mercoledì 23 settembre 2009

KILL PILL: DOMANDE E RISPOSTE

Cos’è la Ru486?
È un prodotto chimico a base di mifepristone, un potente antiormonale che interrompe l’annidamento dell’embrione nell’utero e provoca l’aborto. Prima che nel 1980 l'endocrinologo francese Étienne-Émile Baulieu la trasformasse in un abortivo, la Ru486 (fino ad allora nota come Ru38486) veniva utilizzata nei laboratori nel corso di esperimenti sui topi: si trattava di una medicina capace di arrestare il funzionamento della ghiandola surrenale. Fu allora che, per la prima volta, ci si rese conto che le femmine di topo gravide abortivano e qualcuno si chiese se non si poteva utilizzare la proprietà abortiva della molecola cambiandole il nome.

Qual è la differenza rispetto alla pillola del giorno dopo?
Anche la cosiddetta pillola del giorno dopo è un preparato che impedisce all’embrione umano di impiantarsi nell’utero. Ma mentre questa deve essere presa entro e non oltre 72 ore dal rapporto sessuale fecondante, la Ru486 può essere presa fino al 49esimo giorno dall’ultimo ciclo mestruale.

Come si usa?
La Ru486 viene presa per via orale. Tre giorni dopo la donna deve assumere un’altra sostanza chiamata misoprostol, che provoca le contrazioni necessarie per espellere l’embrione. Dopo dieci giorni è necessaria un’ultima visita di controllo.

Che cos'è la «seconda pillola»?
Il protocollo Ru486 prevede l'assunzione di due pillole, a distanza di due giorni l'una dall'altra. La seconda, che dovrebbe indurre l'espulsione dell'embrione e che è in commercio col nome di Cytotec, non è mai stata registrata e testata come un abortivo.

Qual è il tasso di efficacia?
Nel 5% dei casi si rende necessario ugualmente un aborto chirurgico. In alcune casistiche la percentuale sale all’8%. A Cuba il tasso di fallimenti è arrivato fino al 16%.

È compatibile con la legge 194?
Per la legge 194 la gestante deve rivolgersi a un consultorio, o a una struttura sociosanitaria abilitata, per svolgere i necessari accertamenti medici (mentre i medici devono aiutarla a rimuovere le cause che la spingono all’aborto). Un tale percorso, con una pausa di riflessione richiesta alla donna di 7 giorni, è difficilmente compatibile con l’uso della Ru486, che prevede tempi molto ristretti.

Il farmaco ha delle complicazioni?
Sono moltissimi gli "incidenti" legati alla Ru486 segnalati dalle varie autorità sanitarie internazionali(emorragie, infezioni, eventi trombotici). I dati più allarmanti sono però quelli relativi al decesso delle donne che l'hanno assunta. A oggi sono 29 quelle morte dopo aver assunto Ru486: sono decedute, in larga parte, a causa dell'infezione da batterio Clostridium Sordellii: un batterio che non causa febbre, e perciò è difficilmente individuabile. Il dato, d'altronde, è stato confermato nel 2005 dall'autorevole rivista New England Medical Journal: l'aborto chimico provoca una mortalità dieci volte maggiore di quello chirurgico. Lo stesso dato peraltro è stato riportato dall'Aifa nel bollettino pubblicato l'anno scorso sul farmaco.

martedì 22 settembre 2009

ABORTO: DIRITTO O OMICIDIO?

Pubblichiamo di seguito per la rubrica di Bioetica le risposte ad alcune domande riguardanti l'aborto elaborate da Carlo Casini, già magistrato di Cassazione e membro del Comitato Nazionale per la Bioetica. Casini è inoltre Presidente del Movimento per la Vita italiano, membro della Pontificia Accademia per la Vita e docente presso l'Ateneo Pontificio "Regina Apostolorum" di Roma.


C’è chi sostiene che l’aborto é un omicidio, altri invece lo considerano come un diritto della donna. Chi ha ragione?


