giovedì 17 dicembre 2009

BUZEK RICEVE I PRO LIFE EUROPEI

Il presidente del Parlamento europeo, il polacco Jerzy Buzek, ha ricevuto oggi i rappresentanti dei movimenti per la vita e per la famiglia di 17 Paesi (Austria, Spagna, Irlanda, Italia, Polonia, Germania, Portogallo, Lituania, Francia, Repubblica ceca, Ungheria, Romania, Belgio, Croazia, Grecia, Regno Unito e Slovacchia) che hanno presentato una petizione sottoscritta da 500mila cittadini europei.

Nella petizione si chiede il riconoscimento della persona dal concepimento alla morte naturale; la difesa della famiglia naturale fondata sul matrimonio composta da uomo e donna e la richiesta di sospensione dei finanziamenti ai programmi che utilizzano embrioni per l'acquisizione di cellule staminali embrionali.

Il Presidente del Parlamento ha ringraziato personalmente ognuno dei delegati ed ha affermato: “E' un risultato straordinario che mezzo milione di cittadini di tanti Paesi dell'Unione abbiamo sottoscritto una petizione rivolta al Parlamento europeo. E’ la prima volta che una petizione condivisa da così tante associazioni e di così tanti Paesi viene sottoposta al Parlamento Europeo”.

“Mi impegno personalmente – ha concluso Buzek – a che questa petizione diventi al più presto oggetto di discussione nel Parlamento Europeo”.

Nella presentazione della Petizione, il presidente della Commissione Affari costituzionali del Parlamento europeo, Carlo Casini, ha rilevato che “Alla base della costruzione europea vi è il valore della uguale dignità di ogni essere umano, come dice il trattato di Lisbona proprio in questi giorni entrato in vigore. L’uguaglianza e la dignità umana fondano la libertà, la democrazia, la solidarietà. Sono, perciò, gli elementi che contraddistinguono l’anima dell’Europa”.

“Qui si inserisce” conclude Casini, che è pure presidente del Movimento per la vita italiano “la nostra petizione e la domanda di fondo che pone: chi è il titolare dei diritti umani? Chi è l’uomo? Lo è anche il bambino in fase prenatale e il malato terminale?“

giovedì 10 dicembre 2009

L'ULTIMA TROVATA DEGLI AMBIENTALISTI

PIU' ABORTI IN AFRICA PER SALVARE LA TERRA

di Gianfranco Amato

Ecco l’ultima proposta dagli allarmisti del global warming. Le emissioni di carbonio possono essere ridotte attraverso un’iniziativa “caritatevole” da parte dei consumatori del mondo sviluppato nei confronti dei Paesi poveri del pianeta: pagare per garantire loro i mezzi di controllo e di riduzione delle nascite. Condom e aborto per combattere il riscaldamento globale.

Verrebbe da sorridere se non fosse che questo bislacco progetto è stato ideato e finanziato da una delle più prestigiose fondazioni britanniche, l’Optimum Population Trust (OPT), che, a dire il vero, nonostante l’impostazione culturale liberal, già nel nome ricorda più i componenti della fazione aristocratica conservatrice della tarda Repubblica romana, gli optimates, i migliori, appunto.
Che tutta l’iniziativa nasconda una venatura aristocratica e classista, lo dimostra la finalità del progetto dell’OPT, volto a finanziare chi, nei Paesi in via di sviluppo, non ha la possibilità di abortire bambini indesiderati. I ricercatori dell’OPT stimano, infatti, che nel mondo, ogni anno, siano più di 80 milioni le gravidanze non desiderate.
Dietro un simile progetto, in realtà, ci sono quattro ragguardevoli personaggi di peso che rappresentano il Gotha dell’ambientalismo britannico. Si tratta di Sir David Attenborough, dell’ex ambasciatore Sir Crispin Tickell, dell’onorevole Jonathon Porritt e del Professor James Lovelock. Cosa dicono questi esimi e illustri esponenti della prestigiosa “environmental charity”?
Semplicemente che la ricetta più efficace per scongiurare l’imminente catastrofe dovuta al global warming è quella di un’intensa campagna di family planning nei Paesi del Terzo Mondo. Condom e aborto per evitare le gravidanze indesiderate, quelle che soprattutto le povere nere sono costrette a subire.
Ovviamente, nessuna delle quattro eccelsi menti si sogna che forse è proprio a causa della povertà che molte gravidanze sono “indesiderate”. E che, forse, sarebbe meglio risolvere prima il problema scandaloso dell’indigenza della maggior parte della popolazione mondiale, piuttosto che imporre un sistema (family planning) che serve soltanto ai ricchi occidentali per consumare (e inquinare) sempre di più. Né una parola viene spesa per i 7.000.000 di bambini “desiderati” che muoiono ogni anno nel mondo per denutrizione.
Strana logica (o meglio, logica neocoloniale e razzista) quella dell’Optimun Population Trust: per ridurre le emissioni di carbonio non si devono ridurre i consumi e quindi l’inquinamento dei ricchi, ma ridurre le nascite dei poveri.
Presto fatto il calcolo dei ricercatori dell’OPT: ogni 4 sterline spese in contraccettivi si ottiene la riduzione di una tonnellata di CO2 dal global warming; per ottenere lo stesso risultato ci vorrebbero 8 sterline per la forestazione, 15 sterline per l’energia eolica, 31 sterline per gli impianti solari e 56 sterline per le auto ibride.
Ma il calcolo più cinico è quello secondo cui «le 10 tonnellate di CO2 che vengono immesse durante un volo di andata e ritorno da Londra a Sydney, potrebbero essere compensate dall’eliminazione di un bimbo indesiderato in un Paese come il Kenya». Gli stessi ricercatori sostengono che quella mancata nascita non solo ridurrebbe le inquinanti emissioni di carbonio, ma anche - udite, udite - il numero delle vittime del climate change. Cos’è, in fondo, il sacrificio di un negretto di fronte alla salvezza dell’umanità?
Questa aberrante iniziativa - denominata PopOffsets - parte dal presupposto (discutibile) che esista una correlazione tra l’aumento della popolazione e il cambiamento climatico. Più gente c’è in giro e più si inquinerebbe. In realtà, il rapporto tra bassa fertilità ed elevato livello di produzione e consumo fu analizzato per la prima volta da Malthus, il quale sosteneva un’idea un po’ diversa da quella dell’OPT.

Il celebre economista inglese ha evidenziato, infatti, che la capacità di consumo è direttamente proporzionale proprio al basso tasso di fertilità. Meno figli si hanno, più si consuma e, quindi, maggiore è l’inquinamento. Una delle cause della crisi demografica che sta vivendo la ricca società occidentale è dovuta, tra l’altro, anche al desiderio che i singoli individui consumino sempre più beni e utilizzino sempre più servizi (compresi i viaggi tra Londra e Sydney). A tutti appare evidente, del resto, che una casalinga impegnata ad accudire tre figli abbia certamente meno opportunità di immettere CO2 nell’aria rispetto a una coetanea single.

L’Optimum Population Trust ritiene, invece, che a pagare per l’inquinamento della società occidentale debbano essere i Paesi sottosviluppati e lancia l’iniziativa PopOffsets come una generosa offerta. Roger Martin, direttore dell’OPT, sostiene, infatti, che il progetto offra una «practical and sensible response». In che cosa consista questa risposta, Martin lo chiarisce subito: «Per la prima volta in assoluto le persone fisiche, le società e le organizzazioni avranno l’opportunità di compensare le emissioni di carbonio da essi prodotte, finanziando progetti di pianificazione familiare».

Anche qui i conti, per l’OPT, sembrano tornare: «La riduzione di CO2 a 34 miliardi di tonnellate costerebbe 220 miliardi di dollari con il family planning, contro i mille miliardi di dollari che si dovrebbero spendere in caso di ricorso alle sole energie alternative».

Sempre secondo la “generosa” fondazione britannica, l’attuale popolazione mondiale di 6.8 miliardi di individui cresce al ritmo di circa 84 milioni di persone all’anno. Per rendere più efficace l’idea, spiegano che una simile crescita «corrisponde a una nuova nazione come la Germania ogni anno o a una città come Birmingham ogni settimana».

Secondo le stime delle Nazioni Unite ci si deve aspettare un picco di 9 miliardi entro il 2050. In quel lasso di tempo, secondo gli scienziati delle stesse Nazioni Unite, le emissioni di carbonio dovranno essere ridotte almeno dell’80% per evitare un pericoloso aumento della temperatura del pianeta.

Roger Martin & Co. sul punto sono chiari: «L’attuale livello di crescita della popolazione umana è insostenibile e determina una grave pressione sulle risorse globali. L’attività umana sta acuendo il problema legato al global warming, al punto che più aumentano i livelli di popolazione, più inevitabilmente si innalza la quantità di emissioni e, conseguentemente, le vittime del cambiamento climatico». Da qui l’esigenza di prevenire le nascite nei Paesi poveri.

Jonathon Porritt, che è stato anche primo presidente della Sustainable Development Commission (SDC), la commissione per lo sviluppo sostenibile voluta dal governo laburista, ha candidamente dichiarato che l’iniziativa PopOffests rappresenta una delle «most progressive forms of intervention». E l’esempio di “progressismo” che cita è significativo: «Se in Cina non fosse stata applicata la politica del “figlio unico”, oggi ci sarebbero 400 milioni di cinesi in più».

Poco importa al progressista Jonathon Porritt se il rapporto per il 2008 del Dipartimento di Stato americano sui “Diritti umani in Cina”, pubblicato il 25 febbraio 2009, abbia denunciato la legge repressiva sulla pianificazione familiare come una delle più gravi violazioni della dignità e dei diritti di donne, uomini e bambini. Né poco importa all’ambientalista Porritt che proprio il Parlamento britannico, nel condannare fermamente quella brutale politica di sterilizzazione e aborto forzato, abbia stimato che siano non meno di 130 mila le interruzioni obbligatorie di gravidanza nella Cina comunista.

