mercoledì 28 febbraio 2007

Presentazione nel sito ufficiale del MpV



vi invito ad andare a visitare la nostra sezione, e non solo, sul sito nazionale del Movimento per la Vita!!!


Blog, Internet, mail e volantinaggio sono un efficace strumento, non solo di affermazione della Vita, ma anche di concreta azione: la comunicazione del MpV salva bambini, Vite Umane!!


Ci sono tanti casi di mamme in difficoltà che contattano i CAV tramite annunci, manifesti, numeri verdi..dunque utilizziamo anche questi mezzi.





Vi sottopongo all'attenzione una bella citazione che dà oggi piu' che mai un messaggio di speranza, coraggio e mobilitazione

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“E’ vile chi è convinto della bontà delle proprie idee e abbandona il campo per debolezza o per mancanza di fiducia.
Bastano i pochi che abbiano fiducia, pazienza e costanza; anzitutto fiducia.”


Luigi Sturzo




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Luigi Masotti

MOVIT AVANTI TUTTA!!


Con l’affissione dei primi splendidi manifesti è iniziata oggi l’attività del Movimento per la Vita in Cattolica a Milano!
Occupando ogni scampolo di spazio che i muri del secondo chiostro offrivano, abbiamo dato inizio ad una massiccia campagna informativa per spiegare chi siamo e quali sono le idee che portiamo avanti: da Madre Teresa a Giovanni Paolo II passando per le splendide immagini che la vita umana può evocare, abbiamo appeso buona parte dei manifesti inviatici da Roma con l'indirizzo web di questo blog: per chiunque sia interessato a ricevere ulteriori informazioni o mettersi in contatto con i responsabili.
Finalmente ci siamo anche noi, e ci siamo messi ben in mostra!
Il prossimo punto del programma è l’organizzazione della grande conferenza inaugurale...per continuare sulla strada della cultura della vita.

Federico Trombetta, resp giornale Vita news - Milano

Daignosi prenatale

Cari amici,
riporto ampi stralci del discorso tenuto Carlo Valerio Bellieni, Dirigente del Dipartimento Terapia Intensiva Neonatale del Policlinico Universitario "Le Scotte" di Siena e membro della Pontificia Accademia Pro Vita.
"Esiste una diagnosi prenatale che serve a curare: questa è un obbligo morale per ogni coppia: conoscere in tempo una malattia del figlio per aiutarlo in ogni modo è un successo della medicina moderna. Esiste una diagnosi prenatale che invece non ha un fine curativo, ma di screening, al fine di riconoscere le malattie genetiche (di gravità variabile) e le malformazioni (maggiori o minori), la maggioranza delle quali non ha cura, ma certo non inficiano la dignità o lo status di persona del figlio.
Recentemente, con la semplicità del bambino che grida “il re è nudo!”, Didier Sicard ha precisato un’evidenza: la diagnosi prenatale sta diventando un elemento di eugenetica (e ovviamente si riferiva al secondo tipo di diagnosi). Didier Sicard è il capo del Comitato di Bioetica Francese, cioè dello Stato più laico al mondo. Subito si sono levate le batterie della contraerea degli intellettuali italiani che hanno “precisato”, distinto e ridimensionato. Ma cosa ha detto in realtà Didier Sicard? Niente di speciale: La diagnosi prenatale è “quasi obbligatoria”, riguarda ormai “la quasi totalità delle gravidanze”, e insomma “la Francia costruisce passo dopo passo una politica sanitaria che flirta ogni giorno di più con l’eugenetica”.
Ci sembra questo un discorso da cui l’Italia è esente? Basterebbe pensare al numero di amniocentesi eseguite ogni anno in ogni ospedale italiano, o l’alto numero di test ematici della madre (triplo test ecc) fatti per sapere il rischio che nasca un bambino Down per iniziare un profondo esame di coscienza e cercare di capire, invece che “ridimensionare” e “distinguere”.
Ma già il termine “rischio”, che spesso si associa nella comunicazione del risultato di una diagnosi prenatale alla parola “bambino Down” ci dovrebbe far storcere il naso: un bambino non è mai un rischio! Semmai la parola rischio dovrebbe essere associata alla malattia: insomma, sarebbe corretto dire “il bambino ha il …% di rischio di avere una sindrome Down” e non “voi avete il …% di rischio di avere un bambino Down”. E questo lapsus che si ritrova nel parlare comune è un bel test che la dice lunga sul pensiero di chi lo pronuncia.
Già, Didier Sicard ha ragione: siamo all’interno di un sistema consumistico, da cui neanche la vita del feto sfugge. E la letteratura scientifica porta conferme di questo fatto. Infatti emerge che, nel campo della diagnosi prenatale: 1) Il consumatore ha diritto a tutto ciò che può pagare. 2) E’ l’offerta pubblica che determina lo standard. Mentre il primo punto viene ben spiegato dall’articolo “Consumerism in prenatal diagnosis” (consumismo nella diagnosi prenatale), pubblicato nel 2000 dal Journal of Medical Ethics, e dal lavoro di M. Aldred sull’eticità dell’aborto in previsione di anomalie dentarie, sul secondo punto vorrei fare un esempio. Nei banchi dei supermercati non si vedono mai frutti danneggiati; eppure esser stati in minima parte beccati dagli uccellini è indice di sanità, di non-contaminazione da pesticidi.
Riporta D.I. Bromage sul laico Journal of Medical Ethics del 2006 che “c’è un trend in aumento di diagnosi prenatale e di aborti di feti che sarebbero nati con disabilità”. In 10 anni tramite l’aborto non sono nati “il 43% dei feti con palato fesso e il 64% di quelli con piede torto, nonostante entrambe le situazioni siano curabili” E spiega che è stato suggerito che “abortire feti con disabilità è una forma di altruismo”. Bromage spiega che la società “moderna” divideva su basi mediche le persone tra normali e anormali, emarginando i secondi, in una sorta di fobia del diverso; la società “postmoderna”, invece, nega “che la verità medica sia una verità e riconosce una pluralità di verità. Non distingue più tra normali e anormali, ma vede la società frammentata e individualistica, piuttosto che governata da una filosofia totalizzante” e al sommo di questa società sta il “sacro” criterio dell’autodeterminazione.
Ma il problema si estende oltre la vita del feto: un lapsus è ricorso in questi giorni, quando diversi giornali hanno riportato un progetto di legge secondo cui “la donna ha diritto di usare il proprio cordone ombelicale”, riferendosi a quello… del figlio, come se inconsciamente esistesse un flusso di appropriazione del corpo del figlio già nato, dopo che già si considera da anni una proprietà dei genitori quello non nato. L’idea del figlio-proprietà ritorna nel recente caso della donna sorda (J Med Ethics, 2002) che ha cercato un uomo con la stessa patologia per concepire in vitro un figlio che voleva a tutti i costi sordo e che per questo ha ottenuto di non farlo curare neanche dopo nato; così come nei casi di eutanasia neonatale, fatti “nell’interesse di terzi” (Bioethics, 2000), ma anche nel recentissimo caso della madre del soldato morto in azione che ne fa prelevare lo sperma – senza previe disposizioni da parte del morto – per fecondare un’estranea e avere un nipote. Come non pensare che all’origine di questi esempi di appropriazione della vita o del corpo del figlio da parte dei genitori vi sia l’idea di possesso del feto, implicito nella selezione prenatale, che si è estesa mentalmente al figlio neonato, per giungere a vedere ogni figlio come una proprietà?
Ma il problema non si ferma qui: come non vedere all’orizzonte quanto previsto dallo psichiatra francese Benoit Bayle, cioè la costituzione di una generazione di sopravvissuti, cioè di un popolo che per nascere è dovuto passare al vaglio della diagnosi prenatale e dunque dell’accettazione da parte dei genitori? Dunque il problema trascende un’impostazione religiosa, ma anche una impostazione morale. È un fatto di ragione e di salute sia sociale che del singolo bambino nato. E’ un po’ come se non “lo Stato”, né “un gruppo etico”, ma la semplice routine applicasse prima della nascita un “bollino blu”
di certificazione ad ogni bambino… lasciando poi “liberi” i genitori dei feti senza bollino blu di decidere se tenerlo oppure no. Si capisce bene come poi la pressione sociale sia tale da far sentire “strano” chi decidesse di non abortire. Siamo dunque in mano ad una routine che non impone di abortire, ma di contare i cromosomi. Cosa c’è di male, si potrà dire? Infatti non c’è nulla di male… se non fosse la semplice osservazione che a nessuna madre con un bambino in braccio passerebbe per la testa di andare a contare i suoi cromosomi per volergli bene, per accettarlo. Ma prima della nascita tutto è possibile, con metodi invasivi o non invasivi. Ed è uno screening.
Già, perché screening viene dalla parola screen che vuol dire “setaccio”. E’ un po’ trattare i bambini come la farina che va separata da “altro”. Bisogna dunque capire un ultimo risvolto: il problema va ben oltre la gravidanza dato che i bambini non sono sciocchi e hanno le orecchie lunghe, tanto da sentire cosa i genitori provano e come lo/la considerano. E nel clima attuale c’è una triste ipotesi suffragata da sondaggi e osservazioni: da piccolo il bambino è considerato un giocattolo, da feto un’ “appendice”, da adolescente un “filtro di eterna giovinezza” per genitori che non lo aiuteranno a crescere… per continuare ad illudersi di essere giovani. E nella società attuale tanti segnali vanno in questo senso: dall’età sempre maggiore in cui i figli vengono lasciati staccarsi dal cordone ombelicale invisibile dei genitori, alla frustrazione dei giovani europei emersa in un recente sondaggio dell’UNICEF; allo scarso appoggio morale che i genitori danno ai figli sposati per incrementare la famiglia."