Certamente è inammissibile un diritto della madre di distruggere il proprio figlio. L’ abortismo estremo invoca la libertà e la chiamiamo diritto di autodeterminazione. Ma la libertà finisce dove cominciano i diritti di altri. Il concepito è un “altro”. Chi potrebbe sostenere che i genitori hanno il diritto oggi (nelle epoche antiche c’era) di uccidere i figli già nati? Qual è la differenza tra il neonato o il bimbo che sta nel seno materno? Per quanto riguarda il nascituro nessuna in termini di qualità: la distanza tra un feto e un neonato è meno grande della distanza tra un neonato e un adulto. Tuttavia non si deve dire che l’aborto è un omicidio o che le donne sono assassine. L’aborto è un aborto, cioè la uccisione di un figlio non nato, l’infanticidio è l’uccisione di un bimbo nel corso del parto o immediatamente dopo di esso, l’omicidio è l’uccisione di un uomo che non si chiama più né feto , né infante. Queste sono definizioni giuridiche.


Tuttavia ci sono due ragioni più profonde per cui é bene non usare i termini di omicidio e di assassinio. In primo luogo c’è la particolare irripetibile situazione della gravidanza, in cui un essere umano vive nel corpo di un altro essere umano. La sua principale difesa, che poi è quella di sempre, di miliardi di mamme che hanno fatto la storia del mondo, sta nella mente e nel cuore della madre. Il bimbo è sempre lo stesso, ma bisogna tener conto della sua particolare situazione.


In secondo luogo normalmente nell’aborto le vittime sono due: il figlio, ma anche la madre. Nella maggioranza dei casi ella subisce la pressione della società, dei medici, dei familiari, del gruppo di amici, del padre del bambino, dei giornali, della televisione. In ogni caso la giovane donna è abbandonata a una angosciante solitudine (“è affar tuo, veditela te!"). In molti casi, ad aborto avvenuto, ella porta nel segreto del suo cuore il dolore di un lutto. Gli specialisti parlano di “sindrome post-aborto”. Spesso la sua giovinezza, al di là delle apparenze, resta come soffocata. Non é opportuno spargere sale sulle ferite. La società tutta intera, in particolare il “popolo della vita” devono essere accoglienti anche verso coloro che hanno abortito. È anche colpa della società e nostra se non siamo riusciti a restituire loro il coraggio e la libertà di accogliere la vita. Perciò non é bene usare la parola “omicidio” pur sapendo che l’aborto è l’uccisione di uno di noi.


Dopo l’invito da parte dell’ONU a una “moratoria” riguardo all’esecuzione della pena di morte, il Direttore del Il Foglio, Giuliano Ferrara, ha lanciato l’idea di una “moratoria” riguardo all’aborto. Non è una provocazione offensiva per le donne?


No. Dobbiamo essere grati a Ferrara per aver clamorosamente introdotto sui mezzi di comunicazione sociale un paragone che da molto tempo era nel pensiero e nella riflessione cristiana. Naturalmente ottenere la sospensione delle condanne a morte è obiettivo ben più semplice del non portare a compimento in milioni di casi un proposito di aborto. Ma ciò che il parallelo vuole esprimere non è questo. Il confronto grida ciò che è vero: il figlio concepito è un essere umano, così come lo è il condannato a morte, con la differenza che il primo è innocentissimo e viene eliminato dall’aborto, spesso senza nemmeno l’accertamento della necessità di arrivare ad un così tragico evento; il secondo è condannato perché ritenuto colpevole dei più gravi delitti a seguito di una serie di giudizi c on le garanzie del processo. La richiesta di una grande moratoria sull’aborto vuol confermare anche il principio dell’uguale indistruttibile dignità di ogni essere umano. Se nemmeno il delinquente può distruggerla del tutto con le sue stesse mani, cosicché resta insopprimibile il suo diritto alla vita, com’è possibile non rispettare la dignità e il conseguente diritto alla vita che le è inerente nel concepito?


Che questo sia il senso della “moratoria” è tanto vero che Ferrara non chiede altro che una integrazione dell’art. 3 della Dichiarazione Universale dei diritti umani per indicarvi che il diritto alla vita deve essere riconosciuto “fin dal concepimento”.


Si tratta di un’istanza nobilissima, importantissima, capace di restituire verità a tutta la dottrina dei diritti umani, oggi talora utilizzata per aggredire, paradossalmente, l’uomo che ne titolare .


Ovviamente il rumore suscitato dalla proposta di Ferrara e dall’insistenza caparbia con cui egli l’ha portata innanzi fino presentare per le elezioni politiche del 2008 un’autonoma lista con il simbolo “aborto, no grazie” – iniziativa giudicata da molti eccessiva e non opportuna – ha ricadute anche sulla Legge 194, sebbene Ferrara ripeta di non volerla toccare.