La cosa strana è che di fronte alle farneticazioni dell’OPT non si sia levata nessuna voce da parte, ad esempio, delle femministe, sempre pronte a difendere i diritti delle donne, degli anticolonialisti, sempre pronti a denunciare la violenza culturale dell’uomo bianco, degli anticlassisti, sempre pronti a scagliarsi contro l’ignominia delle diseguaglianze sociali, e di coloro che combattono la fame nel mondo, sempre pronti a urlare la vergogna del solco profondo che divide i Paesi ricchi dal resto del mondo.

Evidentemente è ancora talmente forte il peso ideologico del family planning che nessuno osa mettere in discussione un sacro totem: il binomio intoccabile di condom e aborto. Ci provò Benedetto XVI, qualche tempo fa, e mal gliene colse. Così passa sotto silenzio l’incredibile iniziativa dell’OPT.

L’equiparazione di un volo Londra-Sydney alla vita di un piccolo keniota la dice lunga sul grado di disumanità che può raggiungere un certo ambientalismo liberal e progressista. Non c’è nulla da fare, l’ideologia, per quanto ammantata di ottimi propositi, è sempre nemica dell’uomo.

domenica 6 dicembre 2009

DOWN? ALLORA VALI ZERO

E IL GEMELLO DOWN NON VALE UN EURO?


di Chiara Mantovani


Leggo l’agenzia di stampa e, nonostante mi reputi abituata a sentirne di tutti i colori, riesco ancora a sbalordire. Qualcosa nella ragionevolezza si è inceppato.
(ANSA) - MILANO, 30 NOV - La donna che nel giugno 2007, incinta di due gemelli, per un errore nell’aborto selettivo all’ospedale San Paolo di Milano subì una interruzione di gravidanza sul feto sano invece che su quello affetto da sindrome di Down ha chiesto un risarcimento di un milione di euro.
Ad avanzare la richiesta di condanna al risarcimento dei tre medici imputati nel processo in corso a Milano è stato il legale della donna e del marito, l’avvocato Davide Toscani. "Si tratta della perdita di una vita umana - ha spiegato il legale -, dell’impossibilità di questa coppia di avere in futuro una nuova gravidanza per il trauma subito". Nessuna condanna o risarcimento, ha aggiunto Toscani, "darà mai ristoro a questa coppia".
Intanto dico subito che non si è trattato della perdita di una vita umana, ma di due. Infatti i bambini abortiti sono due. A meno di voler sostenere che una, quella sana, era vita umana e l’altra, quella malata, no. Cioè a dire che un malato non è un appartenente alla famiglia umana. E tutti i bimbi affetti da sindrome di Down non sono umani?

A meno di voler sostenere che una aveva diritto di nascere e l’altra no. Dunque i portatori di trisomia 21 che sono al mondo ci stanno da clandestini? Ci sono ma non dovrebbero esserci? Per loro il foglio di rimpatrio significa rispedirli al mittente, cioè a quel caso o a quel Dio che li ha imbarcati sulla fragile imbarcazione di un utero materno?

Sono sbalordita: all’epoca della notizia mi ero commossa, avevo pensato al dolore di una mamma e di un papà che immaginavo sconvolti per aver toccato con mano quanto la pretesa del figlio perfetto si fosse tramutata in tragedia reale. Sarà difficile percepire l’ingiustizia di un aborto selettivo quando tutto “va bene”, quando poi stringi tra le braccia un figlio come tu lo volevi, lo coccoli, lo nutri, lo proteggi e lui ti guarda e ti sorride come solo un figlio fa. La mente allontana il pensiero del costo che hai dovuto pagare (anzi, siamo franchi: che qualcun altro ha pagato). Salvo poi lasciarsi come Pollicino le briciole di un dolore che sa di rimorso per tutta la vita. Ma questa è una altra storia, vergognosamente negata da chi vede nell’aborto un problema tecnico da risolvere con una operazione o due pilloline.

Ma in un caso come questo, no. La realtà mette di fronte all’evidenza: erano uguali ma uno era voluto, l’altro no. Non posso credere che la reazione sia: accidenti a quei medici che hanno sbagliato! Tutta colpa loro! Loro si saranno anche sbagliati, e forse potevano essere ancora più scrupolosi, ma la medicina non è a prova di errore, anche se non c’è scritto in questi termini nei moduli di consenso informato. A prova di errore dovrebbe essere l’amore: per andare sul sicuro si ama tutti, è così che non ci si sbaglia.

Nessun risarcimento sarà adeguato alla perdita di una vita umana? E quale risarcimento è un milione di euro? Una cifra “simbolica”? Ma cinquecento per due o un milione per una, perché l’altra non valeva niente?

Caspita, come galoppa l’inflazione.

giovedì 26 novembre 2009

ORA IL GOVERNO ABBIA CORAGGIO!!!

RU486. IL GOVERNO RACCOLGA CON CORAGGIO IL SEGNALE CHE ARRIVA DAL PARLAMENTO

«Siamo soddisfatti per la decisione della Commissione d’indagine sull’Ru486 di sollevare dubbi sull’uso della pillola abortiva ed in particolare sulla sua compatibilità con la legge 194» commenta Carlo Casini, presidente del Movimento per la vita.
«Attendiamo ora il pronunciamento del governo che ci auguriamo voglia, con coraggio, raccogliere il segnale che arriva dal Parlamento e che non è solo formale e burocratico.«Del resto è ormai accertato che le procedure seguite nelle Regioni dove la pillola è già stata utilizzata non tengono in alcun modo le prescrizioni della legge. Come potrebbe il ministro mettere la mano sul fuoco che le cose improvvisamente cambino e che tutte le strutture sanitarie diventino di colpo (e rimangano nel tempo) strettamente osservanti della norma?
«La Ru486, costituisce senza ombra di dubbio una pericolosa (anche per la donna) forma di estremizzazione dell’aborto, sancisce un suo ritorno nel privato e di conseguenza provoca uno svuotamento dall’interno della legge 194. Ma al nocciolo della questione aborto non c’è il metodo usato per provocare l’interruzione della gravidanza ed in fondo non c’è neppure la stessa legge 194 (che pure lotteremo fino in fondo per cambiare) ma la consapevolezza che i soggetti coinvolti nell’aborto sono almeno due: la donna ed il bambino.
Sappiamo attraverso l’esperienza dei nostri Centri di aiuto alla vita che ben poche donne consapevoli dell’identità del figlio che portano in grembo scelgono l’aborto. Non è un caso» conclude Casini «che la Spagna e la Polonia, equivalenti come numero di abitanti e dalle leggi di aborto pressoché uguali, contino ogni anno 110mila Ivg la prima e solo 328 la seconda».

sabato 31 ottobre 2009

SALVATORE CRISAFULLI






HOLLY, UCCISA DALLA RU-486

Monty Patterson sei anni fa perse la propria figlia che, a sua insaputa, si era recata in una clinica per abortire. Le fu prescritto del mifepristone, o RU-486, e le venne fissato un appuntamento. Le complicazioni la portarono però alla morte. Aveva 18 anni. Il padre racconta a ilsussidiario.net la sua esperienza.

L’ultimo giorno di Holly

Io, Monty Patterson, ho sentito per la prima volta parlare del mifepristone, o RU-486, il 17 Settembre 2003, il giorno peggiore della mia vita.
Mi arrivò una chiamata, quella mattina presto, mentre ero al lavoro: un’infermiera mi disse che mia figlia diciottenne, Holly, era in ospedale e in condizioni molto serie. Mi precipitai all’ospedale che era vicino a Livermore, alla periferia di San Francisco, dove io e Holly vivevamo. Una volta là, la trovai nel reparto di terapia intensiva, a mala pena cosciente, troppo debole per parlare, pallida, con la faccia gonfia, e che respirava a fatica.

Era una cosa assolutamente senza senso. Holly, una splendida bionda con gli occhi azzurri, era una fanatica del fitness in perfetta salute. Mentre le stavo accanto, il dottore arrivò e spiegò frettolosamente: «Stiamo facendo tutto il possibile per lei, ma potrebbe non farcela. Queste cose a volte accadono come conseguenza della pillola». Ero completamente disorientato: «Come, scusi? La pillola anticoncezionale?». Chiesi. «No, la pillola abortiva». Replicò il dottore. Scioccato, gli chiesi: «Di che cosa sta parlando? Quale pillola abortiva?».

Il dottore si rese conto che brancolavo completamente nel buio. Spiegò brevemente che Holly si era sottoposta a una “interruzione precoce di gravidanza” con la somministrazione doppia di mifepristone (nota come Ru-486) e di misoprostolo. Disse che stava soffrendo di un aborto incompleto e di un’infezione massiccia. I suoi organi vitali cominciavano a non funzionare più e i suoi polmoni si stavano riempiendo di liquido. «Shock settico», mi fu detto.

Poco dopo la crisi aumentò. Le condizioni di Holly deterioravano rapidamente; i monitor attorno a Holly cominciarono a suonare l’allarme. Sentii le parole: «Codice blu!», e fui fatto uscire dalla stanza. Non riuscendo a reggere oltre, a un certo punto irruppi nella stanza e spostai la tenda.
Porterò quell’immagine nella mia mente per il resto della mia vita. Lo staff dell’ospedale stava lavorando freneticamente per salvare la fragile vita di Holly. Qualcuno stava premendo sul suo torace cercando di rianimarla, le venivano somministrati dei farmaci e i monitor continuavano a suonare. La linea di Holly era piatta. Tutti mi guardarono increduli e costernati. Holly era morta, appena prima delle 14:00.

