domenica 30 settembre 2007

LA BIOPOLITICA DI BENEDETTO XVI

Carlo Casini, presidente del Movimento per la vita, commenta l’odierno intervento del Papa ai rappresentanti delle Democrazie cristiane di tutto il mondo

«Le parole di Benedetto XVI confortano la tesi della centralità politica del diritto alla vita sulla quale il Movimento si spende da decenni.

La difesa dell’embrione umano e dei malati morenti non è un atto di culto religioso ma è la coerente applicazione del principio di eguaglianza in dignità e diritti di tutti gli esseri umani affermata nella laicissima Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo.

«Con particolare riferimento alla situazione italiana, la centralità politica del diritto alla vita implica la necessità di porre ai primi posti degli obbiettivi da raggiungere da parte degli schieramenti, dei partiti e dei governi la difesa e la promozione della vita umana quale prima pietra di un rinnovamento civile e morale che riguarda anche il valore della famiglia, l’educazione e ogni altro ambito in cui l’uomo è messo in discussione.

«In definitiva una giusta soluzione della questione antropologica costituisce un criterio di valutazione essenziale nel giudizio sui programmi di partito e sulle alleanze.

Si può pertanto affermare che è giunta l’ora della biopolitica.

«Sono certo» conclude Casini «che l’imminente Settimana sociale dei cattolici italiani saprà tradurre in indicazioni unitarie e concrete l’incessante messaggio dei Pontefici»

SENTENZA DI CAGLIARI

Eliminare un embrione perché talassemico, una bambina perché down, un adulto perché handicappato sono facce della stessa medaglia: l’eugenetica.

Nessuno di questi gesti è più o meno grave degli altri due, perché tutti e tre comportano la soppressione forzata di un essere umano, unico ed irripetibile, a causa di un presunto “difetto” che lo contraddistingue.

L’eugenetica fu inventata nell’800 da sir Francis Galton, cugino (guarda a caso) del celeberrimo Charles Darwin, con il dichiarato scopo di sostituire la natura nella selezione naturale: non essendo quest’ultima sufficiente, secondo Galton deve intervenire l’uomo eliminando gli esseri “difettosi”.
I primi ad applicare l’eugenetica su larga scala furono i nazisti.
Oggi basta cambiarle nome e la troviamo nelle leggi sulla fecondazione assistita di molte moderne democrazie.In Italia la selezione eugenetica non è consentita dalla legge 194/78 ed è vietata dalla legge 40/04.

Sappiamo benissimo come la 194 venga sistematicamente applicata a metà, dunque di fatto l’aborto eugenetico è una pratica ormai comune (non nascono quasi più bimbi down), pur essendo in contrasto con la legge. Ma ovviamente chi difende in piazza la 194 non si sogna nemmeno di dire che l’aborto eugenetico non è consentito.
La legge 40, tutelando il concepito e vietando la distruttiva analisi pre-impianto (sono altissime le probabilità che l’embrione, sano o malato, muoia in seguito all’analisi), protegge l’essere umano dall’eugenetica, almeno nelle prime fasi della sua vita.

Il tribunale di Cagliari ha invece autorizzato l’analisi pre-impianto e legittimato, di fatto, la distruzione dell’eventuale embrione malato. In realtà, non si capisce bene da dove derivi l’autorità del tribunale sardo: essendo l’Italia un paese di civil law, al giudice è richiesto di applicare la legge, non di farla o modificarla.
Tra l’altro, sulla materia si era già pronunciata la Corte Costituzionale, rigettando le istanze di incostituzionalità della legge 40.In sostanza, quindi, un tribunale va contro il parlamento, la Corte Costituzionale, e la volontà del popolo sovrano che ha difeso, con una maggioranza schiacciante, la legge 40. Si fosse trattata di un’altra materia, tutti avrebbero gridato, giustamente, al sovvertimento dell’ordine costituzionale.
Ma dato che si tratta d tutela della vita umana, il principale quotidiano italiano parla della sentenza in termini trionfalistici.

Ovviamente, il fatto che un tribunale italiano, in barba all’ordine costituzionale, autorizzi e legittimi una pratica eugenetica non interessa a nessuno dei grandi organi di stampa: le “magnifiche sorti e progressive” vengono prima della dignità umana.