Soprattutto Ferrara ha dato una scrollata al muro di incomprensione tra i c.d. “cattolici” e i c.d. “laici”. Egli proviene dalle fila dei secondi e li costringe ad uscire dall’immobilismo mentale dei luoghi comuni. E’ anche questo un aspetto da cui potranno derivare frutti molto positivi in termini di dialogo e di pacificazione.


Non si tratta di condannare e giudicare le donne. Si tratta piuttosto di criticare nel suo complesso una società che non sa pienamente riconoscere la dignità umana e che crede di aiuta re le donne nascondendo loro la verità.


È la donna che sopporta il peso di una gravidanza: non é forse giusto che sia lei a decidere di portare a termine questo processo? Il vecchio slogan “l’utero è mio” non ha quindi un suo fondamento di verità?


Certo che l’utero appartiene alla donna! Ma il figlio che dopo il concepimento sta dentro l’utero non è proprietà della donna. Nessun essere umano può essere in proprietà di alcuno. Egli è ospite della madre. Certo: é un ospite particolare. Giustamente si parla di "dualità nell' unità", ma la "dualità", comunque, riconosce la presenza di un altro.


Il concepito non é un "processo". Certamente la crescita dei capelli o delle unghie è un “processo” e solo colui al quale appartengono capelli ed unghie può decidere se farl i crescere o tagliarli. Ma non si può decidere se un figlio debba vivere o morire. Detto questo, va giustamente riconosciuto che la gravidanza è una condizione particolarissima che coinvolge in modo decisivo la donna incinta, non gli altri. Ma questo significa affetto, aiuto, rispetto, tenerezza da parte di tutti, ed anche fiducia nella capacità di accoglienza, di dono, di coraggio e di libertà della donna, non attribuzione a lei di un diritto di vita o di morte.


Ma come negare il principio di autodeterminazione?


Non esiste una “autodeterminazione di diritto” come potere di distruggere l’altro. Il diritto d’autodeterminazione è esistente e pieno quando le scelte di un soggetto non riguardano l’altro, ma solo i comportamenti del soggetto agente e non toccano la sua stessa vita, che è indisponibile. Io sono libero di decidere se andare a letto a una certa ora o no, di fare o no un viagg io, di intraprendere o no una professione. Ma non posso invocare la mia autodeterminazione per schiaffeggiare il vicino che mi è antipatico e tanto meno per uccidere chicchessia. Riguardo all’aborto si può forse riconoscere che la donna ha di fatto la possibilità di liberarsi del figlio. È quasi impossibile impedirle di provocarsi l’aborto da sola, specialmente ora che sono in vendita preparati chimici direttamente o indirettamente abortivi. Potremmo poi considerare che anche le più severe sanzioni contro l' aborto restano facilmente inapplicate perché la prova che una interruzione volontaria di gravidanza é stata volontaria e non spontanea é molto difficile, salvo la scoperta in flagranza o l' eventualità di complicazioni. Possiamo perciò riconoscere che vi é un potere di fatto della donna. Ma non si può per questo parlare di un diritto di autodeterminazione. Ci si può autodetermi nare anche a commettere un furto o a testimoniare il falso etc. oppure a sperperare i soldi nel gioco. Ciò non costituisce un diritto. Nel caso della gestante, la situazione di fatto è soltanto un dato che può spingere il legislatore che vuole difendere il diritto del figlio, ad usare strumenti diversi da quelli utilizzati per difendere la vita dei già nati.


Per chi volesse approfondire il tema, consigliamo la lettura del libro di Carlo Casini "A trent'anni dalla legge 194 sull'interruzione volontaria di gravidanza" (Edizioni Cantagalli, Marzo 2008).


fonte: ZENIT.org

venerdì 18 settembre 2009

PARLA IL PROF. PESSINA

RIPORTIAMO LA NOTA DEL CENTRO DI ATENEO DI BIOETICA DELLA CATTOLICA RELATIVA ALLA RECENTE SENTENZA DEL TAR DEL LAZIO. CI ASSOCIAMO ALLA PRESA DI POSIZIONE DEL PROF. PESSINA.