Gabriele Piccirillo, studente di economia in Bocconi.

giovedì 22 febbraio 2007

ABBONATI al "SI alla Vita" !!!




Gli argomenti di cui discutere sarebbero tanti, ma per una volta dedichiamo questo
editoriale a noi stessi, a Sì alla vita, l’unico strumento per dare una continuità alla Giornata
per la vita, l’unico modo per essere sempre informati sui temi caldi legati al diritto alla vita
ed ai diritti umani.
Il modo più concreto per dare continuità alla Giornata per la vita è quello di rinnovare e soprattutto
di moltiplicare gli abbonamenti a questo giornale.
Per me è un atto di coraggio dedicare l’editoriale – forse il più importante dell’anno – a questo
invito. Gli editoriali, infatti, dovrebbero affrontare in forma sintetica le questioni culturali di maggiore
attualità e rilievo. Ce ne sarebbe molte da proporre in questo inizio dell’anno 2007, nel quale
sembra che sia in corso una generale offensiva della “cultura della morte”. A fine novembre
l’Europa ha deciso di sostenere con il suo denaro anche la distruzione sperimentale di embrioni
umani; a dicembre è esploso definitivamente il caso Welby con tutte le implicazioni eutanasiche; il
governo ha promesso di presentare entro la fine di questo gennaio un disegno di legge sulle
coppie di fatto; continuano gli attacchi contro la legge 40/04 sulla procreazione artificiale
nonostante l’importante positivo intervento della Corte Costituzionale del 24 ottobre scorso; mentre
stentano a trovare accettazioni le nostre ripetute proposte agli enti locali affinché nella attuazione
della legge sull’aborto si faccia prevalere almeno il principio di “preferenza per la nascita”, non
poche Regioni legiferano per consentire l’uso più o meno disinvolto dell’aborto chimico (Ru486) e
di quello precocissimo (pillola del giorno dopo); la rinnovata composizione del Comitato
nazionale di bioetica, avvenuto ancora nel dicembre scorso non lascia ben sperare circa pareri
limpidi in favore della vita.
Ma di tutto questo ed altro ancora ci sarà comunque tempo e modo di parlare e dialogare proprio
con questo giornale nei prossimi mesi. Ma sarà inutile se non ci saranno ascoltatori. Dunque, mi
sono detto, bisogna coinvolgere i nostri lettori in una grande operazione strategica culturale: il
raddoppio (almeno) degli abbonamenti a Sì alla vita.
Ho detto “operazione strategica e culturale”, non “operazione commerciale”. Ogni giorno milioni di
cittadini si sentono propinare dalle televisioni, proprio sul tema della vita, informazioni partigiane,
talvolta banalmente non vere.
Come reagire? Lo so, nella società dell’informazione ben altri dovrebbero essere gli strumenti, ma
io ricordo un colloquio, nel 1980, con Jeremek, dirigente di Solidarnosh appena fondata con il
boom di 10 milioni di iscritti in un mese. “Come avete fatto?” chiesi. “I foglietti parrocchiali” rispose.
Sì alla vita è molto più di un foglietto parrocchiale e noi faremo da subito di tutto per migliorarlo. Mi
capita di ascoltare, sui grandi mezzi di informazione, ma non solo, persone che difendono le nostre
tesi, ma non sanno sempre cosa dire o dimenticano aspetti decisivi e comunque importanti. Il
dibattito può avvenire anche nella semplicità delle famiglie, degli uffici, dei bar, della strada.
Bisogna conoscere per convincere. E bisogna essere uniti, avere un senso di appartenenza. E
sostenere chi si trova in prima linea.
Auguriamoci tutti un anno di forte impegno. Insieme.
Buona giornata per la vita!


Carlo Casini
da “Sì alla vita”, organo Movimento per la Vita Italiano, gennaio 2007

mercoledì 21 febbraio 2007

MPV: Esposto al procuratore sul caso della mamma-bambina

ESPOSTO AL PROCURATORE GENERALE DI TORINO SUL CASO DELLA MAMMA-BAMBINA

Il Movimento per la vita ha presentato un esposto alla Procura della Repubblica di Torino in merito al caso della mamma-bambina che in qualche misura sarebbe stata spinta all’aborto contro la sua volontà. Un caso che presenta “aspetti di singolare delicatezza e di tale interesse generale da far apparire opportuno un esatto accertamento dei fatti ed una loro autorevole interpretazione alla luce della legislazione vigente”. L’esperienza più che trentennale dei 280 Centri di aiuto alla vita e delle circa 60 Case di accoglienza del Movimento per la vita dimostra che “spesso la decisione di aborto matura sotto la pressione di familiari, amici, dell’ambiente in genere, oppure nella percezione della donna di trovarsi in una estrema solitudine sotto il peso di difficoltà economiche o psicologiche che le sembrano schiaccianti. In base alla legge 194 ed alla sentenza Costituzionale n. 35 del 1997 “l’aborto non è espressione di un diritto di libertà, ma la risposta ad uno stato di necessità, che sarebbe bene rimuovere. Il bene protetto è la vita umana non l’aborto. Se la donna non vuole ricorrere alla Ivg e non c’è alcun rischio di aborto clandestino, quello legale non può certo essere imposto. Che la madre sia troppo giovane non è una ragione che giustifica l’aborto se ella non lo vuole”. “Non sappiamo come concretamente si sia svolta la triste vicenda di Torino. Non conosciamo neppure l’età gestazionale della ragazza. Sappiamo ciò che la legge dice: nei primi tre mesi di gravidanza se entrambi i genitori consentono all’Ivg non c’è bisogno di ricorrere al Giudice tutelare. In questa ipotesi sarebbe terribile che il ricorso al giudice fosse stato effettuato per imporre alla ragazza una scelta che essa rifiutava”. Fa riflettere anche l’ipotesi per la quale “il passaggio prima attraverso il consultorio e poi attraverso l’ufficio del Giudice tutelare sarebbe stato necessario per la mancanza del consenso del padre di Valentina, neppure interpellato (non si capisce bene perché). In tal caso si può anche immaginare un atteggiamento di timidezza o contraddittorio di Valentina, ma sembra difficile escludere il suo pianto e, almeno a tratti, il suo rifiuto di abortire”. La richiesta che allora viene posta al procuratore di Torino è di accertare se “le istituzioni, in particolare i consultori, i medici, il Giudice tutelare, abbiano operato in modo da capire fino in fondo la situazione, da fare emergere la reale volontà della donna, liberandola da indebite pressioni dirette o indirette, da favorire se possibile, la prosecuzione della gravidanza. La legge 194 punisce l’inadempimento di questa procedura (art.19) così come punisce in modo severo l’aborto su donna non consenziente (art. 18) e comunque l’aborto che avviene per negligenza (art.17)”

martedì 20 febbraio 2007

SODDISFAZIONE PER IL RISULTATO DEL REFERENDUM PORTOGHESE.


