venerdì 26 novembre 2010

ASCOLTIAMO MARIO MELAZZINI

Ecco quello che Mario Melazzini avrebbe detto. E che non potrà dire perchè i "democratici" Fazio e Saviano hanno paura delle idee e del confronto.

«La malattia non può discriminare nessuno. La dignità della vita è alla base dell’uguaglianza»



Diritto di morire o libertà di vivere? Eutanasia o accanimento terapeutico? Autodeterminazione o relazione clinica? Il confronto serio e costruttivo con tutti i protagonisti del dibattito in corso passa da una condizione preliminare: intendersi sulle parole, imbastire un lessico condiviso. Si ha un bel parlare dei diritti dell’individuo. In realtà questo individualismo, l’ideologia ufficiale della civiltà postilluminista, è un individualismo del ruolo e non della persona. Come nella trasmissione Vieni via con me: un esempio ecclatante! È opportuno che anch’io stili una "lista" di priorità:Il riconoscimento della dignità dell’esistenza di ogni essere umano deve essere il punto di partenza e di riferimento di una società che difende il valore dell’uguaglianza e si impegna affinché la malattia e la disabilità non siano criteri di emarginazione.


La dignità della vita, di ogni vita, è un carattere ontologico dell’essere umano e non dipende dalla qualità della sua vita, vista o vissuta solo come un concetto utilitaristico. Inaccettabile avallare l’idea che alcune condizioni di disabilità rendano indegna la vita e trasformino il malato in un peso sociale. Si tratta di un’offesa per tutti, ma in particolar modo per chi vive tali condizioni. Questa idea aumenta la solitudine delle persone con disabilità e delle loro famiglie, introduce nei fragili il dubbio di poter essere vittime di un programmato disinteresse da parte della società, e favorisce decisioni rinunciatarie.Avere la certezza che ognuno riceverà trattamenti, cure e sostegni adeguati. Si deve garantire al malato e alla sua famiglia ogni possibile, proporzionata e adeguata forma di trattamento, cura e sostegno.Promuovere, proteggere e assicurare il pieno e eguale godimento di tutti i diritti umani e di tutte le libertà fondamentali da parte delle persone con disabilità, e promuovere il rispetto per la loro inerente dignità: dall’inserimento lavorativo, alla vita indipendente, dall’integrazione scolastica al turismo accessibile, alla garanzia concreta di una continuità di risposte per la persona con disabilità e per la sua famiglia.Un corpo malato, disabile, non può diventare in nessun caso un fattore di isolamento, esclusione ed emarginazione dal mondo.


Effettuare concreti investimenti sul piano economico e su quello culturale per favorire un’idea di cittadinanza allargata che comprenda tutti, come da dettato costituzionale, e per riaffermare il valore unico e irripetibile di ogni essere umano, anche di chi è considerato "inutile" poiché giudicato incapace di dare un contributo diretto alla vita sociale.Rinsaldare nel Paese la certezza che ognuno riceverà trattamenti, cure e sostegni adeguati. Prima di pensare alla sospensione dei trattamenti si deve garantire al malato, alla persona con disabilità e alla sua famiglia ogni possibile, proporzionata e adeguata forma di trattamento, cura e sostegno.Approvare urgentemente i Livelli essenziali di assistenza "congelati" ormai da anni, Politiche di welfare efficaci. Tutela della vita. Oggi, una certa corrente di pensiero ritiene che la vita in certe condizioni si trasformi in un accanimento e in un calvario inutile, dimenticando che un’efficace presa in carico e il continuo sviluppo della tecnologia consentono anche a chi è stato colpito da patologie altamente invalidanti di continuare a guardare alla vita come a un dono ricco di opportunità e di percorsi inesplorati prima della malattia.Confrontandoci serenamente con la malattia, con la fragilità, tutti noi possiamo comprendere qualcosa di più sulla nostra comune condizione di esseri umani. Proviamoci.


Mario Melazzini

presidente nazionale Associazione Sclerosi laterale amiotrofica - Aisla

fonte: http://www.avvenire.it/
OGGI MARIO MELAZZINI
SARA' IN UNIVERSITA' CATTOLICA
A MILANO

ORE 16.00
AULA G.126 CARD. FERRARI

TI ASPETTIAMO!!!

giovedì 25 novembre 2010

CDA RAI: ANCHE I MALATI POSSONO PARLARE

Il Cda Rai: famiglie e malati
hanno diritto di parola

Il Cda della Rai ha approvato un ordine del giorno firmato dal consigliere Rodolfo De Laurentiis e sostenuto dalla maggioranza, per far replicare, nell'ultima puntata di "Vieni via con me", il programma di Fabio Fazio e Roberto Saviano, le associazioni che si battono per il diritto alla vita rispetto a quanto è stato sostenuto in trasmissione sui casi Englaro e Welby.