Il Centro di Ateneo di Bioetica esprime una motivata disapprovazione nei confronti della recente sentenza del Tar del Lazio: in nome del diritto alla non discriminazione delle persone in stato vegetativo questa sentenza ne autorizza paradossalmente l’abbandono terapeutico e assistenziale, in netto contrasto con l’articolo 25, comma f, della Convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità, che vieta di sottrarre loro alimentazione e idratazione.

Questa sentenza sembra di fatto avallare una forma di suicidio assistito in cui il paziente può essere lasciato morire per mancanza di alimentazione e idratazione in base ad una volontà pregressa che potrebbe non essere più attuale. Inoltre, nemmeno una volontà in atto di morire potrebbe pretendere di essere riconosciuta come un valore da tutelare e come una delle libertà civili da garantire giuridicamente.

Non tutte le scelte possono avere legittimazione giuridica. La difesa della libertà e
dell’autodeterminazione trova nel criterio dell’indisponibilità della vita il suo fondamento.

Questa sentenza stravolge il significato stesso del diritto costituzionale alla salute in cui si inquadra legittimamente la possibilità del paziente di scegliere le terapie e le forme di assistenza a lui più consone per tutelarne l’esistenza. Anche questa sentenza infligge un duro colpo al modello del sistema sanitario nazionale e alla natura fiduciaria del rapporto medico-paziente, trasformata in un contratto anticipato che valorizza solo le scelte di morte.

fonte. Centro di Ateneo di Bioetica

mercoledì 16 settembre 2009

RU-486: PROTESTIAMO!!!





"La decisione dell’agenzia del farmaco di commercializzare e distribuire la Ru486 in tutte le strutture sanitarie del Paese è un evento di importanza assolutamente epocale. Del resto avevamo già notato, ai tempi dell’infelicissima esperienza di Eluana Englaro, che l’imbattersi della nostra società contro l’urto della mentalità laicista e anticristiana sta obiettivamente demolendo i punti sostanziali, sul piano antropologico ed etico, che hanno retto per più di due millenni la nostra tradizione italiana".(Mons. Luigi Negri, Vescovo di San Marino, 4/8/2009)


La RU486 si ingerirà anche in Italia - a casa o in ospedale -, come si ingerisce nella maggior parte del cosiddetto mondo civile (verso il quale noi non abbiamo nessuna voglia di andare), e poi il meccanismo avrà il suo inesorabile e tragico esito. Questa assenza totale del rispetto per la vita, che è il rispetto per la persona e il suo destino, farà sì che il rispetto per la capacità di intelligenza dell’uomo, per la sua dedizione, per la sua capacità di sacrificio con cui le generazioni precedenti hanno costruito una società fortemente ispirata dal cristianesimo, ma sostanzialmente laica nelle sue motivazioni e nelle sue determinazioni di fondo, scompaia.

Noi siamo qui a sentirci dire che questo è il progresso, che questa è la vera autodeterminazione della donna e che questa è una società a misura della razionalità e della libertà dell’uomo. Invece è una società a misura dell’irrazionalità e della violenza dell’uomo.La moralità pubblica rappresentata dalla Ru486 è la moralità che copre il nostro Paese di una coltre terribile, la coltre dell’indifferenza e della violenza.


Facciamo sentire la nostra indignazione e chiediamo ai politici di provvedere affinché l’Agenzia del Farmaco ritiri subito il “pesticida umano” dalle vendite. Invitiamo a scrivere ai politici della propria circoscrizione attraverso il "sistema portalettere" di FattiSentire.net, utilizzabile all'indirizzo http://www.fattisentire.net/modules.php?name=invio_mail2 Il testo della tua e-mail giungera' a tutti i deputati e senatori appartenenti a partiti nominalmente non ostili alla famiglia.

Adesso il mio incubo si chiama Ru486

Da sempre favorevole all’aborto, oggi Mara racconta il suo dramma. «Perché è ora che si indaghi su quello che succede negli ospedali»

«Me l’hanno dipinta come una pillola magica come per non lasciarmi alternative, così l’ho presa. Dopo cinque minuti mi hanno mandato a casa e li è iniziato il calvario». Mara (il nome è di fantasia) ha abortito utilizzando la pillola Ru486 due anni fa, quando ne aveva 26. Oggi che di aborto farmacologico si è ricominciato a parlare, dopo che l’Agenzia italiana per il farmaco ha approvato la commercializzazione della pillola, Mara scopre che quello che le è capitato non è un caso, che altre donne hanno sofferto come lei e che nel mondo si contano 29 decessi seguiti all’assunzione della pillola.