CASINI: “L’EUROPA PUO’ RIPARTIRE DA QUI

Il Movimento per la vita italiano esulta per il risultato del referendum che si è svolto ieri in Portogallo. «La società portoghese, nonostante le iniziali indecisioni del fronte antiabortista, ha dato una risposta chiara al tentativo del governo di liberalizzare l’aborto» commenta Carlo Casini, presidente del Movimento. «Anche volendo sposare la soluzione più prudente, i portoghesi hanno dimostrato di non considerare la liberalizzazione dell’aborto come una questione urgente. Ma l’ampiezza del risultato legittima anche interpretazioni più ottimistiche: in sostanza meno del 25% dei portoghesi ha chiesto di modificare la legge sull’aborto. Per il resto, anche considerando una fetta consistente di assenteismo fisiologico, ha detto un “niet” secco ed inequivocabile. «Eppure il governo di Lisbona dichiara di voler andare avanti. Con una protervia figlia minore dell’ideologia, si fa beffe della volontà popolare e della democrazia e prosegue per la sua strada. Di conseguenza anche la battaglia è destinata a continuare. Una battaglia che riguarda il Portogallo e non solo. «L’Europa intera» conclude Casini «affida ai suoi quattro estremi geografici (Malta, Irlanda, Polonia e Portogallo) le speranze di ripartire nel sogno originale di edificare una società continentale basata sulla dignità umana e sui diritti di ogni individuo, senza distinzioni»

alla Cattolica il convegno «L’eclissi della bellezza»



Da BRESCIAOGGI
Lunedì 12 Febbraio 2007

Si è concluso alla Cattolica il convegno «L’eclissi della bellezza» Melazzini, l’anti-Welby: «Alleanza medico-malato» «Fino a quattro anni fa avevo tutto, eppure non ero una persona fortunata. Considero il mio male un dono, che mi ha consentito di avere del mondo e della mia professione una visione nuova». Mario Melazzini è un medico, e soffre di sclerosi laterale amiotrofica, la stessa che aveva ridotto all’infermità Piergiorgio Welby. Presidente dell’associazione che riunisce i malati di Sla, è famoso per aver preso posizione proprio sul caso Welby e aver promosso, con altri, il manifesto per la garanzia di una presa in carico globale del paziente, contro l’abbandono, l’accanimento, e l’eutanasia. Melazzini è su una sedia rotelle, parla con voce flebile, quasi sussurrando. Eppure vuole vivere, perchè ha «accettato la misteriosità della malattia», la sua nuova personalità dentro questo percorso tortuoso. E si dice addirittura fortunato: «Le mie capacità cognitive sono integre, riesco ancora a lavorare, ho una famiglia che mi sostiene». Nella giornata conclusiva del convegno internazionale promosso da Federvita Lombardia con Laris e Università Cattolica di Brescia, si è parlato del volto più nascosto di Dio. Una Bellezza che si cela anche nella malattia che consuma il fisico, che non «ha apparenza per attirare i nostri sguardi». Melazzini ha portato la sua testimonianza toccante di operatore della sanità, e insieme di paziente. «Le malattie non sono incurabili. Sono tutte trattabili, purchè il paziente venga preso in carico». Purchè si ricostituisca quell’«alleanza tra medico e malato» che oggi è andata perduta. Se i medici talvolta cedono alla tentazione dell’accanimento terapeutico perchè si sentono «impotenti, hanno paura di non saper guarire»: non è questo - ha precisato Melazzini - il caso di Piergiorgio Welby. Un caso che «ha avuto solo un pregio, ha saputo riportare all’attenzione lo stato di abbandono e l’indifferenza in cui vivono tante persone che soffrono di Sla». Ma non solo di malattia si è parlato ieri mattina ne «L’eclissi della bellezza». Dopo gli interventi di venerdì e sabato, Claire Ly, Jean Pierre Ruhigisha e Mwerekande Dieudonne, moderati da Gianni Mussini, hanno portato la loro testimonianza di due genocidi che hanno segnato questo secolo, cercando di rispondere alla domanda «Dov’era Dio?». Nell’aprile del 1994 in soli 100 giorni i rwandesi di etnia tutsi, nell’indifferenza del mondo intero, uccisero a colpi di machete un milione di hutu e tutsi moderati. Tra il 1975 e il 1979 in Cambogia i rivoluzionari kmers rossi iniziarono la costruzione di una società totalmente purificata da ogni «sovversione occidentale imperialista». Claire Ly c’era, e nell’arco di 24 ore vide sterminare la sua famiglia. «Provavo collera, e odio nei confronti del Dio degli occidentali, che ritenevo il colpevole ideale della mia sofferenza. Poi ho incontrato il vangelo. A 36 anni ho ricevuto il battesimo. Dopo la mia tragedia avevo una ferita, ma oggi so che questa ferita è anche nel cuore del mio Dio, è sul corpo di Cristo quando resuscita». Orrore, violenza, dolore. Quale strada seguire di fronte a questi drammi? «Il perdono è l’unica strada; dall’altra parte ci sono solo la vendetta, e la giustizia terrena», ha spiegato l’onorevole Sandro Fontana nella tavola rotonda conclusiva (a cui sono intervenuti anche, oltre a Claire Ly, Massimo Gandolfini, Pino Morandini, Sara Squassina, Giorgio Gibertini, Luciano Eusebi e Giacomo Samek Lodovici). Ma nella consapevolezza che il perdono «è una grazia, che appartiene alla giustizia divina, a noi uomini spetta l’impegno della pace, e di guardare con speranza al futuro, che sono i nostri figli». Un esplicito appello, nella giornata in cui il Portogallo è chiamato con un referendum a decidere se depenalizzare l’aborto.
Natalia Danesi

domenica 18 febbraio 2007

tredicenne impazzisce x aborto

Dramma a Torino. Dopo l’intervento minaccia di uccidersi ed è ricoverata in psichiatriaCostretta ad abortire, impazzisceTredicenne vuole tenere il bambino ma genitori e giudice dicono noIDramma per una ragazzina di tredici anni: rimasta incinta, è stata obbligata ad abortire con una decisionedel giudice. Dopo l’intervento, al quale si opponeva, ha minacciato di uccidersi ed è stata ricoverata al reparto di psichiatria dell’ospedale infantile «Regina Margherita» di Torino.LA FAMIGLIA La ragazzina, che frequenta la terza media, ha difeso fin dall’inizio l’idea di tenere il bambino, frutto di un rapporto con il fidanzatino di 15 anni, ma i genitori si sono opposti: «Sei troppo piccola, non puoi rovinarti la vita». Poi, la decisione del giudice. LA CRISI. Dopo l’interruzione di gravidanza, il crollo psicologico. Crisi psicologiche così gravi da spingere gli psichiatri dell’Asl a disporre il ricovero d’urgenza, una settimanafa. La tredicenne ripete: «Io qui non ci voglio stare, non sono pazza, sto solo male come un cane per quello che mi hanno obbligato a fare».

DA LA PRIMA PAGINA DE "LA STAMPA"

