giovedì 17 dicembre 2009

BUZEK RICEVE I PRO LIFE EUROPEI

Il presidente del Parlamento europeo, il polacco Jerzy Buzek, ha ricevuto oggi i rappresentanti dei movimenti per la vita e per la famiglia di 17 Paesi (Austria, Spagna, Irlanda, Italia, Polonia, Germania, Portogallo, Lituania, Francia, Repubblica ceca, Ungheria, Romania, Belgio, Croazia, Grecia, Regno Unito e Slovacchia) che hanno presentato una petizione sottoscritta da 500mila cittadini europei.

Nella petizione si chiede il riconoscimento della persona dal concepimento alla morte naturale; la difesa della famiglia naturale fondata sul matrimonio composta da uomo e donna e la richiesta di sospensione dei finanziamenti ai programmi che utilizzano embrioni per l'acquisizione di cellule staminali embrionali.

Il Presidente del Parlamento ha ringraziato personalmente ognuno dei delegati ed ha affermato: “E' un risultato straordinario che mezzo milione di cittadini di tanti Paesi dell'Unione abbiamo sottoscritto una petizione rivolta al Parlamento europeo. E’ la prima volta che una petizione condivisa da così tante associazioni e di così tanti Paesi viene sottoposta al Parlamento Europeo”.

“Mi impegno personalmente – ha concluso Buzek – a che questa petizione diventi al più presto oggetto di discussione nel Parlamento Europeo”.

Nella presentazione della Petizione, il presidente della Commissione Affari costituzionali del Parlamento europeo, Carlo Casini, ha rilevato che “Alla base della costruzione europea vi è il valore della uguale dignità di ogni essere umano, come dice il trattato di Lisbona proprio in questi giorni entrato in vigore. L’uguaglianza e la dignità umana fondano la libertà, la democrazia, la solidarietà. Sono, perciò, gli elementi che contraddistinguono l’anima dell’Europa”.

“Qui si inserisce” conclude Casini, che è pure presidente del Movimento per la vita italiano “la nostra petizione e la domanda di fondo che pone: chi è il titolare dei diritti umani? Chi è l’uomo? Lo è anche il bambino in fase prenatale e il malato terminale?“

giovedì 10 dicembre 2009

L'ULTIMA TROVATA DEGLI AMBIENTALISTI

PIU' ABORTI IN AFRICA PER SALVARE LA TERRA

di Gianfranco Amato

Ecco l’ultima proposta dagli allarmisti del global warming. Le emissioni di carbonio possono essere ridotte attraverso un’iniziativa “caritatevole” da parte dei consumatori del mondo sviluppato nei confronti dei Paesi poveri del pianeta: pagare per garantire loro i mezzi di controllo e di riduzione delle nascite. Condom e aborto per combattere il riscaldamento globale.

Verrebbe da sorridere se non fosse che questo bislacco progetto è stato ideato e finanziato da una delle più prestigiose fondazioni britanniche, l’Optimum Population Trust (OPT), che, a dire il vero, nonostante l’impostazione culturale liberal, già nel nome ricorda più i componenti della fazione aristocratica conservatrice della tarda Repubblica romana, gli optimates, i migliori, appunto.
Che tutta l’iniziativa nasconda una venatura aristocratica e classista, lo dimostra la finalità del progetto dell’OPT, volto a finanziare chi, nei Paesi in via di sviluppo, non ha la possibilità di abortire bambini indesiderati. I ricercatori dell’OPT stimano, infatti, che nel mondo, ogni anno, siano più di 80 milioni le gravidanze non desiderate.
Dietro un simile progetto, in realtà, ci sono quattro ragguardevoli personaggi di peso che rappresentano il Gotha dell’ambientalismo britannico. Si tratta di Sir David Attenborough, dell’ex ambasciatore Sir Crispin Tickell, dell’onorevole Jonathon Porritt e del Professor James Lovelock. Cosa dicono questi esimi e illustri esponenti della prestigiosa “environmental charity”?
Semplicemente che la ricetta più efficace per scongiurare l’imminente catastrofe dovuta al global warming è quella di un’intensa campagna di family planning nei Paesi del Terzo Mondo. Condom e aborto per evitare le gravidanze indesiderate, quelle che soprattutto le povere nere sono costrette a subire.
Ovviamente, nessuna delle quattro eccelsi menti si sogna che forse è proprio a causa della povertà che molte gravidanze sono “indesiderate”. E che, forse, sarebbe meglio risolvere prima il problema scandaloso dell’indigenza della maggior parte della popolazione mondiale, piuttosto che imporre un sistema (family planning) che serve soltanto ai ricchi occidentali per consumare (e inquinare) sempre di più. Né una parola viene spesa per i 7.000.000 di bambini “desiderati” che muoiono ogni anno nel mondo per denutrizione.
Strana logica (o meglio, logica neocoloniale e razzista) quella dell’Optimun Population Trust: per ridurre le emissioni di carbonio non si devono ridurre i consumi e quindi l’inquinamento dei ricchi, ma ridurre le nascite dei poveri.
Presto fatto il calcolo dei ricercatori dell’OPT: ogni 4 sterline spese in contraccettivi si ottiene la riduzione di una tonnellata di CO2 dal global warming; per ottenere lo stesso risultato ci vorrebbero 8 sterline per la forestazione, 15 sterline per l’energia eolica, 31 sterline per gli impianti solari e 56 sterline per le auto ibride.
Ma il calcolo più cinico è quello secondo cui «le 10 tonnellate di CO2 che vengono immesse durante un volo di andata e ritorno da Londra a Sydney, potrebbero essere compensate dall’eliminazione di un bimbo indesiderato in un Paese come il Kenya». Gli stessi ricercatori sostengono che quella mancata nascita non solo ridurrebbe le inquinanti emissioni di carbonio, ma anche - udite, udite - il numero delle vittime del climate change. Cos’è, in fondo, il sacrificio di un negretto di fronte alla salvezza dell’umanità?
Questa aberrante iniziativa - denominata PopOffsets - parte dal presupposto (discutibile) che esista una correlazione tra l’aumento della popolazione e il cambiamento climatico. Più gente c’è in giro e più si inquinerebbe. In realtà, il rapporto tra bassa fertilità ed elevato livello di produzione e consumo fu analizzato per la prima volta da Malthus, il quale sosteneva un’idea un po’ diversa da quella dell’OPT.

