di cura che nessuno nega in linea di principio e che ha bisogno di essere sostenuto con aiuti con­creti. Di questo secondo diritto la trasmissione non trattava, quindi era fuori luogo la partecipa­zione di queste persone al dibattito sul diritto al­la libertà di scelta.

Aquesta argomentazione di Flores d’Arcais si può innanzitutto replicare che il diritto dei malati a una cura vera è un fatto così rilevan­te che con un minimo di sensibilità si poteva da­re loro degna rappresentanza mediatica, dato che c’era una pressante richiesta. Evidentemente il duo di conduttori ha ritenuto poco rilevante tutelare questo diritto. O forse l’ha giudicato contropro­ducente rispetto ai propri fini. Perciò Fazio, Sa­viano e i loro autori hanno usato il proprio po­tere mediatico come espressione di una fazione

Pche è già nota per il suo impegno pro-eutanasia. iù importante è mostrare come l’argomenta­zione citata sia fallace nella sostanza. Esiste un rapporto tra i due diritti: quello di morire su propria decisione e quello della cura? Ovviamente si. Ecco dove sta il legame che non viene visto. Il principio di autodeterminazione, per non appa­rire immediatamente assassino, ha bisogno di un concetto alleato che si chiama 'vita senza valore'. Solo se una persona viene dichiarata in condi­zioni di 'vita senza valore' si può procedere alla sua eliminazione, ammantando il gesto di no­biltà, di civiltà e di ogni altra retorica possibile. Questo perché anche l’arbitrio, con il seguito di violenza e di morte che ne segue, vuole apparire fattore di progresso e vera civiltà. Alle apparenze non rinuncia nessuno. Il concetto di vita senza valore ha un aspetto og­gettivo e uno soggettivo. Soggettivamente tutti i giorni possiamo pensare di non valere nulla, ma poi ci passa. Dal punto di vista oggettivo la gran parte delle persone che si trovano in condizione di grande disabilità possono essere classificate co­me vite senza valore.

Ecco il punto. Tutti gli amici che vivono amo­revolmente assistiti dai familiari vengono di­chiarati 'oggetti' e marginalizzati. I loro fa­miliari sono indeboliti nel rivendicare il diritto al­l’assistenza e qualcuno avrà il coraggio di chiamarli 'talebani della vita'. Il laico David Lamb da tem­po ci dice che esiste la concreta possibilità che , in una società in cui venga considerata lecita l’ucci­sione su richiesta, i moribondi e i grandi disabili finiscano in una situazione in cui sono costretti a esprimere il «loro desiderio di morire», come l’a­dempimento di un ultimo desiderio di buona creanza verso i viventi sani.

La connessione tra libera scelta e vita senza va­lore non è una trovata dialettica: è un dato in­controvertibile. Infatti anche il sostenitore più convinto del principio di autonomia non po­trebbe chiedere la morte per una persona sana. Per chiedere la morte si deve necessariamente dire che essa ha perso il suo valore, riducendo la persona al rango di oggetto. Non vedere questo legame tra il diritto alla libertà di scelta e il diritto alla cura è dovuto nel caso mi­gliore a cecità ideologica. Considerare poi la libertà senza alcun limite significa non aver compreso neppure il principio di autonomia che, nel pen­siero originale dell’illuminismo, si presenta non come assoluto ma come fonte di buoni legami tra gli uomini, che sono sempre fini e mai mezzi.

Fonte: http://www.avvenire.it/