alla professoressa Elena Cattaneo

LETTERA AD UNA PROFESSORESSA

Lettera aperta alla Professoressa Cattaneo


Siamo studenti presso le Facoltà scientifiche di questo Ateneo. Ci appassiona la possibilità di approfondire la conoscenza della realtà che ci circonda, in tutti i suoi aspetti. Anche per noi, at-traverso lo studio, fare scienza è in qualche modo il nostro lavoro quotidiano. Per molti di noi una delle più alte aspirazioni è poter diventare ricercatori, per contribuire al suo sviluppo. La scienza nella nostra epoca si è dimostrata uno dei rami più fertili della conoscenza umana e più decisivi nel-lo sviluppo di una comunità. Non si può rimanere indifferenti quando nel giro di qualche decennio il metodo scientifico ci ha consentito di aprire finestre su problemi che, non molto tempo fa in fon-do, sembravano fuori dalla nostra capacità intellettiva. Come è possibile non stupirsi di fronte alla decifrazione del codice del genoma umano? O come, per fare un esempio, non entusiasmarsi di fronte alla possibilità di fare affermazioni sensate sui primissimi istanti dell’universo? Il potere e le potenzialità della scienza ci appaiono oggi come grandissime evidenze. Ma dentro questa grande avventura di conoscenza, siamo proprio sicuri che il fine giustifichi i mezzi? Ci sembra che ogni se-rio impegno di ricerca metta in gioco due attori protagonisti: la nostra domanda, la nostra sete di capire e la realtà. C’è qualcosa che sta più in profondità di qualsiasi brevettabilità futura, che è più originale di qualunque possibile applicazione, pur importante che sia: è l’oggetto del nostro studio, che detta sempre il metodo al nostro lavoro. Per questo siamo usciti molto preoccupati, forse anche un po’ sconcertati, dal convegno pubblico che lei ha organizzato nella nostra Facoltà1. È possibile fare ricerca, senza porsi la domanda principale: che cosa ho di fronte? Nella fattispecie: che cosa è l’embrione? È vita umana?
Lei ha proposto di delegare la risposta a tali domande alla coscienza del singolo, alle confes-sioni religiose, lasciando intendere che non sia possibile affermare niente di certo su un tema come questo. Ma se anche così fosse, se non fossimo sicuri che una certa realtà sia "essere umano", non sarebbe comunque più ragionevole rimanere prudenti? Forse ha fatto parlare dei preti (che se lei ha notato hanno difeso più la ragione che il catechismo) perché i "laici" invitati davano risposte fran-camente impresentabili, come quella dell’"etica a stadi". Ci inquieta profondamente questa teoria, che è stata proposta dal prof. Demetrio Neri, docente di Bioetica all’Università di Messina, secondo la quale dovremmo creare diversi livelli o "stadi" di valore nelle espressioni della vita umana, in particolare, assegnando un livello più basso alla persona non ancora completamente sviluppata (embrioni e feti) rispetto al livello umano vero e proprio. Ma questo non equivale a formulare una
1 "Le cellule staminali embrionali umane" organizzato da UniStem, centro di ricerca interdipartimentale fondato nel nostro Ateneo, e svoltosi presso l’Aula A della facoltà di Farmacia il 31/01/2007
scala di dignità basata sulle potenzialità che essa può raggiungere? Potremmo per esempio avere gli schizofrenici, i down, i malformati, ad occupare stadi leggermente inferiori a quello di un adulto considerato sano. E così via. Avremmo così giustificato, grazie alla teoria del prof. Neri, una classi-ficazione degli esseri umani che ci risveglia sinistri ricordi. Ancor più ci sconcerta l’affermazione, emersa durante il convegno, che "è giusto usare embrioni umani, così salveremo la vita a molti a-nimali che oggi dobbiamo sacrificare alla ricerca." È questo il massimo sforzo conoscitivo che un gruppo all’avanguardia del nostro ateneo può o vuole produrre per "difendere" la legittimità della propria ricerca?
Sono esempi di un errore in cui possiamo cadere, ma che dobbiamo combattere. Crediamo che ci sia un problema di metodo, che consiste in un uso troppo ristretto della ragione, come se essa si arrestasse non appena entrano in gioco questioni che non possono essere decise in base al metodo scientifico. Così ci atteggiamo a intransigenti ricercatori, giustamente rigorosi, quando si parla di DNA, codice genetico, cellule toti-potenti, mentre lasciamo campo libero alle più svariate interpre-tazioni su problemi come la vita e l’etica. Nelle questioni più decisive, che ci interessano di più co-me uomini, riponiamo l’arma della ragione nel fodero. Ma non abbiamo bisogno di attendere ulte-riori progressi della ricerca scientifica, ulteriori esperimenti o dimostrazioni, per stabilire che, se un embrione non viene soppresso, si mostrerà come quell’individuo umano che è fin dall’inizio, e non ne verrà fuori un elefante o un topolino. Qui si tratta di un uso elementare, e anche più ampio, della ragione senza del quale siamo destinati ad essere prede della dittatura delle interpretazioni su tutti i temi più importanti dell’esistenza umana. Non vogliamo essere bambini che pretendono di provare tutto, accettando di farsi trascinare via dai mille venti ideologici che ci circondano. Vogliamo essere uomini che non rinunciano a scegliere, usando fino in fondo la propria capacità di giudizio.
Michele Benetti –Presidente della Conferenza degli studenti dell’Università degli Studi di Milano
Enrico Toso –Rappresentante del Consiglio di Facoltà di Scienze matematiche,fisiche e naturali
Beatrice Bignami - Rappresentante del Consiglio di Facoltà di Medicina Veterinaria
Daniele Cosi - Rappresentante del Consiglio di Facoltà di Farmacia
Riccardo Branca –Studente della Facoltà di Farmacia
Agnese Taboni –Studente della Facoltà di Farmacia
Alessandro Carabelli - Studente della Facoltà di Farmacia
Maddalena Nizzola - Studente della Facoltà di Farmacia
Per adesioni o commenti:lettera.aperta@gmail.com

Grazie Valentina!!

Valentina: Non mollare mai!

Ciao a tutti coloro che amano la vita.Mi chiamo Valentina, ho 18 anni e vivo in provincia di Venezia. La mia storia che in breve vi racconterò è iniziata l’8 giugno 2002 durante la pizza di classe di quarta superiore quando dopo aver fatto il test di gravidanza ho scoperto di essere incinta e in una frazione di secondo il mondo mi è crollato addosso.Inizialmente visti i miei 17 anni e la paura di una situazione troppo grande avevo pensato di abortire. Ne ho parlato poi con i miei genitori che mi hanno fatto riflettere ma la conferma della mia scelta sbagliata è avvenuta quando ho sentito il battito del cuore di quel piccolo esserino che avevo dentro di me e tornando a casa decisi di portare a temine la gravidanza. Dopo aver parlato con il mio ragazzo ed i suoi genitori fermamente convinti che l’aborto era la decisione migliore ho iniziato ad andare avanti giorno dopo giorno con la forza datami dalla creatura che tenevo dentro di me.I mesi passavano ed era sempre più bello sentirlo dentro di me muoversi, calciare, sentirlo VIVO.Al quinto mese il mio ragazzo ha cominciato a salutarmi e a chiedermi della mia bambina perché avevo saputo che sarebbe nata Gioia; a dicembre però ha ribadito il suo pensiero iniziale, non voleva prendersi alcuna responsabilità ma io ho continuato la mia vita con l’affetto dei miei genitori e dei miei amici che mi sono stati tanto vicini e che ringrazio.Il 27 gennaio 2003 alle ore 6.50 è nata Gioia 3350gr e 52cm di lunghezza. Non sono mai stata così felice, l’ho tenuta tra le braccia e guardandola negli occhi le ho giurato amore eterno.Ieri Gioia ha compiuto un mese di vita….io sono felice perché ho fatto una scelta che mi ha cambiato la vita e che non ho mai rimpianto. Darò a mia figlia l’amore di madre e anche quella di un padre che non avrà mai la soddisfazione di vedere la propria figlia crescere e augurargli il buon giorno ogni mattina con il suo dolce sorriso.La vita è una cosa meravigliosa, non uccidiamo una creatura che ci possa amare, che ci fa tornare il sorriso anche nelle giornate più buie, fate come me: dite SI ALLA VITA!!!!!!!!!!!Vorrei ringraziare il centro aiuto vita e invito tutte le ragazze in difficoltà di contattarlo perché non vi lascerà sole ed inoltre un ringraziamento particolare a Giorgio Gibertini perché è una persona meravigliosa .

lunedì 12 febbraio 2007

L’ABORTO RENDE LIBERI?