«Perché nessuno ne parla? Perché dicono di agire per il bene delle donne e ti spiegano che sentirai solo dei dolorini? Forse qualcuno ci guadagna qualcosa?», si chiede oggi questa donna che si dice a favore della libera scelta delle donne in tema di aborto. Quasi avida di sapere tutto ciò che riguarda il “farmaco incubo” (così lo hanno chiamato in Cina dopo averlo ritirato dal mercato perché troppo pericoloso), Mara accetta di raccontare la sua storia a Tempi perché «spero che si faccia un’indagine su quello che fanno negli ospedali». «Per abortire mi sono rivolta al Centro salute donna di Piacenza, lì lavora la dottoressa che mi ha proposto la Ru486.

Durante il colloquio la possibilità dell’aborto chirurgico è stata appena accennata. Il medico diceva che era un metodo invasivo e che si corrono seri rischi d’infezione, mentre con la pillola sarebbe stato tutto più semplice e sicuro, al massimo avrei sentito dei fastidi».

Che le cose non stavano proprio così Mara avrebbe dovuto scoprirlo sulla sua pelle.Prima della decisione dell’Aifa del 30 luglio scorso le diverse sperimentazioni della pillola (tra cui quella dell’ospedale di Torino guidata dal ginecologo radicale Silvio Viale) furono sostituite da una pratica che di fatto aggirava il divieto di vendita e prevedeva l’acquisto dall’estero della pillola in via nominale per ogni paziente. Un procedimento applicabile per certi medicinali non ancora in commercio in Italia ma approvati dall’Ente europeo per il controllo sui farmaci.

«Non capivo, ma mi sono fidata com’è normale. Precisavano che la pillola sarebbe arrivata dalla Francia e continuavano a ripetermi che sarebbe stata tutta per me. Mi dicevano: “Guarda, la confezione che compriamo è da tre pillole, ma è solo tua, ne usiamo una e le altre due le buttiamo”. Su questo dettaglio insistevano, come a sottolineare che a loro quelle pasticche costavano ma lo facevano per me».

A distanza di tempo Mara ricorda stranezze a cui sul momento non diede peso. «C’era qualcosa di strano: la pillola non l’ho ingoiata in ospedale ma nel Centro salute donna. Due giorni dopo sono tornata per prendere altre medicine. La dottoressa mi aspettava al Centro per accompagnarmi lei in ospedale. Mi fece passare dal retro come per non dare nell’occhio e appena arrivata mi mandò a firmare un foglio, così, diceva “risulti ricoverata in day hospital ma in realtà torni a casa”. Subito dopo mi hanno somministrato il secondo farmaco, stavolta per via vaginale. Erano delle pastigliette».

«Da sola non ce l’avrei fatta»Il farmaco in pastiglie che in questi casi viene somministrato per via vaginale è il Cytotec. Un tempo usato nei casi di ulcera e in grado di provocare contrazioni, oggi è sconsigliato dalle autorità sanitarie mondiali come farmaco abortivo per via dei gravi effetti collaterali. Anche questo dettaglio Mara lo apprende soltanto ora. «La parte peggiore è stata quando sono uscita: non appena salita in macchina ho incominciato a sentire delle fitte insopportabili, mi sentivo venir meno e penso sempre che se fossi stata sola forse non sarei qui, probabilmente mi sarebbe capitato un incidente. Fortunatamente c’era il mio ragazzo. Altrimenti come avrei fatto a salire le scale su cui sono svenuta? Chi mi avrebbe accudito quando sono entrata in casa vomitando per ore con sbalzi ormonali pazzeschi, sensazioni di freddo e caldo continue e tachicardie ripetute, mentre la violenza delle contrazioni mi piegava in due? E i giorni seguenti quando sono dovuta rimanere a letto come avrei fatto ad andare in bagno o anche solo a mangiare?».