Il celebre economista inglese ha evidenziato, infatti, che la capacità di consumo è direttamente proporzionale proprio al basso tasso di fertilità. Meno figli si hanno, più si consuma e, quindi, maggiore è l’inquinamento. Una delle cause della crisi demografica che sta vivendo la ricca società occidentale è dovuta, tra l’altro, anche al desiderio che i singoli individui consumino sempre più beni e utilizzino sempre più servizi (compresi i viaggi tra Londra e Sydney). A tutti appare evidente, del resto, che una casalinga impegnata ad accudire tre figli abbia certamente meno opportunità di immettere CO2 nell’aria rispetto a una coetanea single.

L’Optimum Population Trust ritiene, invece, che a pagare per l’inquinamento della società occidentale debbano essere i Paesi sottosviluppati e lancia l’iniziativa PopOffsets come una generosa offerta. Roger Martin, direttore dell’OPT, sostiene, infatti, che il progetto offra una «practical and sensible response». In che cosa consista questa risposta, Martin lo chiarisce subito: «Per la prima volta in assoluto le persone fisiche, le società e le organizzazioni avranno l’opportunità di compensare le emissioni di carbonio da essi prodotte, finanziando progetti di pianificazione familiare».

Anche qui i conti, per l’OPT, sembrano tornare: «La riduzione di CO2 a 34 miliardi di tonnellate costerebbe 220 miliardi di dollari con il family planning, contro i mille miliardi di dollari che si dovrebbero spendere in caso di ricorso alle sole energie alternative».

Sempre secondo la “generosa” fondazione britannica, l’attuale popolazione mondiale di 6.8 miliardi di individui cresce al ritmo di circa 84 milioni di persone all’anno. Per rendere più efficace l’idea, spiegano che una simile crescita «corrisponde a una nuova nazione come la Germania ogni anno o a una città come Birmingham ogni settimana».

Secondo le stime delle Nazioni Unite ci si deve aspettare un picco di 9 miliardi entro il 2050. In quel lasso di tempo, secondo gli scienziati delle stesse Nazioni Unite, le emissioni di carbonio dovranno essere ridotte almeno dell’80% per evitare un pericoloso aumento della temperatura del pianeta.

Roger Martin & Co. sul punto sono chiari: «L’attuale livello di crescita della popolazione umana è insostenibile e determina una grave pressione sulle risorse globali. L’attività umana sta acuendo il problema legato al global warming, al punto che più aumentano i livelli di popolazione, più inevitabilmente si innalza la quantità di emissioni e, conseguentemente, le vittime del cambiamento climatico». Da qui l’esigenza di prevenire le nascite nei Paesi poveri.

Jonathon Porritt, che è stato anche primo presidente della Sustainable Development Commission (SDC), la commissione per lo sviluppo sostenibile voluta dal governo laburista, ha candidamente dichiarato che l’iniziativa PopOffests rappresenta una delle «most progressive forms of intervention». E l’esempio di “progressismo” che cita è significativo: «Se in Cina non fosse stata applicata la politica del “figlio unico”, oggi ci sarebbero 400 milioni di cinesi in più».

Poco importa al progressista Jonathon Porritt se il rapporto per il 2008 del Dipartimento di Stato americano sui “Diritti umani in Cina”, pubblicato il 25 febbraio 2009, abbia denunciato la legge repressiva sulla pianificazione familiare come una delle più gravi violazioni della dignità e dei diritti di donne, uomini e bambini. Né poco importa all’ambientalista Porritt che proprio il Parlamento britannico, nel condannare fermamente quella brutale politica di sterilizzazione e aborto forzato, abbia stimato che siano non meno di 130 mila le interruzioni obbligatorie di gravidanza nella Cina comunista.