E’ stata quantomeno curiosa l’uscita del premer portoghese Socrates, chiamato a commentare la vittoria mutilata del sì nel referendum sull’aborto (non è stato infatti raggiunto il quorum). Ha detto che ora si depenalizzerà l’aborto attraverso una legge del parlamento e che in tal modo il Portogallo sarà un “paese più libero”.
Da ciò dovremmo dedurre che il diritto all’aborto, ovvero alla soppressione di un essere umano prima della sua nascita, è una discriminante da considerare nella valutazione del tasso di libertà di un paese. Per tanto l’abotro sarebbe, secondo il premier portoghese e come da tempo chiedono diverse associazioni e lobbies abortiste, un “diritto umano fondamentale”.
Ma come inizia la storia della legalizzazione dell’aborto? Quali furono, in sostanza, i primi paesi “liberi”, i paesi modello cui, seguendo quanto dice Socrates (e purtroppo non solo lui) le legislazioni degli stati moderni dovrebbero ispirarsi per essere veramente “libere”?
Ebbene, il primo paese a legalizzare l’aborto, fulgido esempio di libertà ed apertura mentale, fu l’Unione Sovietica nel 1920. Ecco il modello da seguire, ecco il primo paese “libero” dell’era moderna!
Ma le sorprese non sono finite: il modello di libertà sovietico tardò qualche decennio ad essere esportato, ma finalmente un altro paese uscì dall’oscurantismo illiberale che caratterizzava la sua legislazione: la Germania nazista fu il secondo paese a legalizzare l’aborto. Ecco un altra grande nazione che, emancipandosi da un passato oscurantista che osava difendere il diritto alla vita, si rese finalmente “libera”.
Questi dunque sono gli esempi originari di “libertà” cui il fronte abortista portoghese e quello mondiale si ispirano. Ed in effetti l’aborto rientra appieno negli schemi delle ideologie totalitarie, che possono affermarsi solo negando il diritto alla vita per ogni essere umano e spostando a proprio piacimento l’inizio o la fine (i nazisti furono i primi ad applicare su larga scala l’eutansia) di questo diritto con lo scopo, tacito o dichiarato, di “purificare la società”, come dissero di voler fare i nazionalsocialisti o Kmer rossi della Cambogia.
E’ quantomeno curioso che, mentre la storia insegna che la libertà fu soppressa proprio grazie alla negazione del diritto alla vita, oggi si parli di negazione di questo diritto come fondamento di libertà. Ma oggi gli Stati fanno un rapido calcolo: costa di più dare alle donne incinte un supporto economico e morale (sono le principali cause di aborto) o abbandonarle a loro stesse ammantando questo abbandono come un diritto di libertà? Un numero esorbitante di aborti potrebbe essere evitato (e talvolta, grazie ai Centri di Aiuto alla Vita, viene evitato) grazie alla cultura dell’accoglienza e dell’aiuto alle donne gravide in difficoltà, vittime anch’esse della società nemica della vita che legalizza l’aborto ed abbandona loro e le creature viventi che portano in grembo, mentre si rischiano multe salatissime se si calpestano le uova di alcuni tipi di uccello o di rettile.
Se la “libertà” di cui parla Socrates e per cui gioiscono gli abortisti portoghesi e mondiali è questa, se è lecito anche solo pensare che in nome della “libertà” possano essere uccisi ogni anno nel mondo cinquantaquattro milioni di piccoli esseri umani, se è “libero” l’uomo che, a suo piacimento e con la benedizione della legge, può uccidere un suo fratello, allora come non chiedersi “quando sarà che l’uomo potrà imparare a vivere senza ammazzare”? (lo canta Guccini, non il Papa).
Come non pensare che, in fondo, dire che l’aborto rende liberi è come “il lavoro rende liberi” di tragica memoria? Come non pensare che a quei bambini che “adesso sono nel vento” si aggiungeranno presto quelli delle sale operatorie portoghesi?

mercoledì 7 febbraio 2007

Chiamati ad amare di Giacomo Samek Lodovici

In «Avvenire», 28.01.2007, supplemento «Noi genitori e figli», pp. 8-10.

Ogni uomo è unico e irripetibile. Ma come si può rendere desiderabile la vita? Solo riscoprendo quanto essa sia preziosa.


Nel messaggio della Cei per la prossima Giornata della vita (4 febbraio), c’è un inciso breve, ma su cui è importante soffermarsi: “la vita […] va anche desiderata”. In effetti, oggigiorno si impone prepotentemente sempre di più una mentalità di disprezzo e di rifiuto della vita umana, che ha le sue clamorose manifestazioni nel terrorismo (che viene giustificato, da alcuni, perfino in Occidente), nell’aborto, nell’eutanasia, nella distruzione degli embrioni, ecc.[...]L’apparato massmediatico solletica sistematicamente molti desideri: quello sessuale, come appetito che cerca il solo godimento; il desiderio di successo e di prestigio sociale; il desiderio di apparire ed essere famosi; quello dell’estremo (dell’occulto, dello sport pericoloso); quello della trasgressione, ecc.
Però non si prodiga mai per alimentare il desiderio per la vita (a meno che non sia il desiderio per la vita mediante la fecondazione artificiale, cioè per la vita a tutti i costi, cioè anche quando la natura non acconsente).
Come si può invertire questa tendenza pervasiva di svalutazione della vita umana? Come si può rendere desiderabile la vita? Solo riscoprendone l’incommensurabile preziosità-dignità. Kant affermava che mentre le cose hanno un prezzo, gli uomini hanno una dignità, cioè sono talmente preziosi da non avere alcun prezzo.
Ora, Oscar Wilde diceva che apprezzeremmo di più i tramonti se li dovessimo pagare. È un aforisma che può darci un suggerimento: noi svalutiamo la vita per una sorta di inflazionamento, perché non sappiamo cogliere la bellezza di ciò che è pur abituale, e non ci rendiamo conto che ogni nuova nascita di un essere umano è una meraviglia, che ogni vita umana è un miracolo e un rinnovato mistero. Le righe che seguono cercheranno di dimostrarlo.
Infatti, anche solo dal punto di vista biologico, ogni singolo corpo umano è composto da molteplici organi e costituito da circa 100.000 miliardi di cellule, ognuna delle quali è composta da migliaia di miliardi di molecole: è un enorme laboratorio chimico che compie operazioni sofisticatissime. E al centro di ognuno di questi laboratori si trova il DNA, a sua volta composto da 4 miliardi di caratteri.
Anche solo dal punto di vista fisico, la vita non sarebbe sorta se fossero stati minimamente diversi i parametri delle forze fisiche fondamentali, che determinano sia la struttura dell’universo, sia le sue leggi fisico-chimiche, sia l’articolazione delle fasi della sua evoluzione. Solo un esempio: se il valore della costante gravitazionale fosse stato anche assai di poco più alto, l’universo sarebbe subito collassato; se fosse stato anche assai di poco minore non sarebbero nate le stelle e dunque nemmeno i pianeti.
Ma se già dal punto di vista biologico e fisico la vita è un prodigio, in più l’uomo è un essere unico tra i viventi: “Molte cose sono mirabili al mondo, ma l'uomo le supera tutte” (Sofocle), come si può vedere considerando alcune sue caratteristiche, che lo distinguono dagli animali.
1) L’uomo, diversamente dall’animale, non si limita a cogliere la piacevolezza/dolorosità delle cose, ma è un essere conoscitivo che vuole conoscere la verità sulle cose, percepisce il bene e il male, il giusto e l’ingiusto, il bello e il brutto. 2) L’uomo è connotato dalla socialità. 3) L’uomo è capace di amare, che non significa cercare l’utile o il piacere personale per mezzo di un altro uomo, ma vuol dire cercare il suo bene, promuovere la sua felicità. 4) L’uomo possiede la libertà, cioè la volontà umana è capace di dare a se stessa delle motivazioni e di scegliere. 5) L’uomo è artista, perché è in grado di cogliere la bellezza e cerca di immortalarla in opere che non hanno una finalità pratica, bensì sollecitano l’ammirazione e lo stupore disinteressato. 6) L’uomo è costituito di corpo ma anche di spirito. 7) L’uomo è capace di religiosità: molti filosofi (per es. Cicerone ed Hegel) hanno rimarcato ciò che anche gli antropologi e gli etnologi affermano: l’uomo da sempre esercita delle attività religiose mentre gli animali non hanno una religione.
Insomma, davvero "l'uomo è il culmine e quasi il compendio dell'universo, e la suprema bellezza dell'intera creazione" (S. Ambrogio).