Un odg passato con alcune modifiche e che - secondo quanto si apprende da fonti del consiglio - ha provocato la spaccatura dell'opposizione. In segno di protesta, infatti i consiglieri Giorgio Van Straten e Nino Rizzo Nervo hanno abbandonato la seduta senza partecipare al voto.

Prima della riunione a Viale Mazzini, Rodolfo De Laurentiis, consigliere di minoranza Rai e autore dell'ordine del giorno passato oggi in CdA, aveva invitato il Consiglio ad approvarlo. Ad esprimersi a favore dell'odg anche il presidente della Rai Paolo Garimberti. De Laurentiis si era anche appellato al direttore generale e al direttore di Raitre Paolo Ruffini affinché venissero "individuate le modalità per consentire alle associazioni che lottano per la vita il diritto di replica nel programma di Fabio Fazio e Roberto Saviano". Per De Laurentiis "così come il ministro Maroni ha chiesto e ottenuto di replicare a Saviano nella scorsa puntata, chiedo che venga data voce alle associazioni pro-vita in merito al tema dell'eutanasia".

FONTE: www.avvenire.it

INTANTO DOMANI
VIENI A SENTIRE
MARIO MELAZZINI,

ORE 16.00, 
AULA G.126 CARD. FERRARI

UCSC - MILANO
LARGO GEMELLI 1

mercoledì 24 novembre 2010

SOCCI: SERRA E COMPAGNI, VERGOGNA!