Ed allora porte aperte alle pratiche naziste, mascherate e chiamate con un altro nome, ma pur sempre crudeli perché disconoscono l’uguaglianza e la pari dignità di tutti gli esseri umani. E l’articolo 3 della nostra costituzione?
Nessun problema: se un tribunale può violare l’articolo 1 della costituzione, disconoscendo la sovranità del popolo, perché non dovrebbe poter violare anche l’articolo 3?


Federico Trombetta

venerdì 31 agosto 2007

INTORNO AL TESTAMENTO BIOLOGICO…

L’argomento che stiamo per affrontare è estremamente lungo e complesso, con miriadi di sfaccettature che non possono essere affrontate in un unico articolo.

Per questo motivo, è stato scelto un approccio di tipo etico – giuridico, che si propone di provare a far chiarezza su alcuni punti della questione, senza avere alcuna pretesa di esaurirla (si consiglia, per approfondimenti specifici, la lettura del Quaderno di Scienza&Vita “Né accanimento né eutanasia”).
La questione tanto complessa è quella del cosiddetto “testamento biologico”, per alcuni semplice strumento di libertà del paziente, per altri vera e propria bandiera ideologica, adattissima a celare disegni ben più ampi.

Il dibattito è stato sollevato ed accelerato dai casi mediatici magistralmente proposti e gonfiati dal Partito Radicale, che come ai tempi della battaglia per l’aborto cerca di girare a suo favore l’opinione pubblica puntando sul “caso pietoso”, capace di commuovere la popolazione e spingere le istituzioni rappresentative, per non perdere il consenso su cui basano la propria legittimazione, ad agire.
Tutto ciò però fa a pugni con la dottrina giuridica: una fonte primaria del diritto (ad esempio, una legge) si caratterizza per generalità, astrattezza ed innovatività. Ed evidentemente legiferare sul singolo caso è totalmente contrario ai principi di generalità ed astrattezza.
Eppure le proposte di legge che giacciono in Parlamento sono numerose e di diversa natura.
Prima del piano giuridico, però, è bene chiarire quello etico, da cui dovrebbe discendere la norma giuridica: la vita umana è un bene indisponibile, ed è sulla tutela della vita umana che si fonda una società, come indicava il grande studioso di politica Carl Schmitt: proprio a partire dal valore fondamentale della vita umana è possibile evitare il conflitto e costruire la convivenza. A riprova di quanto affermato da Schmitt, quando si è scelto di non proteggere integralmente la vita umana si sono registrate conseguenze fortemente negative. L’ultimo esempio in ordine di tempo è dato dal risultato della tanto lodata “politica del figlio unico” cinese.
Dopo decenni di leggi opprimenti e aborti coercitivi ci si è accorti che ci sono troppi uomini e troppe poche donne (che venivano e vengono regolarmente abortite o eliminate subito dopo la nascita), con conseguenti gravi sconvolgimenti degli equilibri sociali.
E’ un caso che i primi a legalizzare rispettivamente aborto ed eutanasia, quindi a disprezzare il valore della vita umana dal concepimento alla morte naturale, siano stati sovietici e nazisti, ossia due tra i più importanti regimi totalitari?
Sul piano giuridico, l’indisponibilità della vita umana è sancita dal codice penale, che punisce l’omicidio del consenziente (art. 579 c.p.), e dal codice civile (art. 5 c.c.: “gli atti di disposizione del proprio corpo sono vietati quando cagionino una diminuzione permanente dell'integrità fisica”). Attraverso tali norme, il codice fa appunto della vita umana un bene indisponibile, al pari della libertà (art. 13 cost.).
L’obiezione che solitamente si solleva è che la Costituzione, all’articolo 32, dice che “nessuno può essere obbligato ad un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge”.
Quella costituzionale è però una tutela della libertà di scelta del cittadino, che è già garantita dall’ordinamento senza bisogno di nuove norme: un paziente in grado di intendere e di volere, infatti, può rifiutare le cure. E i pazienti incoscienti?
I sostenitori del testamento biologico dicono che sarebbe utile proprio per loro. Ma qui il problema che si pone è un altro: chi o cosa può garantire che la mia opinione rispetto ad una situazione che, al momento della compilazione del “testamento” posso solo immaginare, non muti radicalmente vivendo tale situazione?
E’ dimostrato che spesso proprio quando affrontano i passaggi più difficili della loro vita gli esseri umani sono in grado di trovare risorse fisiche e psicologiche prima inimmaginate ed inimmaginabili.
Inoltre, si sono registrati casi di pazienti apparentemente in stato di incoscienza ma in realtà in grado di capire cosa avveniva intorno a loro e di pensare, dunque anche capaci di cambiare idea rispetto ad un ipotetico “testamento biologico”: chi si prende la responsabilità verso costoro? Nel dubbio, non bisogna sempre scegliere la vita?Infine bisogna fare i conti con il Giuramento di Ippocrate: i difensori della nostra salute giurano di “non compiere mai atti idonei a provocare la morte del paziente”.
E se qualcuno nel testamento scrivesse di staccargli la spina? In realtà, il rapporto medico-paziente, come spesso sottolinea Mario Melazzini (medico e malato di SLA) non è di tipo contrattuale, ma ispirato dalla fiducia reciproca. Il testamento biologico “modello Veronesi” lo ridurrebbe ad semplice rapporto giuridico, e renderebbe certamente ben più difficile al medico fare il suo lavoro.
Attenzione però a non generalizzare: se limitata, ben impostata e soprattutto non vincolante per il medico, una dichiarazione anticipata delle volontà (che ovviamente non potrebbe contenere richieste di eutanasia, né attiva né passiva) potrebbe non essere del tutto negativa. Ma certamente quello attuale non è il parlamento adatto ad emanare una legge di questo tipo, e soprattutto, nonostante la propaganda radicale, non si sente il bisogno di una legge in materia: le priorità sono ben altre, e l’accanimento terapeutico (ossia l’eccessivo uso di terapie in malati che non ne traggono giovamento) è già vietato.
Il rischio che attualmente si corre è che, come in Olanda, partendo dal caso pietoso si arrivi all’eutanasia (ossia all’anticipazione deliberata della morte del paziente), negando il valore fondamentale della vita umana, che non perde mai la sua dignità. Visto il pericolo, meglio fermarsi prima.