La cosa strana è che di fronte alle farneticazioni dell’OPT non si sia levata nessuna voce da parte, ad esempio, delle femministe, sempre pronte a difendere i diritti delle donne, degli anticolonialisti, sempre pronti a denunciare la violenza culturale dell’uomo bianco, degli anticlassisti, sempre pronti a scagliarsi contro l’ignominia delle diseguaglianze sociali, e di coloro che combattono la fame nel mondo, sempre pronti a urlare la vergogna del solco profondo che divide i Paesi ricchi dal resto del mondo.

Evidentemente è ancora talmente forte il peso ideologico del family planning che nessuno osa mettere in discussione un sacro totem: il binomio intoccabile di condom e aborto. Ci provò Benedetto XVI, qualche tempo fa, e mal gliene colse. Così passa sotto silenzio l’incredibile iniziativa dell’OPT.

L’equiparazione di un volo Londra-Sydney alla vita di un piccolo keniota la dice lunga sul grado di disumanità che può raggiungere un certo ambientalismo liberal e progressista. Non c’è nulla da fare, l’ideologia, per quanto ammantata di ottimi propositi, è sempre nemica dell’uomo.

domenica 6 dicembre 2009

DOWN? ALLORA VALI ZERO

E IL GEMELLO DOWN NON VALE UN EURO?


di Chiara Mantovani


Leggo l’agenzia di stampa e, nonostante mi reputi abituata a sentirne di tutti i colori, riesco ancora a sbalordire. Qualcosa nella ragionevolezza si è inceppato.
(ANSA) - MILANO, 30 NOV - La donna che nel giugno 2007, incinta di due gemelli, per un errore nell’aborto selettivo all’ospedale San Paolo di Milano subì una interruzione di gravidanza sul feto sano invece che su quello affetto da sindrome di Down ha chiesto un risarcimento di un milione di euro.
Ad avanzare la richiesta di condanna al risarcimento dei tre medici imputati nel processo in corso a Milano è stato il legale della donna e del marito, l’avvocato Davide Toscani. "Si tratta della perdita di una vita umana - ha spiegato il legale -, dell’impossibilità di questa coppia di avere in futuro una nuova gravidanza per il trauma subito". Nessuna condanna o risarcimento, ha aggiunto Toscani, "darà mai ristoro a questa coppia".
Intanto dico subito che non si è trattato della perdita di una vita umana, ma di due. Infatti i bambini abortiti sono due. A meno di voler sostenere che una, quella sana, era vita umana e l’altra, quella malata, no. Cioè a dire che un malato non è un appartenente alla famiglia umana. E tutti i bimbi affetti da sindrome di Down non sono umani?

A meno di voler sostenere che una aveva diritto di nascere e l’altra no. Dunque i portatori di trisomia 21 che sono al mondo ci stanno da clandestini? Ci sono ma non dovrebbero esserci? Per loro il foglio di rimpatrio significa rispedirli al mittente, cioè a quel caso o a quel Dio che li ha imbarcati sulla fragile imbarcazione di un utero materno?

Sono sbalordita: all’epoca della notizia mi ero commossa, avevo pensato al dolore di una mamma e di un papà che immaginavo sconvolti per aver toccato con mano quanto la pretesa del figlio perfetto si fosse tramutata in tragedia reale. Sarà difficile percepire l’ingiustizia di un aborto selettivo quando tutto “va bene”, quando poi stringi tra le braccia un figlio come tu lo volevi, lo coccoli, lo nutri, lo proteggi e lui ti guarda e ti sorride come solo un figlio fa. La mente allontana il pensiero del costo che hai dovuto pagare (anzi, siamo franchi: che qualcun altro ha pagato). Salvo poi lasciarsi come Pollicino le briciole di un dolore che sa di rimorso per tutta la vita. Ma questa è una altra storia, vergognosamente negata da chi vede nell’aborto un problema tecnico da risolvere con una operazione o due pilloline.

Ma in un caso come questo, no. La realtà mette di fronte all’evidenza: erano uguali ma uno era voluto, l’altro no. Non posso credere che la reazione sia: accidenti a quei medici che hanno sbagliato! Tutta colpa loro! Loro si saranno anche sbagliati, e forse potevano essere ancora più scrupolosi, ma la medicina non è a prova di errore, anche se non c’è scritto in questi termini nei moduli di consenso informato. A prova di errore dovrebbe essere l’amore: per andare sul sicuro si ama tutti, è così che non ci si sbaglia.

Nessun risarcimento sarà adeguato alla perdita di una vita umana? E quale risarcimento è un milione di euro? Una cifra “simbolica”? Ma cinquecento per due o un milione per una, perché l’altra non valeva niente?

Caspita, come galoppa l’inflazione.