Sul settimanale satirico “Cuore” c’era una volta la rubrica “Vergogniamoci per loro”, presentata come un “servizio di pubblica utilità per chi non è in grado di vergognarsi da solo”.
Forse oggi dovremmo ricordare quella rubrica proprio a Michele Serra, il fondatore di “Cuore”. Chiedendogli se non crede di meritarla dopo il corsivo che ieri ha pubblicato sulla Repubblica.
Io penso che gli esseri umani, seppure divisi da occasionali diversità di vedute, possano e debbano incontrarsi nell’universale pietà per il dolore che segna tragicamente la nostra condizione umana. Credo che Serra dovrebbe rifletterci seriamente.
Purtroppo ieri, lui che è uno degli autori di “Vieni via con me”, ha liquidato col ditino alzato la richiesta di molte persone affette da gravi malattie, che lottano per vivere e per vivere in condizioni migliori, di potersi raccontare in quel programma così come, nello stesso programma, è stata raccontata la storia di Welby e degli Englaro.  
Da una settimana questi malati lo chiedono ogni giorno dalla prima pagina di “Avvenire”, denunciano che si sentono soli, silenziati e che vogliono continuare a vivere. Ma a quanto pare Serra, Saviano, Fazio e compagni, hanno decretato che costoro non hanno diritto di parola nella “loro” televisione.
Certo la pietà verso il dolore degli altri esseri umani, visitati da malattie terribili, non è un dovere di legge. Ma quando si tratta di televisione pubblica è anche un problema collettivo. 
Il corsivo di Serra mi è parso alquanto infelice laddove definisce certi ammalati come coloro che “desiderano rimanere in vita a oltranza”. Con una vena di (spero involontaria) ironia.
Serra è arrivato a sostenere che quanti li assistono hanno “un vantaggio oggettivo” (sic!), che sarebbe quello di “operare senza ostacoli giuridici e senza alcuna ostilità di tipo etico”.
Mi auguro che chi scrive cose del genere non debba mai sperimentare direttamente, sulla propria pelle o su quella dei suoi cari, questo meraviglioso “vantaggio” di cui favoleggia.
Spero che non conosca mai lo strazio disumano di vedere un giovane figlio in coma e di non sapere se si sveglierà e in quali condizioni.
Se Serra uscisse dal suo salotto ideologico piccolo borghese, dove le parole stanno col culo al caldo come lui,  e se andasse negli ospedali ad ascoltare chi vive quel dolore feroce, imparerebbe che alla tragedia – già insopportabile – dei nostri figli crocifissi (dalla Sla o dal coma o da altri orrori) ogni famiglia deve aggiungere l’umiliazione e la sofferenza di trovarsi pressoché sola, smarrita in un inferno, senza aiuti, senza mezzi, senza sostegno (tanto che spesso qualcuno – mamma o papà – è costretto addirittura a lasciare il lavoro).
Ed è una beffa affermare che costoro non hanno ostacoli giuridici o etici.
Sulla sua comoda amaca, Serra sembra non curarsi del grido di aiuto che sale da tante famiglie che letteralmente si svenano e si sfasciano per poter soccorrere i loro figli precipitati nel buio.
Costoro non hanno diritto di raccontare la loro strenua lotta per la vita a “Vieni via con me”. Anzi.
Serra arriva addirittura a definire i cattolici, che vogliono dar voce a questi malati e alle loro famiglie silenziate, come “i forti” che pretenderebbero di coartare i deboli, perché si permettono “di protestare dall’alto di una libertà riconosciuta” per chiedere di far parlare tutti.
Ma che vuol dire? Serra scrive: “dall’alto di una libertà”. Ma di quale altezza e di quale libertà sta sproloquiando? E’ lui, Serra, che pontifica “dall’alto” della sua libertà di opinionista, sano (buon per lui) e autore televisivo.
I nostri figli invece vivono nel baratro della malattia. Dove non hanno neanche la libertà di muovere una mano o di pronunciare una parola o di mangiare.
Serra aggiunge un’altra espressione: “dall’alto di una libertà riconosciuta”. Quale “libertà riconosciuta” avrebbero un ragazzo crocifisso e i suoi genitori? Allude forse alla libertà di vivere?
Dobbiamo forse considerare  una graziosa concessione dello Stato o di lorsignori pensatori il fatto che una figlia ammalata viva?
Non credo. Tale libertà non è una concessione di nessuno stato.
Il problema è semmai rappresentato dalle tantissime libertà che questi malati non hanno. Praticamente non hanno nessuna libertà e – adesso – viene negata loro anche la libertà di gridare in televisione la loro richiesta di aiuto.
Non è serio né giusto cambiare le carte in tavola. Questi malati, insieme ai cattolici – a dire di Serra – protestano “dall’alto di una libertà riconosciuta contro chi uguale libertà non ha. Forti che protestano contro deboli: non è neanche molto sportivo”.
E’ un capovolgimento della verità scandaloso. Perché nessuno dei malati che ogni giorno Avvenire mette in prima pagina ha protestato “contro” Welby o Englaro.
Nessuno di loro ha preteso di impedire che venisse raccontata di nuovo in tv la storia di Welby o Englaro. Semplicemente chiedono di poter raccontare pure la loro.  
I “forti” casomai sono Serra, Fazio e Saviano che da tv e giornali – a loro disposizione – teorizzano che questi non abbiano diritto di parola nel loro programma (dando evidentemente per scontato che la Rai sia cosa loro e non una televisione pubblica, pagata dai soldi di tutti).
Questa logica dei forti contro i deboli si piega solo davanti ad altri forti, come il ministro dell’Interno che è riuscito a ottenere una replica, perché è un ministro potente. Ma ai deboli nulla sembra sia dovuto.
Invece tutti abbiamo – o dovremmo avere – il dovere della pietà. E della solidarietà. Parole che forse non hanno (più) cittadinanza a sinistra.