La morte di Holly ci lasciò tutti scioccati. Non sapevo cosa pensare a parte il fatto che c’era qualcosa di terribilmente sbagliato. Volevo scoprire cos’era successo e fare qualcosa in merito.


Gli avvenimenti

Nell’Agosto 2003, Holly Patterson, allora diciassettenne, aveva scoperto di essere rimasta incinta dopo un rapporto col suo ragazzo, di sette anni più grande. Il 10 Settembre, poco dopo il suo diciottesimo compleanno, la coppia si recò in una clinica di controllo delle nascite per terminare la sua gravidanza di sette settimane. Alla clinica somministrarono oralmente a Holly 200mg di mifepristone (RU-486), che blocca l’ormone progesterone, necessario per mantenere una gravidanza. A casa, ventiquattro ore dopo, seguendo le istruzioni della clinica, inserì in vagina 800mcg di misoprostolo per indurre le contrazioni ed espellere il feto.

ll 13 Settembre chiamò la linea diretta della clinica di controllo delle nascite lamentando violenti crampi. Le fu detto che erano sintomi normali e di prendere l’antidolorifico prescritto dalla clinica. Il 14 Settembre, soffrendo ancora di crampi e sanguinamento, Holly si recò al pronto soccorso del centro medico di Pleasanton; i dottori del centro, ai quali disse dell’aborto, la rimandarono a casa con un’ulteriore dose di antidolorifici. I dolori continuavano. Holly era debole, vomitava, e non riusciva a camminare.

Alle prime ore del mattino del 17 Settembre Holly fu riammessa al pronto soccorso del centro medico, dove morì più tardi quel pomeriggio, il settimo giorno dopo aver cominciato la procedura d’aborto della RU-486 e giorno in cui era stata fissata una visita di routine per verificare che l’aborto fosse completo. Il 31 Ottobre 2003 il medico legale dell’ufficio di Alameda, California, emise un rapporto nel quale si concludeva che Holly Patterson era morta per shock settico, dovuto a endometriosi (infezione del sangue legata all’utero), causata dai farmaci utilizzati nella terapia dell’aborto indotto.


Le mie opinioni sulla RU-486

Penso che mia figlia non avesse avuto adeguate informazioni né sufficiente appoggio per affrontare un aborto da sola. I passi previsti dalla procedura possono essere troppo superficiali: la paziente prende una pillola, quindi è mandata a casa a fare il resto da sé. Ci sono troppe cose che possono andare storte.

RU-486 e misoprostolo sono una combinazione pericolosa da poter somministrare con sicurezza, se non altro perché è impossibile dire la differenza fra gli effetti considerati normali della sostanza e i possibili sintomi di una grave infezione. Alle donne viene detto che devono aspettarsi dolori addominali e sanguinamenti maggiori di quelli di un normale ciclo mestruale; inoltre, le donne che sono morte di infezione provocata dal batterio Clostridium Sordellii come conseguenza della pillola abortiva non hanno avuto febbre, un effetto collaterale normale per un’infezione, secondo quando affermato dall’FDA (Food’s and Drug Association, l’associazione americana per il controllo dei cibi e dei farmaci). Diventa quindi molto problematico per una donna capire se i suoi sintomi vanno al di là dei cosiddetti “normali effetti collaterali”.

Le donne e le loro famiglie devono sapere che la procedura dell’RU-486 può finire in una tragedia. Holly, a diciotto anni, era legalmente responsabile della sua decisione, ma cosa succederà con ragazzine di sedici anni o ancor meno? E comunque anche una donna sposata trentenne con due bambini ha perso la vita cinque giorni dopo aver preso la pillola abortiva.

Holly non si è forse resa conto che aveva di fronte altre possibili alternative e che la sua famiglia l’avrebbe sostenuta durante la gravidanza. I genitori dovrebbero comunicare con le loro figlie e porre la domanda che io vorrei aver posto: “Cosa faresti se tu avessi una gravidanza imprevista, e come pensi che io reagirei?” Assicuratevi che sappiano che siete lì per loro, non importa cosa accade. Holly voleva tenere il suo aborto segreto e credo che pensasse che avrebbe deluso tutti attorno a sé e che doveva portare questo peso da sola.


È un giorno molto triste quello in cui un padre seppellisce sua figlia perché le sono mancate conoscenze per fare una scelta cosciente e informata, ha sofferto in silenzio e ha pagato da ultimo con la sua vita. Forse sono state paura e vergogna che l’hanno portata a decidere che poteva prendere una pillola e far svanire tutto. Vorrei che me l’avesse detto, così avrei potuto aiutarla. Se solo mi avesse parlato, le cose sarebbero andate diversamente.


La mia lotta per la verità sulla morte di Holly

La lotta per la verità sulla morte di Holly ha significato per me che la sua morte non è stata vana, non è finita “sotto il tappeto”, non è diventata un altro dato statistico sugli accettabili effetti collaterali nell’avanzata del movimento in favore dell’aborto farmaceutico. La pubblicizzazione della morte di Holly è stata importante per informare il pubblico e aumentare la consapevolezza sui pericoli dell’aborto con la RU-486. Le donne possono fare scelte consapevoli se hanno informazioni affidabili e veritiere.

Si dovrebbero porre domande alle case farmaceutiche produttrici della pillola e mettere in discussione le dichiarazioni enfatiche dei loro sostenitori sul fatto che l’aborto con mifepristone e misoprostolo sia sicuro, efficace, e ben sopportato dalle donne. Anche dopo le morti e i danni causati da queste sostanze, i produttori e i loro sostenitori hanno dichiarato l’inesistenza di consistenti relazioni causali fra le medicine e queste rari casi di morte.

Conoscere la verità sulla RU-486 ha incoraggiato alcuni genitori e famiglie ad aumentare il dialogo coi loro figli sui reali rischi e pericoli dell’aborto farmaceutico. Se vi è la possibilità, le scelte di fronte a una gravidanza indesiderata dovrebbero prima essere discusse a casa col supporto della famiglia. I genitori preferirebbero che le loro figlie si astenessero dal sesso, e alcune così fanno, ma dobbiamo accettare che in realtà molte non lo fanno.

I danni e le morti dell’aborto farmaceutico non possono essere ignorati, soprattutto a livello normativo e tutto questo ha alla fine forzato FDA e produttori della pillola a una revisione delle dichiarazioni sulla sicurezza della RU-486, inserendo nell’etichettatura della pillola due avvertimenti sulle potenziali infezioni e sul rischio di morte. Questo è un inizio, ma non basta. Questa pillola ha proprietà farmacologiche che possono seriamente danneggiare o alterare il sistema immunitario di una donna, predisponendola a infezioni gravi e persino fatali. Quante donne devono morire prima che questa pillola sia tolta dal mercato?


Monthy Patterson



(Il Sussidiario.net)

sabato 24 ottobre 2009

L'INVITO ALLA VITA DI NEK...

QUEI 13 MILIONI DI FIGLI CHE CI MANCANO

Ci mancano tredici milioni di figli. In Europa, e solo negli ultimi dieci anni, non sono nati tredici milioni di figli. Oltre un milione e duecentomila aborti all’anno. Tremila e trecento i figli che gli europei cancellano, ogni giorno. Le elaborazioni sono dell’Istituto europeo di politica familiare, sulla base di dati Eurostat.

I numeri, sono qualcosa di oggettivo. Non come le opinioni. I numeri stanno lì, fermi, incontestabili. E davanti a questi numeri ci si dovrebbe, crediamo, almeno fermare un momento. Anche chi non ha dubbi sul diritto all’aborto, forse davanti a questa cifra – dei soli ultimi dieci anni – potrebbe lasciarsi interpellare da qualche domanda. Perché siamo abituati a pensare all’aborto come scelta individuale, riguardante in fondo solo la donna e al massimo la sua famiglia. Ma il bilancio tracciato dall’Istituto mostra l’aspetto collettivo, la somma di tutte queste scelte individuali. Che è, alla fine, quasi una generazione mancante a questa Europa. Tredici milioni che non ci sono nei banchi delle scuole, nei campi di pallone dei nostri quartieri – nelle nostre case, la sera. Nelle tabelle, nei grafici, milioni di singole e spesso solitarie scelte individuali si addizionano, si allineano, diventano un esercito: eccoli, tutti i figli che non abbiamo voluto. E non è necessario, crediamo, essere dei pro-life per guardare a queste schiere di figli non nati con dolore: come si guarda a una sconfitta, come si guarda a una bellezza perduta.

Tra le pieghe del rapporto si apprende che nella “vecchia” Europa dei 15, più benestante dell’Europa allargata a 27, in questi dieci anni il numero di aborti è aumentato. Che dal 2000 a oggi la Spagna ha raddoppiato gli aborti (da 63 mila a 122 mila) – e questo fa pensare che la cultura e la politica di un Paese c’entrino, e tanto, nell’influenzare la scelta fra un sì e un no. L’Italia invece risulta in leggero calo; anche se oltre un milione e trecentomila di quei tredici milioni di figli che mancano in questi dieci anni sono nostri. Ancora: in Europa una gravidanza su cinque finisce in un aborto, e un aborto su sette è di una ragazzina sotto i vent’anni.

Numeri. Con la asettica freddezza propria dei numeri. Milioni di private scelte rapprese in quelle file di zeri implacabili. È un fatto: tredici milioni di figli ci mancano. Mentre gli esperti si affannano a spiegare le conseguenze sociali del declino demografico, e ci descrivono una futura Europa di vecchi, e di vecchi spesso soli e spesso poveri, sarebbe leale stare a guardare questi grafici e domandarci se l’individuale “diritto” cui l’Occidente inneggia da trent’anni non mostri ora le sue drammatiche conseguenze collettive. Se, invece di introdurre la pillola abortiva, o di allargare il libero aborto alle sedicenni come in Spagna, non sarebbe il caso di fermarsi un momento e di riflettere. Davvero tutto può essere solo ristretto nel “privato”, e la dimensione comunitaria è irrilevante?