Se fin qui abbiamo sinteticamente visto la preziosità comune ad ogni uomo, ora dobbiamo aggiungere che ogni singolo uomo è unico ed irripetibile, perché è un io, come non ne è esistito e non ne esisterà mai uno identico.
Il filosofo Levinas dice che ogni figlio è un figlio unico, anche se ha molti fratelli, perché non è la reduplicazione di nessuno, neanche del suo eventuale gemello: ha un’interiorità che lo distingue dal gemello, che gli è solo fisicamente identico.
Ebbene, un io non soltanto va desiderato, ma altresì amato. In effetti possiamo fare un ulteriore progresso nella nostra riflessione, sulla scorta del documento della Cei: “la vita […] chiede amore”.
Il desiderio ha per oggetto ciò che non esiste ancora, ciò a cui si anela, è l’espressione di una mancanza che si agogna di eliminare. Invece l’amore è una premura affettuosa per chi c’è già. Amare qualcuno significa dirgli: “è bene che tu sia, è meraviglioso che tu esista, gioisco per il tuo esserci” (anche, per es., se sei disabile). Significa provare stupore e meraviglia per l’esistere dell’altro, per ciò che l’altro è, e non per ciò che l’altro fa o possiede.
Di più, amare significa cercare il bene dell’altro nella sua singolarità e unicità e non per le sue qualità e caratteristiche psicofisiche, che possono essere riproducibili: la simpatia, la bellezza, l’arguzia di una persona possono avere reduplicazioni in altre persone; ma l’io di ciascuno è un unicum nell’intera storia dell’universo.
Amare non significa intrattenere un rapporto con una persona che può essere sostituita con un'altra avente le stesse qualità, nemmeno se fosse il fratello o la sorella gemella. L’amore dischiude lo scrigno interiore dell’identità dell’altro, come diceva lo psicoterapeuta Viktor Frankl: “Nel caso in cui un perfetto doppio occupasse il posto di una persona amata, un doppio che disponesse anche di tutte le informazioni relative ai ricordi comuni – forse noi non ci accorgeremmo dell’inganno; tuttavia se avvertissimo che si tratta di un inganno […] allora ci sentiremmo traditi. L’altro non sarebbe più l’uomo amato, a meno di non incominciare ad amare anche lui. Ma in tal caso si tratterebbe di un altro amore”.
Ancora, ogni uomo è un singolo irripetibile, perché può intrattenere un rapporto personale con Dio: “ogni singolo uomo, qualunque sia la sua condizione: uomo, donna, ragazza di servizio, ministro, commerciante, studente ecc. […] esiste davanti a Dio! Questo singolo uomo che forse sarebbe orgoglioso di aver parlato una volta in vita sua col re, quest’uomo che si vanta tanto di vivere in rapporti cordiali con questa e quest’altra persona famosa, ecco che quest’uomo esiste davanti a Dio, può parlare con Dio in qualsiasi momento, sicuro di essere ascoltato: insomma quest’uomo è invitato a vivere nei rapporti più familiari con Dio!” (Kierkegaard).
Se riusciremo a comprendere che ogni io è unico ed irripetibile potremo affrancarci dal conformismo dei desideri indotti culturalmente dai media e prendere l’iniziativa personale e controcorrente, di amare singolarmente e in modo speciale l’uomo singolo in cui ci imbattiamo, di gioire per il suo esserci.
È questo il nostro compito: noi proveniamo dall’amore di qualcuno (e di Qualcuno) e siamo chiamati ad amare. Lo diceva stupendamente Giovanni Paolo II, con un ragionamento che, per altro, non richiede la fede: “l’uomo non può vivere senza amore […] la sua vita è priva di senso, se non gli viene rivelato l’amore, se non s’incontra con l’amore, se non lo sperimenta e non lo fa proprio, se non vi partecipa vivamente”. Siamo chiamati ad amare e ad amare singolarmente.