 Antonio Socci
Da “Libero” 24 novembre 2010

lunedì 22 novembre 2010

AMNESTY ELOGIA CUBA E PROMUOVE L'ABORTO


Con un comunicato del 28 settembre Amnesty International ha chiesto la liberalizzazione dell’aborto in Cile, Nicaragua e El Salvador. L’Associazione se l’è presa in particolare contro il Nicaragua sostenendo che il Paese sarebbe “andato indietro” perché ha limitato l’aborto in qualsiasi circostanza. Nel più grande Paese del Centroamerica, Amnesty insieme ad altre associazioni abortiste ha raccolto 37000 firme per chiedere l’autorizzazione al libero aborto. Inoltre, nel comunicato, Amnesty elogia il governo dittatoriale di Cuba, perché ha invece liberalizzato l’aborto diversi decenni fa. E’ perlomeno strano che la stessa organizzazione non dica nulla circa il fatto che a Cuba vige la pena di morte, applicata anche contro gli oppositori del regime. A questo proposito è drammatico constatare in che modo il regime cubano, elogiato da Amnesty, tratta coloro che difendono la vita. Oscar Elias Biscet, un medico cattolico cubano, che si è battuto contro l’aborto, l’eutanasia e le fucilazioni, è stato ingiustamente condannato nel 2003 a 25 anni di carcere.
Affermiamo essere assolutamente vergognoso, e ci domandiamo come sia possibile, che una organizzazione che dice di essere per i “diritti umani” possa accanirsi invece proprio contro i più deboli ed indifesi, i figli concepiti. Ci limitiamo a ripetere le chiare parole di Giovanni Paolo II al riguardo: “nessun movimento per la pace è degno di questo nome, se non condanna e non si oppone con la stessa forza alla battaglia contro la vita nascente”, e ci auguriamo che i molti ignari sostenitori di Amnesty, magari invece sensibili alla difesa del diritto alla vita di ogni uomo, possano ripensare il loro sostegno a tale organizzazione.

Alberto Tibaudi
Dellagiulia Piergiorgio
Movimento per la vita nella Provincia di Cuneo 

sabato 20 novembre 2010

SOCCI SCRIVE A SAVIANO

Caro Roberto,




vieni via con me e lascia i tristi a friggere nel loro odio. Questo è un invito pieno di stima: vieni a trovare mia figlia Caterina.



Ti accoglierò a braccia spalancate e se magari ne tirerai fuori l’idea per un articolo, potrai devolvere un po’ di diritti alle migliaia di bambini lebbrosi che sto aiutando tramite i miei amici missionari i quali li curano nel loro lebbrosario (in un Paese del terzo mondo).



Vieni senza telecamere, ma con il cuore e con la testa con cui hai scritto “Gomorra”, lasciandoti alle spalle i fetori dell’odiologia comunista (a cui tu non appartieni) che si respira in certi programmi tv.



Mi scrivesti – ti ricordi ? - quando io ti difesi su queste colonne per il tuo bel libro.



Ora io, debole, scrivo a te forte e potente, io padre inerme in lotta con l’orrore (e in fuga dalla tv) scrivo a te, star televisiva osannata, io cristiano controcorrente da sempre, scrivo a te che stimo: vieni a guardare negli occhi mia figlia venticinquenne che sta coraggiosamente lottando contro un Nemico forse più tremendo di quei quattro squallidi buzzurri che sono i camorristi.



Lei non si arrende all’orrore, come non ci si arrende alla camorra. Vieni a vedere il suo eroismo e quello di tanti altri come lei, che – come dice Mario Melazzini, rappresentante di molti malati di Sla – sono silenziati dal regime mediatico del ‘politically correct’ nel quale tu, purtroppo, hai accettato di diventare una stella.



Vieni. Vedrai gli occhi di Caterina, ben diversi da quelli arroganti e pieni di disprezzo delle mezzecalzette o dei tromboni che civettano nei salotti intellettuali e giornalistici.



Magari potrai vedere addirittura la felicità dentro le lacrime e forse eviterai di straparlare sull’eutanasia, sulla malattia o sul fine vita (come hai fatto lunedì scorso) imponendo il tuo pensiero unico, perché i malati, i disabili che implorano di essere aiutati e sostenuti, nel salotto radical-chic tuo e di Michele Serra, non hanno avuto diritto di parola.



Come non ce l’hanno – in questa dittatura del pensiero unico – i bambini non nati o i cristiani macellati da ogni parte e disprezzati o condannati a morte per la loro fede: è il caso della giovane Asia Bibi.



Vedi, a me non frega niente della tua diatriba col ministro Maroni: siete due potenti e avete gli strumenti a vostra disposizione per battervi. Non c’è bisogno di galoppini che osannino l’uno o l’altro.



A me importa dei deboli, dei malati, dei piccoli, dei poveri che sono ignorati, silenziati e umiliati in televisione. A cominciare dal programma di Michele Serra dove recitate tu e Fazio. Dove si taglia a fette il disprezzo per la Chiesa.



Per la Chiesa che tu sai bene – caro Roberto – ha lottato contro la camorra e la mafia ben prima di te e con uomini inermi e poveri che ci hanno pure rimesso la pelle.