Pochi giorni fa ad Ars il cardinale Schönborn, arcivescovo di Vienna, alla fine degli esercizi predicati a mille preti in occasione dell’Anno Sacerdotale, ha detto: «Il dramma dell’Europa è la denatalità. L’Europa si sta suicidando nell’aborto dei suoi figli». Come un pugno nello stomaco, la diagnosi dell’arcivescovo della città che è il cuore della vecchia Europa (cuore invecchiato, dove metà degli abitanti vive da "single"). Quelle parole ci hanno ammutoliti, e quasi siamo stati tentati di dirci che erano eccessivamente severe. Ma tredici milioni in meno. Non è la stessa cosa, detta con la freddezza dei numeri?

Un esercito, che non c’è. Che non diventerà grande, che non ci darà dei nipoti. E che era fatto di figli: di primi passi, e primi giorni di scuola, e giochi in cortile. Vita, che non è stata. (Se, almeno, avessimo il coraggio di ammettere un collettivo dolore).

di Marina Corradi

fonte: http://www.avvenire.it/

venerdì 9 ottobre 2009

CONFERENZA - PRIMA DI TUTTO LA VITA


Il Movimento per la Vita Italiano in collaborazione con Federvita Lombardia, CAV-MPV di Brescia, Scienza e Vita- Brescia, Università Cattolica di Brescia,

presenta

"Prima di tutto la vita".
"O morte, dov'è la tua vittoria?
Vite degne di essere vissute: da Hitler ai nostri giorni" .
Mercoledì 11 novembre 2009
Aula Magna Università Cattolica S.C.- Brescia, via Trieste n.17


ore 16 Saluti delle autorità
ore 16,30 inizio tavola rotonda 1 parte
ore 18,30 rinfresco-buffet
ore 19 tavola rotonda 2 parte
ore 21 chiusura dei lavori

Interverranno (in ordine alfabetico):

Dott.ssa Maria Pia Buracchini
Prof. Luciano Eusebi
On. Roberto Formigoni
Prof. Massimo Gandolfini
Dr. Mario Melazzini
Dott. Pino Morandini
Prof. Giacomo Samek Lodovici
Prof. Giovanni Zaninetta


La S.V. è invitata

mercoledì 23 settembre 2009

KILL PILL: DOMANDE E RISPOSTE

Cos’è la Ru486?
È un prodotto chimico a base di mifepristone, un potente antiormonale che interrompe l’annidamento dell’embrione nell’utero e provoca l’aborto. Prima che nel 1980 l'endocrinologo francese Étienne-Émile Baulieu la trasformasse in un abortivo, la Ru486 (fino ad allora nota come Ru38486) veniva utilizzata nei laboratori nel corso di esperimenti sui topi: si trattava di una medicina capace di arrestare il funzionamento della ghiandola surrenale. Fu allora che, per la prima volta, ci si rese conto che le femmine di topo gravide abortivano e qualcuno si chiese se non si poteva utilizzare la proprietà abortiva della molecola cambiandole il nome.

Qual è la differenza rispetto alla pillola del giorno dopo?
Anche la cosiddetta pillola del giorno dopo è un preparato che impedisce all’embrione umano di impiantarsi nell’utero. Ma mentre questa deve essere presa entro e non oltre 72 ore dal rapporto sessuale fecondante, la Ru486 può essere presa fino al 49esimo giorno dall’ultimo ciclo mestruale.

Come si usa?
La Ru486 viene presa per via orale. Tre giorni dopo la donna deve assumere un’altra sostanza chiamata misoprostol, che provoca le contrazioni necessarie per espellere l’embrione. Dopo dieci giorni è necessaria un’ultima visita di controllo.

Che cos'è la «seconda pillola»?
Il protocollo Ru486 prevede l'assunzione di due pillole, a distanza di due giorni l'una dall'altra. La seconda, che dovrebbe indurre l'espulsione dell'embrione e che è in commercio col nome di Cytotec, non è mai stata registrata e testata come un abortivo.

Qual è il tasso di efficacia?
Nel 5% dei casi si rende necessario ugualmente un aborto chirurgico. In alcune casistiche la percentuale sale all’8%. A Cuba il tasso di fallimenti è arrivato fino al 16%.

È compatibile con la legge 194?
Per la legge 194 la gestante deve rivolgersi a un consultorio, o a una struttura sociosanitaria abilitata, per svolgere i necessari accertamenti medici (mentre i medici devono aiutarla a rimuovere le cause che la spingono all’aborto). Un tale percorso, con una pausa di riflessione richiesta alla donna di 7 giorni, è difficilmente compatibile con l’uso della Ru486, che prevede tempi molto ristretti.

Il farmaco ha delle complicazioni?
Sono moltissimi gli "incidenti" legati alla Ru486 segnalati dalle varie autorità sanitarie internazionali(emorragie, infezioni, eventi trombotici). I dati più allarmanti sono però quelli relativi al decesso delle donne che l'hanno assunta. A oggi sono 29 quelle morte dopo aver assunto Ru486: sono decedute, in larga parte, a causa dell'infezione da batterio Clostridium Sordellii: un batterio che non causa febbre, e perciò è difficilmente individuabile. Il dato, d'altronde, è stato confermato nel 2005 dall'autorevole rivista New England Medical Journal: l'aborto chimico provoca una mortalità dieci volte maggiore di quello chirurgico. Lo stesso dato peraltro è stato riportato dall'Aifa nel bollettino pubblicato l'anno scorso sul farmaco.

martedì 22 settembre 2009

ABORTO: DIRITTO O OMICIDIO?

Pubblichiamo di seguito per la rubrica di Bioetica le risposte ad alcune domande riguardanti l'aborto elaborate da Carlo Casini, già magistrato di Cassazione e membro del Comitato Nazionale per la Bioetica. Casini è inoltre Presidente del Movimento per la Vita italiano, membro della Pontificia Accademia per la Vita e docente presso l'Ateneo Pontificio "Regina Apostolorum" di Roma.


C’è chi sostiene che l’aborto é un omicidio, altri invece lo considerano come un diritto della donna. Chi ha ragione?


Certamente è inammissibile un diritto della madre di distruggere il proprio figlio. L’ abortismo estremo invoca la libertà e la chiamiamo diritto di autodeterminazione. Ma la libertà finisce dove cominciano i diritti di altri. Il concepito è un “altro”. Chi potrebbe sostenere che i genitori hanno il diritto oggi (nelle epoche antiche c’era) di uccidere i figli già nati? Qual è la differenza tra il neonato o il bimbo che sta nel seno materno? Per quanto riguarda il nascituro nessuna in termini di qualità: la distanza tra un feto e un neonato è meno grande della distanza tra un neonato e un adulto. Tuttavia non si deve dire che l’aborto è un omicidio o che le donne sono assassine. L’aborto è un aborto, cioè la uccisione di un figlio non nato, l’infanticidio è l’uccisione di un bimbo nel corso del parto o immediatamente dopo di esso, l’omicidio è l’uccisione di un uomo che non si chiama più né feto , né infante. Queste sono definizioni giuridiche.


Tuttavia ci sono due ragioni più profonde per cui é bene non usare i termini di omicidio e di assassinio. In primo luogo c’è la particolare irripetibile situazione della gravidanza, in cui un essere umano vive nel corpo di un altro essere umano. La sua principale difesa, che poi è quella di sempre, di miliardi di mamme che hanno fatto la storia del mondo, sta nella mente e nel cuore della madre. Il bimbo è sempre lo stesso, ma bisogna tener conto della sua particolare situazione.


In secondo luogo normalmente nell’aborto le vittime sono due: il figlio, ma anche la madre. Nella maggioranza dei casi ella subisce la pressione della società, dei medici, dei familiari, del gruppo di amici, del padre del bambino, dei giornali, della televisione. In ogni caso la giovane donna è abbandonata a una angosciante solitudine (“è affar tuo, veditela te!"). In molti casi, ad aborto avvenuto, ella porta nel segreto del suo cuore il dolore di un lutto. Gli specialisti parlano di “sindrome post-aborto”. Spesso la sua giovinezza, al di là delle apparenze, resta come soffocata. Non é opportuno spargere sale sulle ferite. La società tutta intera, in particolare il “popolo della vita” devono essere accoglienti anche verso coloro che hanno abortito. È anche colpa della società e nostra se non siamo riusciti a restituire loro il coraggio e la libertà di accogliere la vita. Perciò non é bene usare la parola “omicidio” pur sapendo che l’aborto è l’uccisione di uno di noi.


Dopo l’invito da parte dell’ONU a una “moratoria” riguardo all’esecuzione della pena di morte, il Direttore del Il Foglio, Giuliano Ferrara, ha lanciato l’idea di una “moratoria” riguardo all’aborto. Non è una provocazione offensiva per le donne?


No. Dobbiamo essere grati a Ferrara per aver clamorosamente introdotto sui mezzi di comunicazione sociale un paragone che da molto tempo era nel pensiero e nella riflessione cristiana. Naturalmente ottenere la sospensione delle condanne a morte è obiettivo ben più semplice del non portare a compimento in milioni di casi un proposito di aborto. Ma ciò che il parallelo vuole esprimere non è questo. Il confronto grida ciò che è vero: il figlio concepito è un essere umano, così come lo è il condannato a morte, con la differenza che il primo è innocentissimo e viene eliminato dall’aborto, spesso senza nemmeno l’accertamento della necessità di arrivare ad un così tragico evento; il secondo è condannato perché ritenuto colpevole dei più gravi delitti a seguito di una serie di giudizi c on le garanzie del processo. La richiesta di una grande moratoria sull’aborto vuol confermare anche il principio dell’uguale indistruttibile dignità di ogni essere umano. Se nemmeno il delinquente può distruggerla del tutto con le sue stesse mani, cosicché resta insopprimibile il suo diritto alla vita, com’è possibile non rispettare la dignità e il conseguente diritto alla vita che le è inerente nel concepito?