Federico Trombetta

mercoledì 29 agosto 2007

ABORTO E EUGENETICA


DICHIARAZIONE DELL'ON. CARLO CASINI PRESIDENTE DEL MOVIMENTO ITALIANO PER LA VITA IN MERITO ALL'ABORTO SU DUE GEMELLI EFFETTUATO A MILANO

L'episodio di Milano prova, ancora una volta, un effetto negativo della legge n. 194/1978 che, forse, gli autori della legge non volevano ma che l'equivocità dell'art. 6 non riesce ad evitare. Nonostante apparentemente che non sia consentito l'aborto eugenetico, è oramai accettata l'idea che si possa discriminare tra esseri umani. L'aborto è sempre un male, ma la selezione embrionale aggiunge ingiustizia ad ingiustizia, tanto più se ricordiamo che ci sono famiglie disposte ad adottare un bambino down e che il mongolismo consente oggi di condurre una vita felice. L'errore di Milano è venuto alla luce per l'eccezionalità del caso. Sarebbe rimasto nascosto se la gravidanza non fosse stata gemellare. Purtroppo l'errore diagnostico e l'errore tecnico nell'aborto sono frequenti. Essi sono stati evidenziati nei casi eccezionali di bimbi sopravvissuti per qualche tempo all'I.V.G. (a Milano, a Firenze, a Sassari ecc. ecc.), ma nulla sappiamo negli altri casi ben più numerosi di aborti c.d. "terapeutici". L'esperienza dei Centri di Aiuto alla Vita e del servizio telefonico "Telefono Rosso" (063050077) prova l'errore diagnostico in molti casi in cui la gravidanza, nonostante la previsione di malformazioni, e l'autorizzazione all'I.V.G., è proseguita a causa dell'aiuto offerto alla donna. Da tempo il Movimento per la Vita sostiene la necessità di rendere obbligatorio il riscontro diagnostico su ogni feto vittima del c.d. aborto "terapeutico". I risultati dovrebbero essere comunicati al Ministro della Salute perché ne possa riferire ogni anno al Parlamento. E' giunta l'ora di un ripensamento complessivo sulla legge 194/1978, ma intanto il riscontro diagnostico potrebbe essere preteso come una semplice circolare ministeriale. La legge 194/1978 resta ingiusta nel suo nucleo essenziale ma, almeno, modifichiamone la sua applicazione eliminando l'equivocità delle sue parole.