La Chiesa che conosce i sofferenti e i miseri, li ama e quasi da sola soccorre tutti i disperati della terra, un po’ più di Michele Serra di cui ho sentito parlare solo nei salotti giornalistici, non in lebbrosari del Terzo Mondo o nei bassifondi di Calcutta (di Fabio Fazio neanche merita occuparsi).



E’ un peccato che tu metta il tuo volto a far da simbolo di un establishment intellettuale che non ha mai letto il tuo e mio Salamov e non ha mai combattuto l’orrore rosso che lui denunciò e contro cui morì.



Quello sì che sarebbe anticonformismo: andare in tv a raccontare Kolyma che è con Auschwitz l’abisso del XX secolo, ma che – a differenza di Auschwitz – non è mai stata denunciata nella nostra cultura e nella nostra televisione!



Abbiamo visto nel tuo programma lo spettro del (post) comunismo che legittimava lo spettro del (post) fascismo. Dandoci a bere che loro hanno “i valori”. Anzi: solo loro. Visto che solo loro sono stati ritenuti degni di proclamarli.



Il rottame dell’odiologia del Novecento che ha afflitto l’umanità e in particolare l’Italia è davvero quello che oggi ha i titoli per sdottoreggiare di valori?



Mi par di sentire mio padre minatore cattolico – che lottò in vita contro il comunismo e contro il fascismo – che, quando era ancora fra noi, si ribellava davanti a questa tv e gridava: “Andate al diavolo!”.



Quelli come lui – che hanno garantito a tutti noi la libertà e il benessere di cui godiamo – non ce li chiamate a proclamare i loro valori.



Perché sono state le persone comuni come lui a capire la grandezza di un De Gasperi e ad aiutarlo, ricostruendo l’Italia. Invece gli intellettuali italiani del Novecento sono andati dietro ai pifferi di Mussolini e di Togliatti (e di Stalin).



E dopo questo tragico abbaglio l’establishment intellettuale di oggi ancora pretende di indicare la via, gigioneggiando su tv e giornali.



Pretendono di fare la rivoluzione (etica naturalmente) con tanto di contratto o fattura (sacrosanta retribuzione per la prestazione professionale, si capisce).



Sono il regime e pretendono di spacciarsi per l’eresia, incarnano la pesantezza del conformismo e si atteggiano a dissidenti, sbandierano le regole per gli altri e se ne infischiano di quelle che dovrebbero osservare loro, predicano la tolleranza e non tollerano alcune diversità culturale e umana.



Come se non bastasse proclamano l’antiberlusconismo etico e antropologico e con l’altra mano (molti di loro) firmano contratti con le aziende di Berlusconi come Mondadori, Mediaset o Endemol (di o partecipate da Berlusconi).



Pensa un po’ Roberto, io pubblico con la Rizzoli e lavoro per la Rai. Ti assicuro che si può vivere dignitosamente anche senza lavorare con aziende che fanno capo al gruppo Berlusconi, visto che (a parole) viene così schifato da questa intellighentsia.



Caro Roberto, l’altra sera mia figlia Caterina stava ascoltando un cd con canti polifonici che lei conosce bene (perché li cantava anche lei). Era molto concentrata ad ascoltare una laude cinquecentesca a quattro voci che s’intitola: “Cristo al morir tendea”.



In essa Maria parla di Gesù ai suoi amici, agli apostoli. E quando le sue struggenti parole – cantate meravigliosamente – hanno sussurrato “svenerassi per voi” (si svenerà per voi), Caterina – che non può parlare – è scoppiata a piangere.

Questa commozione per Gesù – che nei salotti che oggi frequenti è disprezzato come nei salotti di duemila anni fa – ha cambiato il mondo e salva l’umanità.



E’ la stessa commozione di Asia Bibi, la giovane madre condannata a morte perché – a chi voleva convertirla all’Islam – ha risposto: “Gesù è morto per me, per salvarmi. Maometto cos’ha fatto per voi?”.



Ecco, caro Roberto, questa commozione per un Dio che ama così è il cristianesimo.



E tu hai conosciuto uomini che per l’amicizia di Gesù, per amare gli esseri umani come lui, hanno scommesso la vita, hanno dato se stessi. Quando si sono visti quei volti come si può sopportare di vivere in un mondo di maschere e di recitare nei loro teatrini?