Che questo sia il senso della “moratoria” è tanto vero che Ferrara non chiede altro che una integrazione dell’art. 3 della Dichiarazione Universale dei diritti umani per indicarvi che il diritto alla vita deve essere riconosciuto “fin dal concepimento”.


Si tratta di un’istanza nobilissima, importantissima, capace di restituire verità a tutta la dottrina dei diritti umani, oggi talora utilizzata per aggredire, paradossalmente, l’uomo che ne titolare .


Ovviamente il rumore suscitato dalla proposta di Ferrara e dall’insistenza caparbia con cui egli l’ha portata innanzi fino presentare per le elezioni politiche del 2008 un’autonoma lista con il simbolo “aborto, no grazie” – iniziativa giudicata da molti eccessiva e non opportuna – ha ricadute anche sulla Legge 194, sebbene Ferrara ripeta di non volerla toccare.


Soprattutto Ferrara ha dato una scrollata al muro di incomprensione tra i c.d. “cattolici” e i c.d. “laici”. Egli proviene dalle fila dei secondi e li costringe ad uscire dall’immobilismo mentale dei luoghi comuni. E’ anche questo un aspetto da cui potranno derivare frutti molto positivi in termini di dialogo e di pacificazione.


Non si tratta di condannare e giudicare le donne. Si tratta piuttosto di criticare nel suo complesso una società che non sa pienamente riconoscere la dignità umana e che crede di aiuta re le donne nascondendo loro la verità.


È la donna che sopporta il peso di una gravidanza: non é forse giusto che sia lei a decidere di portare a termine questo processo? Il vecchio slogan “l’utero è mio” non ha quindi un suo fondamento di verità?


Certo che l’utero appartiene alla donna! Ma il figlio che dopo il concepimento sta dentro l’utero non è proprietà della donna. Nessun essere umano può essere in proprietà di alcuno. Egli è ospite della madre. Certo: é un ospite particolare. Giustamente si parla di "dualità nell' unità", ma la "dualità", comunque, riconosce la presenza di un altro.


Il concepito non é un "processo". Certamente la crescita dei capelli o delle unghie è un “processo” e solo colui al quale appartengono capelli ed unghie può decidere se farl i crescere o tagliarli. Ma non si può decidere se un figlio debba vivere o morire. Detto questo, va giustamente riconosciuto che la gravidanza è una condizione particolarissima che coinvolge in modo decisivo la donna incinta, non gli altri. Ma questo significa affetto, aiuto, rispetto, tenerezza da parte di tutti, ed anche fiducia nella capacità di accoglienza, di dono, di coraggio e di libertà della donna, non attribuzione a lei di un diritto di vita o di morte.


Ma come negare il principio di autodeterminazione?


Non esiste una “autodeterminazione di diritto” come potere di distruggere l’altro. Il diritto d’autodeterminazione è esistente e pieno quando le scelte di un soggetto non riguardano l’altro, ma solo i comportamenti del soggetto agente e non toccano la sua stessa vita, che è indisponibile. Io sono libero di decidere se andare a letto a una certa ora o no, di fare o no un viagg io, di intraprendere o no una professione. Ma non posso invocare la mia autodeterminazione per schiaffeggiare il vicino che mi è antipatico e tanto meno per uccidere chicchessia. Riguardo all’aborto si può forse riconoscere che la donna ha di fatto la possibilità di liberarsi del figlio. È quasi impossibile impedirle di provocarsi l’aborto da sola, specialmente ora che sono in vendita preparati chimici direttamente o indirettamente abortivi. Potremmo poi considerare che anche le più severe sanzioni contro l' aborto restano facilmente inapplicate perché la prova che una interruzione volontaria di gravidanza é stata volontaria e non spontanea é molto difficile, salvo la scoperta in flagranza o l' eventualità di complicazioni. Possiamo perciò riconoscere che vi é un potere di fatto della donna. Ma non si può per questo parlare di un diritto di autodeterminazione. Ci si può autodetermi nare anche a commettere un furto o a testimoniare il falso etc. oppure a sperperare i soldi nel gioco. Ciò non costituisce un diritto. Nel caso della gestante, la situazione di fatto è soltanto un dato che può spingere il legislatore che vuole difendere il diritto del figlio, ad usare strumenti diversi da quelli utilizzati per difendere la vita dei già nati.


Per chi volesse approfondire il tema, consigliamo la lettura del libro di Carlo Casini "A trent'anni dalla legge 194 sull'interruzione volontaria di gravidanza" (Edizioni Cantagalli, Marzo 2008).


fonte: ZENIT.org

venerdì 18 settembre 2009

PARLA IL PROF. PESSINA

RIPORTIAMO LA NOTA DEL CENTRO DI ATENEO DI BIOETICA DELLA CATTOLICA RELATIVA ALLA RECENTE SENTENZA DEL TAR DEL LAZIO. CI ASSOCIAMO ALLA PRESA DI POSIZIONE DEL PROF. PESSINA.


Il Centro di Ateneo di Bioetica esprime una motivata disapprovazione nei confronti della recente sentenza del Tar del Lazio: in nome del diritto alla non discriminazione delle persone in stato vegetativo questa sentenza ne autorizza paradossalmente l’abbandono terapeutico e assistenziale, in netto contrasto con l’articolo 25, comma f, della Convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità, che vieta di sottrarre loro alimentazione e idratazione.

Questa sentenza sembra di fatto avallare una forma di suicidio assistito in cui il paziente può essere lasciato morire per mancanza di alimentazione e idratazione in base ad una volontà pregressa che potrebbe non essere più attuale. Inoltre, nemmeno una volontà in atto di morire potrebbe pretendere di essere riconosciuta come un valore da tutelare e come una delle libertà civili da garantire giuridicamente.

Non tutte le scelte possono avere legittimazione giuridica. La difesa della libertà e
dell’autodeterminazione trova nel criterio dell’indisponibilità della vita il suo fondamento.

Questa sentenza stravolge il significato stesso del diritto costituzionale alla salute in cui si inquadra legittimamente la possibilità del paziente di scegliere le terapie e le forme di assistenza a lui più consone per tutelarne l’esistenza. Anche questa sentenza infligge un duro colpo al modello del sistema sanitario nazionale e alla natura fiduciaria del rapporto medico-paziente, trasformata in un contratto anticipato che valorizza solo le scelte di morte.

fonte. Centro di Ateneo di Bioetica

mercoledì 16 settembre 2009

RU-486: PROTESTIAMO!!!





"La decisione dell’agenzia del farmaco di commercializzare e distribuire la Ru486 in tutte le strutture sanitarie del Paese è un evento di importanza assolutamente epocale. Del resto avevamo già notato, ai tempi dell’infelicissima esperienza di Eluana Englaro, che l’imbattersi della nostra società contro l’urto della mentalità laicista e anticristiana sta obiettivamente demolendo i punti sostanziali, sul piano antropologico ed etico, che hanno retto per più di due millenni la nostra tradizione italiana".(Mons. Luigi Negri, Vescovo di San Marino, 4/8/2009)


La RU486 si ingerirà anche in Italia - a casa o in ospedale -, come si ingerisce nella maggior parte del cosiddetto mondo civile (verso il quale noi non abbiamo nessuna voglia di andare), e poi il meccanismo avrà il suo inesorabile e tragico esito. Questa assenza totale del rispetto per la vita, che è il rispetto per la persona e il suo destino, farà sì che il rispetto per la capacità di intelligenza dell’uomo, per la sua dedizione, per la sua capacità di sacrificio con cui le generazioni precedenti hanno costruito una società fortemente ispirata dal cristianesimo, ma sostanzialmente laica nelle sue motivazioni e nelle sue determinazioni di fondo, scompaia.

Noi siamo qui a sentirci dire che questo è il progresso, che questa è la vera autodeterminazione della donna e che questa è una società a misura della razionalità e della libertà dell’uomo. Invece è una società a misura dell’irrazionalità e della violenza dell’uomo.La moralità pubblica rappresentata dalla Ru486 è la moralità che copre il nostro Paese di una coltre terribile, la coltre dell’indifferenza e della violenza.


Facciamo sentire la nostra indignazione e chiediamo ai politici di provvedere affinché l’Agenzia del Farmaco ritiri subito il “pesticida umano” dalle vendite. Invitiamo a scrivere ai politici della propria circoscrizione attraverso il "sistema portalettere" di FattiSentire.net, utilizzabile all'indirizzo http://www.fattisentire.net/modules.php?name=invio_mail2 Il testo della tua e-mail giungera' a tutti i deputati e senatori appartenenti a partiti nominalmente non ostili alla famiglia.

Adesso il mio incubo si chiama Ru486

Da sempre favorevole all’aborto, oggi Mara racconta il suo dramma. «Perché è ora che si indaghi su quello che succede negli ospedali»

«Me l’hanno dipinta come una pillola magica come per non lasciarmi alternative, così l’ho presa. Dopo cinque minuti mi hanno mandato a casa e li è iniziato il calvario». Mara (il nome è di fantasia) ha abortito utilizzando la pillola Ru486 due anni fa, quando ne aveva 26. Oggi che di aborto farmacologico si è ricominciato a parlare, dopo che l’Agenzia italiana per il farmaco ha approvato la commercializzazione della pillola, Mara scopre che quello che le è capitato non è un caso, che altre donne hanno sofferto come lei e che nel mondo si contano 29 decessi seguiti all’assunzione della pillola.