Spaventata, Mara pensa che qualcosa sia andato storto o di avere avuto una reazione allergica. «Chiamai la dottoressa che mi disse di tornare in ospedale solo nel caso di perdite emorragiche prolungate. Ho scoperto dopo che teoricamente dovevano farmi degli esami perché non tutti riescono a tollerare la pillola, ma a me di esami non ne hanno fatti». In effetti la procedura prevede di verificare l’assenza di ipertensione, aritmia, asma e allergia alle due pillole. In realtà i disagi subiti da Mara rientrano perfettamente negli effetti collaterali provocati dalla pillola.Un caso simile viene raccontato a Tempi da Graziella, cofondatrice e volontaria del Centro d’aiuto alla vita di Trento.

«Due anni fa – spiega – una donna rumena venne qui e ci disse che voleva abortire perché era in Italia da sola e non sarebbe riuscita a prendersi cura di quel figlio. Noi le spiegammo che l’avremmo sostenuta sia economicamente sia fisicamente, ma in lei vinse il sospetto che dietro quella gratuità si nascondesse qualche interesse e decise di interrompere la gravidanza. Andò all’ospedale Santa Chiara dove le proposero la Ru486 come il metodo più innocuo». La voce di Graziella si fa più acuta, a tratti rotta: «Quando la richiamai mi raccontò che era spaventata per le perdite continue. Le dissi di tornare in ospedale. Andò avanti così per giorni ripetendomi continuamente “sto da cani, sto da cani”. Poi, dopo qualche giorno, è scomparsa e non so cosa le sia successo. Mi viene una rabbia che non so frenare quando penso a come trattano queste donne», conclude Graziella.

La rabbia sale anche a Mara che non capisce «come mai queste cose non siano rese pubbliche e nemmeno quale sia l’interesse a tenerle nascoste, quando sarebbe semplicissimo fare dei controlli per sapere cosa è successo alle tante che hanno abortito con quel farmaco».Non solo il dolore fisicoAnche sul web non è facile trovare le storie di chi ha sofferto per la somministrazione della Ru486 in Italia. A Mara mostriamo un articolo apparso su La Repubblica di Firenze il 28 febbraio del 2008, che non è facile trovare in rete. Mara lo legge con attenzione, velocemente, mostrando di nuovo quella voracità di conoscere la storia di altre donne che hanno abortito come lei. L’articolo racconta di una ragazza che ha usato la Ru486, anche a lei è stato somministrato il Cytotec. «Con quel farmaco – dice la ragazza a Repubblica – ti rendi conto di tutto.

È dura, capisci quello che fai e lo fai con le tue gambe. Sono state quelle settantadue ore il momento più difficile, ti resta addosso qualcosa. In quei giorni hai sentito suonare un campanello d’allarme, che ti ha messo in guardia perché stavi impedendo all’organismo di concludere una cosa che avevi iniziato».C’è una parte molto peggiore del dolore fisico, ammette Mara. «C’è qualcosa di peggio. È stato quando sono andata in bagno per una semplice pipì, lì ho espulso tutto e ho visto il feto». Mara sgrana gli occhi, aprendo le mani come se avesse tra le dita un gomitolo. «Era grande così e non me lo dimenticherò mai». «Ci pensa spesso?», le domandiamo. «Sempre. Soprattutto al momento in cui ho visto il feto. Lì sei veramente sola anche se c’è qualcuno che ti sta a fianco, perché sei tu che hai dentro un figlio e sei tu che sei stata felice in quei mesi in cui te lo sentivi dentro».

«Noi donne – è convinta Mara – siamo fatte anche fisicamente per la maternità, il nostro organismo sta bene quando ospita, e quando abortisci e induci le contrazioni gli fai fare qualcosa che è contro la sua natura. Ti tiri via una parte di te e ti senti svuotata. E sono convinta che con la violenza dell’aborto farmacologico lo senti anche di più».Dev’essere per questo che la ragazzina di Empoli che un anno fa ha abortito con la Ru486 non vuole parlare con Tempi e la sua mamma che si era aperta alle volontarie del Cav della città ha poi deciso di tacere: non se la sentiva più di ripercorrere un’esperienza così dolorosa. «Credo che sia così», risponde Mara risollevando lo sguardo. «Non si parla tranquillamente di una cosa del genere, anche la mia storia la conosce appena il mio ragazzo».

Mara ha deciso di parlare con Tempi, sapendo che non sarebbe stato facile rivivere quell’«esperienza che ti porti addosso per sempre, perché spero davvero che la mia storia serva a far sapere la verità su questa pillola».

di Benedetta Frigerio (Tempi)