Ti abbraccio,







Antonio Socci







Da “Libero” 19 novembre 2010

lunedì 15 novembre 2010

MELAZZINI SU "VIENI VIA CON ME"

Melazzini: «Saviano e Fazio ascoltino 

anche chi vuole vivere»

FONTE: www.tempi.it

Il presidente dell'Aisla Mario Melazzini: «Questa società di benpensanti crede che la disabilità non sia conciliabile con una vita degna di essere vissuta. Se daranno voce solo a una parte saranno scorretti e antidemocratici»

di lg
«Ci sono migliaia di persone che vivono in condizioni simili a quelle di Englaro e Welby e gridano di essere sostenuti e aiutati. Ma non vengono ascoltati. Se davvero a Vieni via con me, e il condizionale è d'obbligo, venisse data voce solo alla sentenza della Corte di Cassazione, sarebbe scorretto e antidemocratico». Mario Melazzini, presidente dell'Aisla (Associazione italiana sclerosi laterale amiotrofica) e malato di Sla, da anni impegnato a viaggiare per l’Italia e a dare voce ai malati che vogliono vivere ed essere aiutati dallo Stato, ha commentato così a Tempi la possibilità che, come annunciato, durante la trasmissione condotta da Roberto Saviano e Fabio Fazio, venga letto un elenco su alcuni principi di diritto sanciti dalla Corte di Cassazione che nel 2008 decretò che l'alimentazione e l'idratazione di Eluana Englaro potevano essere legalmente sospese.

Dott. Melazzini, sembra che staserà verrà data voce solo a coloro che appoggiano l'eutanasia.
Se lo faranno, eviteranno ancora una volta di tenere conto di tutte le persone che, nelle stesse condizioni di Englaro e Welby, vogliono che venga riconosciuto il loro diritto alla vita. Se loro faranno conoscere solo una voce del coro, saranno scorretti e antidemocratici.

Che cosa dovrebbero fare?
Dovrebbero sentire anche l'altra parte, quella dei cittadini italiani che rispettano chi la pensa come Englaro o Welby, ma che vogliono portare all'attenzione di tutti le persone che versano in gravi condizioni di disabilità e salute ma vogliono vivere.

Perché i malati che vogliono vivere non vengono ascoltati?Oggi c'è una incredibile carenza di sensibilità verso queste persone che soffrono. Siamo in una società di benpensanti che crede che la condizione di disabilità non sia conciliabile con una vita degna di essere vissuta. Noi chiediamo che sia rispettato il diritto alla vita dei malati in così gravi condizione di salute, e che vengano aiutati. Sembra, invece, che solo la sentenza di Cassazione meriti supporto e spazio.


VIENI A INCONTRARE

MARIO MELAZZINI

VENERDI' 26 NOVEMBRE

ORE 16.00


AULA G.126 CARD. FERRARI

IN CATTOLICA

A MILANO


SEDE CENTRALE,


LARGO GEMELLI 1

giovedì 11 novembre 2010

MARIO MELAZZINI in Cattolica

NIENTE DI INCURABILE

una testimonianza di
MARIO MELAZZINI

modera
prof. ENRICO MARIA TACCHI

"Ci sono malattie inguaribili,
ma non ci sono malattie incurabili"
Mario Melazzini

VENERDI' 26 NOVEMBRE
ORE 16.00
AULA G.126 CARD. FERRARI

UNIVERSITA' CATTOLICA
MILANO

mercoledì 10 novembre 2010

SPOT RADICALE PRO-EUTANASIA IN ARRIVO

Prepariamoci. Perché tra poco, su una serie di importanti emittenti locali lombarde, passerà uno spot pro-eutanasia. Prodotto in Australia dove però è stato subito censurato, è stato prontamente tradotto e importato dai radicali italiani, che ora ne pagheranno la diffusione. Salvo, ovviamente, l’eventuale stop del garante.


Nel video un attore, impersonando un malato, spiega che ha fatto la sua “scelta finale” e chiede che il governo lo “ascolti”. Poi, con la tattica ormai usuale del caso pietoso + sondaggi favorevoli = fate la legge che vogliamo noi, subito ci spiegano che “il 67% degli italiani è favorevole alla legalizzazione dell’eutanasia”.

Nulla di nuovo sotto il sole, in realtà. Nel senso che anche, tanto per fare un esempio, già ai tempi della legge 40 ci spiegavano che percentuali bulgare di italiani erano favorevoli alle istanze radicali. Peccato che, quando poi c’è stato da concretizzare il tutto, le cifre sbandierate non hanno trovato alcuna corrispondenza nella realtà dei fatti.