«Perché nessuno ne parla? Perché dicono di agire per il bene delle donne e ti spiegano che sentirai solo dei dolorini? Forse qualcuno ci guadagna qualcosa?», si chiede oggi questa donna che si dice a favore della libera scelta delle donne in tema di aborto. Quasi avida di sapere tutto ciò che riguarda il “farmaco incubo” (così lo hanno chiamato in Cina dopo averlo ritirato dal mercato perché troppo pericoloso), Mara accetta di raccontare la sua storia a Tempi perché «spero che si faccia un’indagine su quello che fanno negli ospedali». «Per abortire mi sono rivolta al Centro salute donna di Piacenza, lì lavora la dottoressa che mi ha proposto la Ru486.

Durante il colloquio la possibilità dell’aborto chirurgico è stata appena accennata. Il medico diceva che era un metodo invasivo e che si corrono seri rischi d’infezione, mentre con la pillola sarebbe stato tutto più semplice e sicuro, al massimo avrei sentito dei fastidi».

Che le cose non stavano proprio così Mara avrebbe dovuto scoprirlo sulla sua pelle.Prima della decisione dell’Aifa del 30 luglio scorso le diverse sperimentazioni della pillola (tra cui quella dell’ospedale di Torino guidata dal ginecologo radicale Silvio Viale) furono sostituite da una pratica che di fatto aggirava il divieto di vendita e prevedeva l’acquisto dall’estero della pillola in via nominale per ogni paziente. Un procedimento applicabile per certi medicinali non ancora in commercio in Italia ma approvati dall’Ente europeo per il controllo sui farmaci.

«Non capivo, ma mi sono fidata com’è normale. Precisavano che la pillola sarebbe arrivata dalla Francia e continuavano a ripetermi che sarebbe stata tutta per me. Mi dicevano: “Guarda, la confezione che compriamo è da tre pillole, ma è solo tua, ne usiamo una e le altre due le buttiamo”. Su questo dettaglio insistevano, come a sottolineare che a loro quelle pasticche costavano ma lo facevano per me».

A distanza di tempo Mara ricorda stranezze a cui sul momento non diede peso. «C’era qualcosa di strano: la pillola non l’ho ingoiata in ospedale ma nel Centro salute donna. Due giorni dopo sono tornata per prendere altre medicine. La dottoressa mi aspettava al Centro per accompagnarmi lei in ospedale. Mi fece passare dal retro come per non dare nell’occhio e appena arrivata mi mandò a firmare un foglio, così, diceva “risulti ricoverata in day hospital ma in realtà torni a casa”. Subito dopo mi hanno somministrato il secondo farmaco, stavolta per via vaginale. Erano delle pastigliette».

«Da sola non ce l’avrei fatta»Il farmaco in pastiglie che in questi casi viene somministrato per via vaginale è il Cytotec. Un tempo usato nei casi di ulcera e in grado di provocare contrazioni, oggi è sconsigliato dalle autorità sanitarie mondiali come farmaco abortivo per via dei gravi effetti collaterali. Anche questo dettaglio Mara lo apprende soltanto ora. «La parte peggiore è stata quando sono uscita: non appena salita in macchina ho incominciato a sentire delle fitte insopportabili, mi sentivo venir meno e penso sempre che se fossi stata sola forse non sarei qui, probabilmente mi sarebbe capitato un incidente. Fortunatamente c’era il mio ragazzo. Altrimenti come avrei fatto a salire le scale su cui sono svenuta? Chi mi avrebbe accudito quando sono entrata in casa vomitando per ore con sbalzi ormonali pazzeschi, sensazioni di freddo e caldo continue e tachicardie ripetute, mentre la violenza delle contrazioni mi piegava in due? E i giorni seguenti quando sono dovuta rimanere a letto come avrei fatto ad andare in bagno o anche solo a mangiare?».

Spaventata, Mara pensa che qualcosa sia andato storto o di avere avuto una reazione allergica. «Chiamai la dottoressa che mi disse di tornare in ospedale solo nel caso di perdite emorragiche prolungate. Ho scoperto dopo che teoricamente dovevano farmi degli esami perché non tutti riescono a tollerare la pillola, ma a me di esami non ne hanno fatti». In effetti la procedura prevede di verificare l’assenza di ipertensione, aritmia, asma e allergia alle due pillole. In realtà i disagi subiti da Mara rientrano perfettamente negli effetti collaterali provocati dalla pillola.Un caso simile viene raccontato a Tempi da Graziella, cofondatrice e volontaria del Centro d’aiuto alla vita di Trento.

«Due anni fa – spiega – una donna rumena venne qui e ci disse che voleva abortire perché era in Italia da sola e non sarebbe riuscita a prendersi cura di quel figlio. Noi le spiegammo che l’avremmo sostenuta sia economicamente sia fisicamente, ma in lei vinse il sospetto che dietro quella gratuità si nascondesse qualche interesse e decise di interrompere la gravidanza. Andò all’ospedale Santa Chiara dove le proposero la Ru486 come il metodo più innocuo». La voce di Graziella si fa più acuta, a tratti rotta: «Quando la richiamai mi raccontò che era spaventata per le perdite continue. Le dissi di tornare in ospedale. Andò avanti così per giorni ripetendomi continuamente “sto da cani, sto da cani”. Poi, dopo qualche giorno, è scomparsa e non so cosa le sia successo. Mi viene una rabbia che non so frenare quando penso a come trattano queste donne», conclude Graziella.

La rabbia sale anche a Mara che non capisce «come mai queste cose non siano rese pubbliche e nemmeno quale sia l’interesse a tenerle nascoste, quando sarebbe semplicissimo fare dei controlli per sapere cosa è successo alle tante che hanno abortito con quel farmaco».Non solo il dolore fisicoAnche sul web non è facile trovare le storie di chi ha sofferto per la somministrazione della Ru486 in Italia. A Mara mostriamo un articolo apparso su La Repubblica di Firenze il 28 febbraio del 2008, che non è facile trovare in rete. Mara lo legge con attenzione, velocemente, mostrando di nuovo quella voracità di conoscere la storia di altre donne che hanno abortito come lei. L’articolo racconta di una ragazza che ha usato la Ru486, anche a lei è stato somministrato il Cytotec. «Con quel farmaco – dice la ragazza a Repubblica – ti rendi conto di tutto.

È dura, capisci quello che fai e lo fai con le tue gambe. Sono state quelle settantadue ore il momento più difficile, ti resta addosso qualcosa. In quei giorni hai sentito suonare un campanello d’allarme, che ti ha messo in guardia perché stavi impedendo all’organismo di concludere una cosa che avevi iniziato».C’è una parte molto peggiore del dolore fisico, ammette Mara. «C’è qualcosa di peggio. È stato quando sono andata in bagno per una semplice pipì, lì ho espulso tutto e ho visto il feto». Mara sgrana gli occhi, aprendo le mani come se avesse tra le dita un gomitolo. «Era grande così e non me lo dimenticherò mai». «Ci pensa spesso?», le domandiamo. «Sempre. Soprattutto al momento in cui ho visto il feto. Lì sei veramente sola anche se c’è qualcuno che ti sta a fianco, perché sei tu che hai dentro un figlio e sei tu che sei stata felice in quei mesi in cui te lo sentivi dentro».

«Noi donne – è convinta Mara – siamo fatte anche fisicamente per la maternità, il nostro organismo sta bene quando ospita, e quando abortisci e induci le contrazioni gli fai fare qualcosa che è contro la sua natura. Ti tiri via una parte di te e ti senti svuotata. E sono convinta che con la violenza dell’aborto farmacologico lo senti anche di più».Dev’essere per questo che la ragazzina di Empoli che un anno fa ha abortito con la Ru486 non vuole parlare con Tempi e la sua mamma che si era aperta alle volontarie del Cav della città ha poi deciso di tacere: non se la sentiva più di ripercorrere un’esperienza così dolorosa. «Credo che sia così», risponde Mara risollevando lo sguardo. «Non si parla tranquillamente di una cosa del genere, anche la mia storia la conosce appena il mio ragazzo».

Mara ha deciso di parlare con Tempi, sapendo che non sarebbe stato facile rivivere quell’«esperienza che ti porti addosso per sempre, perché spero davvero che la mia storia serva a far sapere la verità su questa pillola».

di Benedetta Frigerio (Tempi)

domenica 16 agosto 2009

MA NON CHIAMATELA FARMACO

La kill-pill RU-486 comuncerà a girare (anche) tra gli ospedali italiani. Certamente in un paese in cui c'è un aborto ogni 4-5 nascite non se ne sentiva esattamente il bisogno, e c'è da sperare che l'illuminata agenzia del farmaco non si accorga dell'errore fatto solo quando comincerà a morire qualcuno.

Il Ministro Sacconi vuol vederci chiaro, e fa bene. Perchè è vero che le disposizioni sull'utilizzo della pillola diranno che bisogna passare in ospedale tutto il tempo che intercorre tra l'assunzione della prima dose di veleno e l'espulsione dell'embrione, ma è altrettanto vero che chiunque, se lo vuole, può lasciare l'ospedale. Anche 5 minuti dopo un'operazione a cuore aperto (ammesso che sia in grado di firmare), quindi figurarsi 5 minuti dopo aver assunto quella che, per la mentalità collettiva, non sarà la kill-pill ma semplicemente un anti-concezionale di super-emergenza.

Perchè mai qualcuno dovrebbe sentorsi obbligato a passare tre giorni della sua vita in un ospedale per "una pillolina che tra l'altro è una conquista delle donne"? Il tutto con buona pace di quanti, al tempo dell'approvazione della legge 194/78, sostennero che serviva per evitare che il dramma dell'aborto restasse chiuso nel privato.
E con buona pace della stessa legge 194, ormai stirata oltre ogni logica nella sua parte permissiva e nascosta nella sua parte preventiva.