giovedì 1 febbraio 2007

Messaggio del Papa per la Giornata della Pace 2007

LA PERSONA UMANA, CUORE DELLA PACE
1. All'inizio del nuovo anno, vorrei far giungere ai Governanti e ai Responsabili delle Nazioni, come anche a tutti gli uomini e le donne di buona volontà, il mio augurio di pace. Lo rivolgo, in particolare, a quanti sono nel dolore e nella sofferenza, a chi vive minacciato dalla violenza e dalla forza delle armi o, calpestato nella sua dignità, attende il proprio riscatto umano e sociale. Lo rivolgo ai bambini, che con la loro innocenza arricchiscono l'umanità di bontà e di speranza e, con il loro dolore, ci stimolano a farci tutti operatori di giustizia e di pace. Proprio pensando ai bambini, specialmente a quelli il cui futuro è compromesso dallo sfruttamento e dalla cattiveria di adulti senza scrupoli, ho voluto che in occasione della Giornata Mondiale della Pace la comune attenzione si concentrasse sul tema: Persona umana, cuore della pace. Sono infatti convinto che rispettando la persona si promuove la pace, e costruendo la pace si pongono le premesse per un autentico umanesimo integrale. È così che si prepara un futuro sereno per le nuove generazioni.
La persona umana e la pace: dono e compito
2. Afferma la Sacra Scrittura: " Dio creò l'uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò " (Gn 1,27). Perché creato ad immagine di Dio, l'individuo umano ha la dignità di persona; non è soltanto qualche cosa, ma qualcuno, capace di conoscersi, di possedersi, di liberamente donarsi e di entrare in comunione con altre persone. Al tempo stesso, egli è chiamato, per grazia, ad un'alleanza con il suo Creatore, a offrirgli una risposta di fede e di amore che nessun altro può dare al posto suo(1). In questa mirabile prospettiva, si comprende il compito affidato all'essere umano di maturare se stesso nella capacità d'amore e di far progredire il mondo, rinnovandolo nella giustizia e nella pace. Con un'efficace sintesi sant'Agostino insegna: " Dio, che ci ha creati senza di noi, non ha voluto salvarci senza di noi "(2). È pertanto doveroso per tutti gli esseri umani coltivare la consapevolezza del duplice aspetto di dono e di compito.
3. Anche la pace è insieme un dono e un compito. Se è vero che la pace tra gli individui ed i popoli — la capacità di vivere gli uni accanto agli altri tessendo rapporti di giustizia e di solidarietà — rappresenta un impegno che non conosce sosta, è anche vero, lo è anzi di più, che la pace è dono di Dio. La pace è, infatti, una caratteristica dell'agire divino, che si manifesta sia nella creazione di un universo ordinato e armonioso come anche nella redenzione dell'umanità bisognosa di essere recuperata dal disordine del peccato. Creazione e redenzione offrono dunque la chiave di lettura che introduce alla comprensione del senso della nostra esistenza sulla terra. Il mio venerato predecessore Giovanni Paolo II, rivolgendosi all'Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 5 ottobre 1995, ebbe a dire che noi " non viviamo in un mondo irrazionale o privo di senso [...] vi è una logica morale che illumina l'esistenza umana e rende possibile il dialogo tra gli uomini e tra i popoli "(3). La trascendente "grammatica", vale a dire l'insieme di regole dell'agire individuale e del reciproco rapportarsi delle persone secondo giustizia e solidarietà, è iscritta nelle coscienze, nelle quali si rispecchia il progetto sapiente di Dio. Come recentemente ho voluto riaffermare, " noi crediamo che all'origine c'è il Verbo eterno, la Ragione e non l'Irrazionalità "(4). La pace è quindi anche un compito che impegna ciascuno ad una risposta personale coerente col piano divino. Il criterio cui deve ispirarsi tale risposta non può che essere il rispetto della "grammatica" scritta nel cuore dell'uomo dal divino suo Creatore.
In tale prospettiva, le norme del diritto naturale non vanno considerate come direttive che si impongono dall'esterno, quasi coartando la libertà dell'uomo. Al contrario, esse vanno accolte come una chiamata a realizzare fedelmente l'universale progetto divino iscritto nella natura dell'essere umano. Guidati da tali norme, i popoli — all'interno delle rispettive culture — possono così avvicinarsi al mistero più grande, che è il mistero di Dio. Il riconoscimento e il rispetto della legge naturale pertanto costituiscono anche oggi la grande base per il dialogo tra i credenti delle diverse religioni e tra i credenti e gli stessi non credenti. È questo un grande punto di incontro e, quindi, un fondamentale presupposto per un'autentica pace.
Il diritto alla vita e alla libertà religiosa
4. Il dovere del rispetto per la dignità di ogni essere umano, nella cui natura si rispecchia l'immagine del Creatore, comporta come conseguenza che della persona non si possa disporre a piacimento. Chi gode di maggiore potere politico, tecnologico, economico, non può avvalersene per violare i diritti degli altri meno fortunati. È infatti sul rispetto dei diritti di tutti che si fonda la pace. Consapevole di ciò, la Chiesa si fa paladina dei diritti fondamentali di ogni persona. In particolare, essa rivendica il rispetto della vita e della libertà religiosa di ciascuno. Il rispetto del diritto alla vita in ogni sua fase stabilisce un punto fermo di decisiva importanza: la vita è un dono di cui il soggetto non ha la completa disponibilità. Ugualmente, l'affermazione del diritto alla libertà religiosa pone l'essere umano in rapporto con un Principio trascendente che lo sottrae all'arbitrio dell'uomo. Il diritto alla vita e alla libera espressione della propria fede in Dio non è in potere dell'uomo. La pace ha bisogno che si stabilisca un chiaro confine tra ciò che è disponibile e ciò che non lo è: saranno così evitate intromissioni inaccettabili in quel patrimonio di valori che è proprio dell'uomo in quanto tale.
5. Per quanto concerne il diritto alla vita, è doveroso denunciare lo scempio che di essa si fa nella nostra società: accanto alle vittime dei conflitti armati, del terrorismo e di svariate forme di violenza, ci sono le morti silenziose provocate dalla fame, dall'aborto, dalla sperimentazione sugli embrioni e dall'eutanasia. Come non vedere in tutto questo un attentato alla pace?
L'aborto e la sperimentazione sugli embrioni costituiscono la diretta negazione dell'atteggiamento di accoglienza verso l'altro che è indispensabile per instaurare durevoli rapporti di pace. Per quanto riguarda poi la libera espressione della propria fede, un altro preoccupante sintomo di mancanza di pace nel mondo è rappresentato dalle difficoltà che tanto i cristiani quanto i seguaci di altre religioni incontrano spesso nel professare pubblicamente e liberamente le proprie convinzioni religiose. Parlando in particolare dei cristiani, debbo rilevare con dolore che essi non soltanto sono a volte impediti; in alcuni Stati vengono addirittura perseguitati, ed anche di recente si sono dovuti registrare tragici episodi di efferata violenza. Vi sono regimi che impongono a tutti un'unica religione, mentre regimi indifferenti alimentano non una persecuzione violenta, ma un sistematico dileggio culturale nei confronti delle credenze religiose. In ogni caso, non viene rispettato un diritto umano fondamentale, con gravi ripercussioni sulla convivenza pacifica. Ciò non può che promuovere una mentalità e una cultura negative per la pace.
L'uguaglianza di natura di tutte le persone
6. All'origine di non poche tensioni che minacciano la pace sono sicuramente le tante ingiuste disuguaglianze ancora tragicamente presenti nel mondo. Tra esse particolarmente insidiose sono, da una parte, le disuguaglianze nell'accesso a beni essenziali, come il cibo, l'acqua, la casa, la salute; dall'altra, le persistenti disuguaglianze tra uomo e donna nell'esercizio dei diritti umani fondamentali.
Costituisce un elemento di primaria importanza per la costruzione della pace il riconoscimento dell'essenziale uguaglianza tra le persone umane, che scaturisce dalla loro comune trascendente dignità. L'uguaglianza a questo livello è quindi un bene di tutti inscritto in quella "grammatica" naturale, desumibile dal progetto divino della creazione; un bene che non può essere disatteso o vilipeso senza provocare pesanti ripercussioni da cui è messa a rischio la pace. Le gravissime carenze di cui soffrono molte popolazioni, specialmente del Continente africano, sono all'origine di violente rivendicazioni e costituiscono pertanto una tremenda ferita inferta alla pace.
7. Anche la non sufficiente considerazione per la condizione femminile introduce fattori di instabilità nell'assetto sociale. Penso allo sfruttamento di donne trattate come oggetti e alle tante forme di mancanza di rispetto per la loro dignità; penso anche — in contesto diverso — alle visioni antropologiche persistenti in alcune culture, che riservano alla donna una collocazione ancora fortemente sottomessa all'arbitrio dell'uomo, con conseguenze lesive per la sua dignità di persona e per l'esercizio delle stesse libertà fondamentali. Non ci si può illudere che la pace sia assicurata finché non siano superate anche queste forme di discriminazione, che ledono la dignità personale, inscritta dal Creatore in ogni essere umano(5).
L'" ecologia della pace "
8. Scrive Giovanni Paolo II nella Lettera enciclica Centesimus annus: " Non solo la terra è stata data da Dio all'uomo, che deve usarla rispettando l'intenzione originaria di bene, secondo la quale gli è stata donata; ma l'uomo è stato donato a se stesso da Dio e deve, perciò, rispettare la struttura naturale e morale, di cui è stato dotato "(6). È rispondendo a questa consegna, a lui affidata dal Creatore, che l'uomo, insieme ai suoi simili, può dar vita a un mondo di pace. Accanto all'ecologia della natura c'è dunque un'ecologia che potremmo dire "umana", la quale a sua volta richiede un"‘ecologia sociale". E ciò comporta che l'umanità, se ha a cuore la pace, debba tenere sempre più presenti le connessioni esistenti tra l'ecologia naturale, ossia il rispetto della natura, e l'ecologia umana. L'esperienza dimostra che ogni atteggiamento irrispettoso verso l'ambiente reca danni alla convivenza umana, e viceversa. Sempre più chiaramente emerge un nesso inscindibile tra la pace con il creato e la pace tra gli uomini. L'una e l'altra presuppongono la pace con Dio. La poesia-preghiera di San Francesco, nota anche come " Cantico di Frate Sole ", costituisce un mirabile esempio — sempre attuale — di questa multiforme ecologia della pace.