Tutto tranquillo dunque? Non proprio. Perché la negatività dello spot non è da sottovalutare. Guardiamo alla concretezza del messaggio e a ciò che è scritto (meglio: detto) tra le righe: il malato è solo, non è attaccato ad alcuna macchina e con una donna che resta sempre alle sue spalle, senza mai parlare. Quella che vogliono far passare è l’idea che la malattia sia una questione solo e soltanto del malato. Che – solo – può decidere che non ce la fa più e porre fine alla sua vita. E questo vale per tutti i malati, sembra dirci lo spot, non solo per i “casi limite” che vivono solo grazie all’aiuto di speciali macchinari. Tutti, a un certo punto, devono poter decidere di farla finita. E lo Stato, semplice strumento del volere di alcuni, deve anche garantire questo loro presunto diritto. Il che, ovviamente, implicherebbe il “dovere” per lo Stato di ammazzare un suo cittadino.

Agghiacciante? Non è finita qui. Perché c’è una donna che, come detto, resta ferma e zitta alle spalle del malato. Lontana da lui perché, appunto, secondo lo spot la malattia e la cura sono cose solitarie. In quella donna ferma e zitta è contenuto il messaggio (subliminare ma non troppo) che daremmo ai malati se legalizzassimo l’eutanasia. “Voi siete un peso – diremmo loro – sia per i vostri cari che per la società. Siete un costo non più produttivo, siete inutili, è meglio se vi levate di torno. Fareste un favore a voi stessi e anche agli altri”.

La spirale che si innescherebbe (e che in alcuni paesi si è già innescata) è tremenda, perché finirebbe per fiaccare anche la voglia di quelli che chiedono di lottare. Che verrebbero sempre, costantemente e continuamente, messi di fronte alla seguente scelta: “Io, Stato, ti do gli strumenti per levarti di torno senza dare troppi problemi. Sei veramente sicuro di voler continuare ad essere un peso per i tuoi cari e una spesa per le mie casse?”.

Come ricordano sempre l’oncologa Sylvie Menard e il dottor Mario Melazzini, le richieste di eutanasia dei malati sono sempre, in realtà, richieste di aiuto. E quello che è necessario fare, per rispondere al grido di dolore di queste persone, non è certo abbandonarle a loro stesse. Il modo in cui una società giusta deve rispondere a chi è debole, in difficoltà, e chiede aiuto è prendersi cura di loro. Nel vero senso della parola.

Prendersi cura di un malato non significa solo dargli il farmaco giusto, scegliere la terapia migliore e parcheggiarlo nel reparto corretto. Questa, come spiega spesso Mario Melazzini, è solo una parte. Prendersi cura del malato significa vederlo come una persona e non come una patologia ambulante. Significa rincuorarlo quando è scoraggiato, stargli vicino quando è solo, capire le sue esigenze profonde e far sì che veda nel medico non il mero esecutore di alcune tecniche (come invece vorrebbe Veronesi) ma anzitutto un volto sorridente e una mano che sostiene. Sempre.

E prendersi cura veramente non è solo una cosa “da medici”. E’, prima di tutto e principalmente, una cosa da uomini, da “animali sociali” che non dimenticano il loro essere relazionali e che danno una mano al loro simile in difficoltà. Loro chiedono l’eutanasia? E noi rispondiamo prendendoci cura veramente di ogni malato.

Un ultimo dettaglio strategico, che forse stona con il resto dell’articolo ma che è opportuno dire. Stiamo attenti! Ignazio Marino si è già espresso contro lo spot perché dice che lede alla battaglia per il testamento biologico. Ecco, qui casca l’asino. Vogliono farci credere (ancora una volta, come hanno fatto con la legge 40 e con la legge 194) che, proprio per rifiutare le richieste radicali di eutanasia a tutto tondo bisogna accettare un “compromesso”. Per esempio, come di fatto vorrebbe Marino, eutanasia solo in certi casi. Stiamo attenti a non cadere nella loro trappola, perché ancora una volta ad essere in ballo è la vita delle persone.

martedì 9 novembre 2010

NATA DOPO NEMMENO 23 SETTIMANE

Angelica, la neonata che manda in crisi i filosofi della vita


Il ritorno di Angelica a casa sana e ben curata ha fatto esclamare di gioia e stupore tutti i giornali questa settimana: Angelica, piccola bambina nata con un peso di 550 grammi all’Ospedale S. Camillo di Roma, quando non aveva ancora passato le 23 settimane di gestazione. È un fatto di un’evidenza tale da far mutar opinione a chi propone limiti netti alla rianimazione dei prematuri nati a meno di 26 settimane dal concepimento.