Al di là di queste piccole considerazioni, c'è un aspetto di tutta questa vicenda che forse è ancora più sconvolgente e che certo rivela la "cultura della morte" sottesa all'introduzione della kill-pill.
Quest'ultima, a detta di molti, sarebbe infatti un farmaco, una medicina.

Peccato che il farmaco sia qualcosa che ha lo scopo di curare una malattia o, almeno, di lenire le conseguenze di quest'ultima. La domanda allora é: se la Ru-486 è un farmaco, quale sarebbe la malattia da curare con le famigerate pillole?

La risposta è semplice e tragica al tempo stesso, così fredda nella sua tagliente banalità. La malattia è la gravidanza.

Quella che prima (cioè per quei millenni intercorsi dall'avvento dell'uomo sulla terra al 1968) era una benedizione perchè portava una nuova vita. Quella che poi è diventata argomento di "scelta" (come se si potesse scegliere su una vita che già c'è...), ora è addirittura "malattia".

E' una cosa brutta, da evitare e da eliminare a tutti i costi. Quasi un tumore...
E' il buio tetro della morte che raggiunge l'apice della sua oscurità. E' la negazione più totale ed assoluta di qualsisasi valore della vita umana. Quell'esserino che cresce nel ventre della madre non è una benedizione e nemmeno l'oggetto di una possibile scelta (che contemplerebbe, almeno, la possibilità di una scelta in senso positivo), ma solo una malattia da estirpare. Anzi, da "curare" con la Ru-486.

E intanto la popolazione invecchia, abbiamo bisogno degli immigrati ma poi non vogliamo i problemi di integrazione che questi portano, mentre la pensione diventa ogni anno un miraggio più lontano. Soprattutto per noi, "sopravvissuti" alla 194.

Una società che considera la gravidanza una malattia è una società ben avviata sulla via di un inersorabile tramonto. Perchè i figli magari costano e danno problemi, ma nessuno di noi è eterno.

Speriamo solo di capire in tempo che forse è ora di cambiare rotta. Speriamo solo che quando apriremo gli occhi e ci sveglieremo in una società vecchia e senza futuro non sarà ormai troppo tardi.

E per favore, in nome di quel pizzico di dignità che la lingua italiana ancora oggi conserva... non chiamiamo "farmaco" un veleno.

FT

domenica 19 aprile 2009

LA LEGGE SUL FINE VITA

FEDERVITA LOMBARDIA
MOVIMENTO PER LA VITA – UCSC

Vi invitano alla conferenza

LA LEGGE
SUL FINE VITA:
CONSEGUENZE E PROSPETTIVE

Interverranno:

· Sen. Emanuela Baio (PD)

· Sen. Fabio Rizzi (Lega Nord)





LUNEDI’ 27 APRILE 2009
ORE 17.00 AULA G. 003 BAUSOLA

UNIVERSITA’ CATTOLICA DEL SACRO CUORE
LARGO GEMELLI 1, MILANO
PER INFORMAZIONI:
movitmilano@gmail.com
Federico – 333 3698304 Camilla – 329 8662123

giovedì 9 aprile 2009

DONNA E LIBERTA'

FEDERVITA LOMBARDIA - CAV BRESCIA & CAPRIOLO -
AMCI BRESCIA – AMICI DELLE DONNE-ASSOCIAZIONE DI VOLONTARIATO S. ELISABETTA-UFFICIO DIOC. PASTORALE DELLA SALUTE BRESCIA- SNAMID sez. Brescia


PRESENTANO

DONNA E LIBERTÀ. LE CONSEGUENZE PSICHICHE DELL’ABORTO
Corso di Aggiornamento

Brescia 8-9 maggio 2009
Sala Polifunzionale dell’Università Cattolica S.C. – Via Trieste, 17*


Coordinatori: Dr. Dario Casadei, Prof.ssa Elena Vergani

E’ stato chiesto accreditamento per: medici, psicologi e infermieri
E’ corso di aggiornamento per gli insegnanti di religione


VENERDÌ 8 MAGGIO

ore 14,30 accoglienza

ore 15.00
Apertura dei lavori: Prof. Massimo Gandolfini, Prof.ssa Elena Vergani, Dott.ssa Elisabetta Pittino

Saluti delle Autorità:
Dott. Luigi Morgano, Direttore Università Cattolica Sacro Cuore - sede di Brescia
On. Carlo Casini, Presidente Movimento per la Vita Italiano
Avv. Giorgio Maione, Assessore
Don Maurizio Funazzi, Direttore Ufficio Pastorale Salute- Diocesi di Brescia
Dott. Paolo Picco, Presidente Federvita Lombardia
Signora Erika Palazzi Vitale, Presidente Progetto Gemma
Gianmarco Quadrini, segretario provinciale UDC Brescia

ore 15,30 Il convitato di pietra: la sindrome post-aborto
Tonino Cantelmi - Prof. Ordinario di Psicologia, Università Regina Apostolorum - Roma

16,30 dibattito

ore 17.00 Maternità e gravidanza sotto il profilo psicodinamico
Dario Casadei - Psicologo, psicoterapeuta Dirigente Presidio Ospedaliero Mirano - Venezia

*Si precisa che la lezione di venerdì sera 85.09 ore 20,45 della Dott.ssa Foà si svolgerà presso la Sala Piamarta Recaldini via S. Faustino n. 74- Brescia.
ore 18.00 La relazione madre-figlio e padre-figlio in gravidanza
Gino Soldera – Psicologo, psicoterapeuta prenatale – Presidente ANPEP- Treviso

19,00 dibattito

Sera c/o Sala Piamarta Recaldini via S. Faustino n. 74- Brescia
ore 20,45 Dalla disperazione alla speranza. Casi clinici.
Benedetta Foà - psicologa junior/consulente familiare per il sostegno e l’ “Elaborazione del Lutto” per donne che hanno perso un figlio in gravidanza – Mangiagalli Milano

Interviene Stefano Conter, Cantautore

SABATO 9 MAGGIO

Mattino

ore 9.00 Le conseguenze psichiche dell’aborto: nella madre, nel padre, nei figli
Dario Casadei - Psicologo, psicoterapeuta - Dirigente Presidio Osped. Mirano- Venezia - Università di Udine

ore 10.00 Conseguenze psichiche dell’aborto nelle minorenni
Maria Pia Buracchini – Psicologa, esperta in sessuologia – Roma

ore 10,45 dibattito

ore 11,10 pausa

ore 11,20 La dimensione spirituale del post-aborto: la riconciliazione
P. Massimiliano Michielan – Docente di Psicologia dello Sviluppo Morale – Pontificia Università Antonianum - Roma

ore 12,20 dibattito

ore 12,45 pausa

Pomeriggio

ore 14,00 Il medico di famiglia e la sindrome post aborto: esperienze personali e casi clinici
Gabriele Zanola –Medico di Famiglia- Specialista in psichiatria e psicoterapia - Brescia

ore 14,20 La sindrome post aborto in medicina generale: aspetti teorici e pratici
Giorgio Cavallari – Medico di Famiglia- Vice- coord. Prov. SNAMID - Brescia

ore 14,40 dibattito

ore 15.00 Il figlio abortito: l’ “assenza” presente nella domanda di cura
Cinzia Baccaglini - Psicologa, psicoterapeuta della famiglia - Ravenna

ore 16 dibattito

ore 16,15 pausa

ore 16,30 Legge 194, consenso informato, libertà di scelta
Arturo Buongiovanni – Avvocato, perito in bioetica – Cassino

ore 17,30 La persona madre
Elena Vergani - Psichiatra – già Primario SPDC – Ospedale Molinette - Torino

ore 18,30 Questionario di Valutazione e considerazioni finali
Elena Vergani - Psichiatra – già Primario SPDC – Ospedale Molinette - Torino


Comitato scientifico ed organizzativo: Dr. Dario Casadei, Prof. Massimo Gandolfini, Dr. Piergiacomo Mantelli, Prof. ssa Elena Vergani, Dott. Paolo Gobbini, Dott.ssa Elisabetta Pittino, Dott. Stefano Savoldi, Caterina Pellizzari, Pietro Varesi

Patrocini: Comune di Brescia - Assessorato ai Servizi Sociali e alle Politiche per la Famiglia, Provincia di Brescia - Associazionismo e Volontariato, Regione Lombardia

Grafica: Dott.ssa Anna Feraboli

Informazioni: 3208862148, 3771367356, 3337903171

Iscrizioni entro il 1 maggio 2009: inviare scheda di iscrizione via email, via fax o via posta a donnaeliberta@libero.it, CAV Brescia fax 03044512, vic. S. Clemente n. 25-25121 Brescia.


Il corso è parte del progetto "Donne libere di non abortire, libere di essere madri" nell’ambito del bando della Regione Lombardia “Fare rete e dare tutela e sostegno alla maternità”.

venerdì 27 marzo 2009

LONDRA PUBBLICIZZA L'ABORTO

Proporre l'aborto (ovverosia, ricordiamolo, la soppressione di quella che è una vita umana a tutti gli effetti!!!) come soluzione di un evidentissimo problema sociale che riguarda i giovani e giovanissimi inglesi è semplicemente un tentativo di pulirsi la coscienza e girarsi, in tutta tranquillità, dall'altra parte.

Fate quello che volete, basta che poi abortite. E' questo lo sconvolgente messaggio che il governo di Sua Maestà sta facendo passare tra i più giovani. Fate quel che voltete, certo. E poi si stupiscono se alcol e droga sono una cosa normale ad età sempre più basse.