9. Ci aiuta a comprendere quanto sia stretto questo nesso tra l'una ecologia e l'altra il problema ogni giorno più grave dei rifornimenti energetici. In questi anni nuove Nazioni sono entrate con slancio nella produzione industriale, incrementando i bisogni energetici. Ciò sta provocando una corsa alle risorse disponibili che non ha confronti con situazioni precedenti. Nel frattempo, in alcune regioni del pianeta si vivono ancora condizioni di grande arretratezza, in cui lo sviluppo è praticamente inceppato anche a motivo del rialzo dei prezzi dell'energia. Che ne sarà di quelle popolazioni? Quale genere di sviluppo o di non-sviluppo sarà loro imposto dalla scarsità di rifornimenti energetici? Quali ingiustizie e antagonismi provocherà la corsa alle fonti di energia? E come reagiranno gli esclusi da questa corsa? Sono domande che pongono in evidenza come il rispetto della natura sia strettamente legato alla necessità di tessere tra gli uomini e tra le Nazioni rapporti attenti alla dignità della persona e capaci di soddisfare ai suoi autentici bisogni. La distruzione dell'ambiente, un suo uso improprio o egoistico e l'accaparramento violento delle risorse della terra generano lacerazioni, conflitti e guerre, proprio perché sono frutto di un concetto disumano di sviluppo. Uno sviluppo infatti che si limitasse all'aspetto tecnico-economico, trascurando la dimensione morale-religiosa, non sarebbe uno sviluppo umano integrale e finirebbe, in quanto unilaterale, per incentivare le capacità distruttive dell'uomo.
Visioni riduttive dell'uomo
10. Urge pertanto, pur nel quadro delle attuali difficoltà e tensioni internazionali, impegnarsi per dar vita ad un'ecologia umana che favorisca la crescita dell'" albero della pace ". Per tentare una simile impresa è necessario lasciarsi guidare da una visione della persona non viziata da pregiudizi ideologici e culturali o da interessi politici ed economici, che incitino all'odio e alla violenza. È comprensibile che le visioni dell'uomo varino nelle diverse culture. Ciò che invece non si può ammettere è che vengano coltivate concezioni antropologiche che rechino in se stesse il germe della contrapposizione e della violenza. Ugualmente inaccettabili sono concezioni di Dio che stimolino all'insofferenza verso i propri simili e al ricorso alla violenza nei loro confronti. È questo un punto da ribadire con chiarezza: una guerra in nome di Dio non è mai accettabile! Quando una certa concezione di Dio è all'origine di fatti criminosi, è segno che tale concezione si è già trasformata in ideologia.
11. Oggi, però, la pace non è messa in questione solo dal conflitto tra le visioni riduttive dell'uomo, ossia tra le ideologie. Lo è anche dall'indifferenza per ciò che costituisce la vera natura dell'uomo. Molti contemporanei negano, infatti, l'esistenza di una specifica natura umana e rendono così possibili le più stravaganti interpretazioni dei costitutivi essenziali dell'essere umano. Anche qui è necessaria la chiarezza: una visione " debole " della persona, che lasci spazio ad ogni anche eccentrica concezione, solo apparentemente favorisce la pace. In realtà impedisce il dialogo autentico ed apre la strada all'intervento di imposizioni autoritarie, finendo così per lasciare la persona stessa indifesa e, conseguentemente, facile preda dell'oppressione e della violenza.
Diritti umani e Organizzazioni internazionali
12. Una pace vera e stabile presuppone il rispetto dei diritti dell'uomo. Se però questi diritti si fondano su una concezione debole della persona, come non ne risulteranno anch'essi indeboliti? Si rende qui evidente la profonda insufficienza di una concezione relativistica della persona, quando si tratta di giustificarne e difenderne i diritti. L'aporia in tal caso è palese: i diritti vengono proposti come assoluti, ma il fondamento che per essi si adduce è solo relativo. C'è da meravigliarsi se, di fronte alle esigenze "scomode" poste dall'uno o dall'altro diritto, possa insorgere qualcuno a contestarlo o a deciderne l'accantonamento? Solo se radicati in oggettive istanze della natura donata all'uomo dal Creatore, i diritti a lui attribuiti possono essere affermati senza timore di smentita. Va da sé, peraltro, che i diritti dell'uomo implicano a suo carico dei doveri. Bene sentenziava, al riguardo, il mahatma Gandhi: " Il Gange dei diritti discende dall'Himalaia dei doveri ". È solo facendo chiarezza su questi presupposti di fondo che i diritti umani, oggi sottoposti a continui attacchi, possono essere adeguatamente difesi. Senza tale chiarezza, si finisce per utilizzare la stessa espressione, ‘diritti umani’ appunto, sottintendendo soggetti assai diversi fra loro: per alcuni, la persona umana contraddistinta da dignità permanente e da diritti validi sempre, dovunque e per chiunque; per altri, una persona dalla dignità cangiante e dai diritti sempre negoziabili: nei contenuti, nel tempo e nello spazio.
13. Alla tutela dei diritti umani fanno costante riferimento gli Organismi internazionali e, in particolare, l'Organizzazione delle Nazioni Unite, che con la Dichiarazione Universale del 1948 si è prefissata, quale compito fondamentale, la promozione dei diritti dell'uomo. A tale Dichiarazione si guarda come ad una sorta di impegno morale assunto dall'umanità intera. Ciò ha una sua profonda verità soprattutto se i diritti descritti nella Dichiarazione sono considerati come aventi fondamento non semplicemente nella decisione dell'assemblea che li ha approvati, ma nella natura stessa dell'uomo e nella sua inalienabile dignità di persona creata da Dio. È importante, pertanto, che gli Organismi internazionali non perdano di vista il fondamento naturale dei diritti dell'uomo. Ciò li sottrarrà al rischio, purtroppo sempre latente, di scivolare verso una loro interpretazione solo positivistica. Se ciò accadesse, gli Organismi internazionali risulterebbero carenti dell'autorevolezza necessaria per svolgere il ruolo di difensori dei diritti fondamentali della persona e dei popoli, principale giustificazione del loro stesso esistere ed operare.
Diritto internazionale umanitario e diritto interno degli Stati
14. A partire dalla consapevolezza che esistono diritti umani inalienabili connessi con la comune natura degli uomini, è stato elaborato un diritto internazionale umanitario, alla cui osservanza gli Stati sono impegnati anche in caso di guerra. Ciò purtroppo non ha trovato coerente attuazione, a prescindere dal passato, in alcune situazioni di guerra verificatesi di recente. Così, ad esempio, è avvenuto nel conflitto che mesi fa ha avuto per teatro il Libano del Sud, dove l'obbligo di proteggere e aiutare le vittime innocenti e di non coinvolgere la popolazione civile è stato in gran parte disatteso. La dolorosa vicenda del Libano e la nuova configurazione dei conflitti, soprattutto da quando la minaccia terroristica ha posto in atto inedite modalità di violenza, richiedono che la comunità internazionale ribadisca il diritto internazionale umanitario e lo applichi a tutte le odierne situazioni di conflitto armato, comprese quelle non previste dal diritto internazionale in vigore. Inoltre, la piaga del terrorismo postula un'approfondita riflessione sui limiti etici che sono inerenti all'utilizzo degli strumenti odierni di tutela della sicurezza nazionale. Sempre più spesso, in effetti, i conflitti non vengono dichiarati, soprattutto quando li scatenano gruppi terroristici decisi a raggiungere con qualunque mezzo i loro scopi. Dinanzi agli sconvolgenti scenari di questi ultimi anni, gli Stati non possono non avvertire la necessità di darsi delle regole più chiare, capaci di contrastare efficacemente la drammatica deriva a cui stiamo assistendo. La guerra rappresenta sempre un insuccesso per la comunità internazionale ed una grave perdita di umanità. Quando, nonostante tutto, ad essa si arriva, occorre almeno salvaguardare i principi essenziali di umanità e i valori fondanti di ogni civile convivenza, stabilendo norme di comportamento che ne limitino il più possibile i danni e tendano ad alleviare le sofferenze dei civili e di tutte le vittime dei conflitti(7).
15. Altro elemento che suscita grande inquietudine è la volontà, manifestata di recente da alcuni Stati, di dotarsi di armi nucleari. Ne è risultato ulteriormente accentuato il diffuso clima di incertezza e di paura per una possibile catastrofe atomica. Ciò riporta gli animi indietro nel tempo, alle ansie logoranti del periodo della cosiddetta " guerra fredda ". Dopo di allora si sperava che il pericolo atomico fosse definitivamente scongiurato e che l'umanità potesse finalmente tirare un durevole sospiro di sollievo. Quanto appare attuale, a questo proposito, il monito del Concilio Ecumenico Vaticano II: " Ogni azione bellica che indiscriminatamente mira alla distruzione di intere città o di vaste regioni con i loro abitanti è un crimine contro Dio e contro l'uomo, che deve essere condannato con fermezza e senza esitazione "(8). Purtroppo ombre minacciose continuano ad addensarsi all'orizzonte dell'umanità. La via per assicurare un futuro di pace per tutti è rappresentata non solo da accordi internazionali per la non proliferazione delle armi nucleari, ma anche dall'impegno di perseguire con determinazione la loro diminuzione e il loro definitivo smantellamento. Niente si lasci di intentato per arrivare, con la trattativa, al conseguimento di tali obiettivi! È in gioco il destino dell'intera famiglia umana!
La Chiesa a tutela della trascendenza della persona umana
16. Desidero, infine, rivolgere un pressante appello al Popolo di Dio, perché ogni cristiano si senta impegnato ad essere infaticabile operatore di pace e strenuo difensore della dignità della persona umana e dei suoi inalienabili diritti. Grato al Signore per averlo chiamato ad appartenere alla sua Chiesa che, nel mondo, è " segno e tutela della trascendenza della persona umana "(9), il cristiano non si stancherà di implorare da Lui il fondamentale bene della pace che tanta rilevanza ha nella vita di ciascuno. Egli inoltre sentirà la fierezza di servire con generosa dedizione la causa della pace, andando incontro ai fratelli, specialmente a coloro che, oltre a patire povertà e privazioni, sono anche privi di tale prezioso bene. Gesù ci ha rivelato che " Dio è amore " (1 Gv 4,8) e che la vocazione più grande di ogni persona è l'amore. In Cristo noi possiamo trovare le ragioni supreme per farci fermi paladini della dignità umana e coraggiosi costruttori di pace.
17. Non venga quindi mai meno il contributo di ogni credente alla promozione di un vero umanesimo integrale, secondo gli insegnamenti delle Lettere encicliche Populorum progressio e Sollicitudo rei socialis, delle quali ci apprestiamo a celebrare proprio quest'anno il 40o e il 20o anniversario. Alla Regina della Pace, Madre di Gesù Cristo " nostra pace " (Ef 2,14), affido la mia insistente preghiera per l'intera umanità all'inizio dell'anno 2007, a cui guardiamo — pur tra pericoli e problemi — con cuore colmo di speranza. Sia Maria a mostrarci nel Figlio suo la Via della pace, ed illumini i nostri occhi, perché sappiano riconoscere il suo Volto nel volto di ogni persona umana, cuore della pace!