Purtroppo sappiamo che è solo l’inizio di una presa di coscienza, perché in molti Paesi occidentali l’assistenza per far sopravvivere i neonati estremamente piccoli segue dei criteri diversi da quelli che si seguono per l’assistenza e per la sopravvivenza di un adulto che abbia lo stesso rischio di morte o di invalidità. Per alcuni, Angelica, perché nata troppo presto, non si doveva assistere: un adulto che cade da un balcone e appare in fin di vita invece sì. Sembra impossibile, eppure è così: vari fatti lo confermano.

Studi condotti da una ricercatrice canadese, Annie Janvier mostrano che a parità di alto rischio per la salute, tra neonato e adulto i medici intervistati tendono a trattare con meno vigore il neonato, fino all’estremo di non trattare per nulla. Ma non basta: per rianimare i piccolissimi, in alcuni Paesi si aspetta l’esplicita richiesta dei genitori, pur sapendo che questi potrebbero avere un conflitto di interessi col minore (non tutti i padri e le madri sono meravigliosi, ci insegna la cronaca) e soprattutto sapendo che alla nascita prematura e improvvisa sono entrambi disorientati e spesso sconvolti.

E i filosofi rinomati e famosi asseriscono che i neonati non sono persone come gli altri, perché mancano di capacità di “autonomia”, che secondo loro è la caratteristica che distingue gli esseri umani in “persone” e “non persone”. Ed esistono dei protocolli che invitano a non rianimare i bambini anche se hanno una possibilità non trascurabile di sopravvivere, dato che, al converso, hanno una possibilità - neanche confermata- di disabilità.

Ma Angelica è tornata a casa: ha trovato dei medici che sapevano che la sopravvivenza anche a 22 settimane è rara, ma non è impossibile: per molte casistiche è 1 su 10-15. Medici che non avevano certezze sulla prognosi in sala parto, perché alla nascita non si sa se quello sarà il bambino che ce la farà; ma hanno dato comunque una chance. Ma erano medici che sanno, come risulta da uno studio svedese, che gli ospedali che rianimano senza fare una selezione sulla base del rischio di handicap e morte, come vorrebbero i protocolli suddetti, invece di avere una percentuale maggiore di bambini con handicap, hanno addirittura una percentuale significativamente minore. Sapendo certo che esiste una soglia sotto cui non rianimare e un limite ai tentativi.

Detto questo, il discorso ci porta ben oltre i criteri e le settimane da considerare. Perché il fatto è più profondo: implica lo status di “persona” che alcuni filosofi non italiani vorrebbero togliere al neonato. Dopo averlo tolto al feto, cosa impedisce di revocarlo anche al bambino prematuramente nato, dato che ha le stesse dimensioni di un feto? Forse è questo che magari inconsciamente fa trattare il neonato differentemente dall’adulto.

Quest’erosione del “diritto di cittadinanza” è affermata come etica e morale in importanti riviste, e ci pone la domanda: per noi cosa è la persona? È l’essere umano in quanto tale o in quanto ha certe caratteristiche? Chi accogliamo “tra i nostri”? Tutti, oppure solo quelli che rispondono a certi dettami? È una domanda che, vedremo, riguarda anche gli adulti disabili mentali e altre categorie che un po’ alla volta si stanno vedendo negare il diritto di essere chiamati “persone”.

Ma la vicenda di Angelica, la gioia dei suoi genitori e il coraggio degli infermieri e medici che l’hanno curata dandole una chance, getta una luce su tutto questo: guardarla fa superare di getto la divisione in umani di serie A e B. Angelica conta semplicemente perché c’è. Questa è la sfida. 

FONTE: www.ilsussidiario.net

lunedì 8 novembre 2010

RIPENSARE LA FIVET

RIPENSARE LA FIVET:
PER FARE UN PO'
DI CHIAREZZA.

INTERVIENE:
PROF. ELENA COLOMBETTI
CENTRO DI ATENEO DI BIOETICA

MERCOLEDI' 10 NOVEMBRE
ORE 17.30
AULA G.114 BISLETI
UNIVERSITA' CATTOLICA - MILANO

ORGANIZZA:
MOVIT MILANO