Il tentativo di diffondere l'aborto (più di quanto non sia già diffuso...) è soltanto l'ennesimo passo del ribaltamento di qualsiasi valore per lasciare spazio pieno ed assoluto ad una presunta libertà che, intesa come "faccio quello che mi pare", diventa annichilimento di sè stessi e degli altri.
L'ideologa ultralibertaria (stile marchese de Sade, per intenderci) dice che fare sesso quando, come e dove si vuole è solo un divertimento, slegando la libertà dell'atto sessuale dalla responsabilità verso il partner (una botta e via...) e verso la vita che inizia. Dice anche che drogarsi si può, e anche bere, se tutto questo aumenta il piacere personale, anche solo per una notte.

Poi, quando alla mattina ci si sveglia accorgendosi del nulla cosmico in cui si è finiti, del nulla cosmico in cui necessariamente finsice un mondo che sceglie di fare del "me stesso medesimo" il supremo giudice del bene e del male, negando qualsiasi orizzonte superiore, negando qualsiasi speranza, ecco a questo punto per riempire il vuoto ed il bisogno di qualcosa di più che il me stesso medesimo non riesce a soddisfare di nuovo sotto con l'alcol, la droga e il sesso. In un circolo vizioso che la pubblicità dell'aborto potrà solo aggravare.

Finchè non inizieranno a fare cultura della vita, ad insegnare il rispetto per sè stessi e per gli altri, a spiegare che forse c'è altro diverso dal "me stesso medesimo supremo giudice del bene e del male", a far capire che si può dare un senso alla vita anche senza passare dallo "sballo assoluto", l'Inghilterra (ed i tanti apesi europei che seguono il suo esempio) continuerà a precipitare nel circolo vizioso del nulla, nel completo annichilimento di ogni valore e, alla fine, della stessa società.
FT

giovedì 26 febbraio 2009

ANCHE IL MOVIT ALLA MARCIA PER LA VITA!

Nella folla che il 25 gennaio a Parigi ha partecipato con entusiasmo alla Marcia per la vita, ben visibili erano le bandiere del Movimento per la Vita italiano: una compatta e colorata delegazione, Movit incluso, ha risposto all’invito del collettivo dei movimenti pro-life francesi “En Marche pour la vie”, per la quinta edizione di un’importante manifestazione che ha catalizzato migliaia di persone allo slogan “Francia, con l'Europa, difendi la vita!”

Gruppi giunti da vari Paesi (Austria, Belgio, Germania, Irlanda, Italia, Norvegia, Olanda, Polonia, Regno Unito, Romania, Slovacchia Svizzera, Spagna, Ungheria) si sono ritrovati in Place de la République, sotto il monumento che onora la libertà, l’uguaglianza e la fraternità, nell’anno in cui ricorre il sessantesimo anniversario della Dichiarazione dei diritti dell’uomo: solo belle parole, se il diritto a goderne di fatto non è esteso a tutti, compresi i più deboli e indifesi.

Proprio per loro si è marciato, si è gridato a gran voce e scritto a chiare lettere sui cartelli: contro aborto ed eutanasia, per il riconoscimento della dignità di ogni essere umano dal concepimento alla morte naturale, per chiedere leggi a sostegno della vita e della famiglia.

Il corteo si è concluso in Place de la Bastille; in mezzo, l’occasione di incontrare sorrisi di ogni età: quelli timidi e gentili dei cinque figli sotto i cinque anni di una coraggiosa coppia francese; quello composto di un distinto signore che appoggiando i suoi 95 anni a due bastoni avanzava in testa al corteo; quello aperto e fiero di un ragazzino con la sindrome di Down, orgogliosissimo di innalzare il suo cartello. Tutti per testimoniare con la semplice presenza il valore di ogni vita.

Chiara Ferla Lodigiani

venerdì 13 febbraio 2009

DIGNITA' DELLA VITA O VITA DEGNA?

“Con Eluana io avevo fatto un patto e l’ho rispettato. Ho rispettato e onorato la parola che avevo dato a mia figlia”. Così ha ribadito ancora una volta in questi giorni il signor Beppino Englaro, il padre di Eluana. Un incredibile patto di morte, senza testimoni, senza firme, un patto di sangue e onore, come nelle più cupe tragedie pagane. Un patto faustiano tra un’adolescente che, forse, si lascia sfuggire qualche battuta sull’inopportunità di vivere da invalidi, e un padre pronto a cogliere in quelle frasi di diciassettenne una volontà testamentaria.

La sentenza quindi si è basata su presunte e non verificabili affermazioni fatte da Eluana 17 anni fa: provate voi ad andare dal notaio dicendo che un parente un giorno vi aveva promesso in eredità ad esempio un immobile…Sembra tutto assurdo, eppure è proprio a causa di questo “patto segreto” che Eluana è morta, per fame e sete. Una situazione in cui si fa passare per morte “naturale” la morte per sete e per mancanza di nutrimento, che è tutto fuorché “naturale”.

Anzitutto è necessario fare chiarezza sulla situazione di Eluana, spesso riportata dai media in maniera errata: la ragazza ha trascorsa 17 anni in stato vegetativo per una ce­rebropatia grave causata da un in­cidente stradale, sottoposta ad alimentazione e idratazione (nei primi due anni di coma riusciva a deglutire frullati o yogurt poi invece deglutiva solo saliva, perciò era necessario un sondino naso gastrico per essere alimentata), la ragazza non era attaccata a nessuna spina, respirava autonomamente, si svegliava ogni mattina e seguiva il ciclo della giornata, la sera si addormentava, alcune sue funzioni organiche tipicamente femminili erano riprese da circa un anno e mezzo. Potremmo oggettivamente dire che Eluana si trovava in una situazione di estrema disabilità.

Alcuni sostengono che alimentazione e idra­tazione siano atti tera­peutici. Non è così. In Francia e Germania sono un atto dovuto per legge. In Italia la legge la sta facendo il Tribuna­le di Milano e non il Parlamento e contrasta con quanto deciso dalla Commissione nazionale di Bioetica. Dovrebbe essere la vita, e non la morte, l’orizzonte nel quale si dovrebbe collocare il diritto; Eluana era come un neo­nato: se gli togli il latte muore perché non è in grado di ali­mentarsi da so­lo. Come si può dire che la nutrizione è un atto di cura?

C'è chi crede che la battaglia per Eluana sia circoscritta al caso Eluana, che si apra e si chiuda con il suo caso, o casi analoghi, e basta. In verità a chi solo minimamente osservi il panorama culturale pro eutanasia in Italia e nel mondo, non sfugge come le cose non stiano così.
Quanti malati gravi può riguardare? E se vale per Eluana perché non per i circa 2500 pazienti in stato vegetativo presenti in Italia? E se vale per chi è in coma perché non per un disabile psichico, incapace di intendere e di volere? Chi stabilisce qual è la vita che vale la pena di essere vissuta e quale invece può essere interrotta? Un giudice? E in base a quali codici?

Lo Stato deve limitarsi a riconoscere la Vita in quanto tale, non può e non deve misurare la dignità della vita come se ci fossero dei livelli di vita "diversi". E' la Vita che fonda la dignità e non il contrario.

Giovanni Pevarello

domenica 8 febbraio 2009

APPELLO A NAPOLITANO!!!


Signor Presidente, la tragica fine che si prospetta per Eluana Englaro non lascia indifferente
la coscienza civile dell’Italia.
Eluana è portata a morte senza che sia stata accertata in maniera incontrovertibile la sua
volontà, né l’irreversibilità del suo stato vegetativo.
Eluana rischia dunque di morire sulla base di una volontà solo presunta, e sarebbe l’unica
persona a subire una tale sorte, poiché nessuna delle leggi sul fine-vita in discussione in
Parlamento permetterà più questo obbrobrio.
Signor Presidente, Le chiediamo fermamente di non permettere questa tragedia, che sarebbe
un insulto sanguinoso alla storia, alla cultura, all’identità stessa del nostro Paese, convinti
come siamo che nessuno deve essere costretto a morire per un formalismo giuridico.
Le chiediamo un intervento perché – di concerto con il Governo – sia data una moratoria alla
sospensione dell’alimentazione e idratazione cui è sottoposta Eluana, in attesa che il
Parlamento – nelle cui fila si è già appalesata un’ampia maggioranza in sintonia con la
maggioranza che vi è nel Paese – possa pronunciarsi su un’adeguata legge.
Siamo certi che Ella non rimarrà insensibile al nostro appello.

I primi firmatari sono Roberto Formigoni, Giancarlo Cesana, Francesco Cossiga, Vittorio Feltri,
Mario Giordano, Dino Boffo, Luigi Amicone, Giuliano Ferrara e i parlamentari Maurizio Gasparri,
Gaetano Quagliariello, Rocco Bottiglione (Udc), Paola Binetti (Pd), Guglielmo Vaccaro (Pd),
Renato Pozzetto, Mario Melazzini, Carlo Casini, Giampiero Cantoni.

ADERISCI ANCHE TU!!!

www.appelloanapolitano.enter.it

martedì 3 febbraio 2009

LA STANNO AMMAZZANDO

DAI TEMPI
DEL TERZO REICH
NESSUN ITALIANO
DISABILE INNOCENTE
ERA STATO MESSO A MORTE.
OGGI QUALCUNO SI E' DISTRATTO.

sabato 31 gennaio 2009

venerdì 9 gennaio 2009

IL MOVIT A PARIGI!!!

UNA RAPPRESENTANZA DEL MOVIT SI RECHERA' A PARIGI IL 25 GENNAIO PER PARTECIPARE ALLA MARCIA PER LA VITA.
CHIUNQUE VOLESSE AGGIUNGERSI E' ANCORA IN TEMPO (ENTRO IL 12).
A TUTTI GLI ALTRI CHIEDIAMO DI SOSTENERCI CON IL PENSIERO (E CON LA PREGHIERA, PER CHI E' CREDENTE) PERCHE' CERCHIAMO DI PORTARE NEL CUORE DELL'EUROPA UN MESSAGGIO IMPORTANTE:
LA VITA E' UN DIRITTO INALIENABILE DELL'UOMO!