mercoledì 8 agosto 2007

QUARENGHI

Life Happening 2007

L’onda scivola, piano piano, sulla spiaggia. E l’acqua si disperde, bagnando i piccolo granelli di sabbia. Sopra, il cielo scuro è punteggiato di stelle.Tutto attorno, volano leggere le note di una canzone che, nate dalle corde tese della chitarra, riempiono il cielo e si librano sopra le onde. In spiaggia c’è un gruppo di persone.
I ragazzi che cantano e suonano, avvolti nei teli da mare per proteggersi dal freddo della notte abruzzese, sono i giovani del Quarenghi. I giovani del Movimento per la Vita. La porta verso il futuro.Siamo quelli che, da tutta Italia, hanno deciso che passare una settimana a parlare di vita non è sprecare una settimana di vacanza.Siamo quelli che la mattina si svegliano (più o meno) alle otto per sentir parlare di vita, di uomo e di dignità umana. Siamo quelli che magari ogni tanto fanno “riposare gli occhi” durante una conferenza, ma che possono farlo perché tutto ciò che viene detto in questo Quarenghi resterà scritto nel nostro cuore.Siamo quelli che magari chiacchierano, ma lo facciamo per stringere amicizie che non dimenticheremo.Siamo quelli che ascoltano, perché sappiamo di non sapere. E siamo anche quelli che cercano, che si domandano, perché una meta, nella vita, si deve pur avere.Siamo quelli che applaudono non per convenienza, ma con sincerità e gratitudine. E siamo quelli che si commuovono, quando una storia ci tocca il cuore.Siamo quelli che ridono e scherzano, che fanno le scenette la sera finale, ma quando c’è in ballo una persona e la sua vita siamo i primi ad essere seri.Siamo quelli che, quando sentono parlare Pino o Casini, si ricordano che la politica non è solo una “casta”.Siamo quelli che si sono alzati tutti insieme a tributare il giusto omaggio a Leo ed a quelli che hanno lavorato con lui, e che ci hanno regalato una quantità incalcolabile del loro tempo e della loro esperienza.
Vogliamo essere come una canzone cantata una notte sulla spiaggia: sembra che non vada oltre il cerchio di persone infreddolite, ma le sue note si propagano per tutto il mare e fino al cielo, e sfidano la notte che tutto ricopre con il suo silenzio ed il suo buio.
Vogliamo essere come le stelle del cielo: ciascuna di loro è una piccola luce dispersa nell’oscurità del cosmo. Tutte insieme sono uno spettacolo che non ci si stanca mai di ammirare, e che illumina la notte in attesa dell’aurora.
Vogliamo essere come l’onda del mare che arriva sulla spiaggia sabbiosa: sembra che non faccia nulla, sembra che tutto il suo impeto, la sua passione, finiscano per perdersi di fronte alla sabbia. Ma l’acqua penetra nella sabbia, comincia a smuoverla, e poco a poco, magari in mesi o anni, l’onda muove la sabbia, la sposta dalla sua posizione, la accoglie tra le sue braccia. Una sola onda non muove che pochi granelli, centinaia di onde muovono chili di sabbia.
Vogliamo essere come il bambino che cerca di salvare migliaia di stelle marine ributtandole in mare una ad una. Forse non cambieremo il mondo, ma almeno per qualcuno vogliamo fare la differenza.
Vogliamo essere testimoni di vita, quelli che quotidianamente, nelle università e nelle scuole, nelle città e nei paesi, MUOVONO LA VITA.

Federico Trombetta

sabato 30 giugno 2007

“Life Happening 2007” dei Giovani del Movimento per la Vita

MUOVI LA VITA!
Summer School for Life.

Cari amici Per la Vita, anche quest’anno abbiamo l’opportunità di trascorrere insieme momenti di festa e di amicizia.
Il Life Happening è per tutti noi l’occasione di scoprire che il “Si alla Vita” è la ragione unificante ed ultima della Polis, al di là di ogni interesse, ideologia e potere.
Sappiamo bene che l’uomo è l’unica specie al mondo a minacciare la propria sopravvivenza attraverso la violenza e l’uso spregiudicato della tecnica. Nonostante ciò riaffermiamo la nostra fiducia: nell’uomo, cuore della pace; nella Scienza, sempre alleata della Vita; nell’incontro tra credenti e non credenti, consapevoli che molte sono le cose mirabili, ma l’uomo le supera tutte.
E allora MUOVI LA VITA! e vivi una settimana di divertimento e testimonianze, per conoscere sempre meglio le immense ricchezze del Popolo per la Vita, dove proposta culturale e azione concreta, sono due facce della stessa medaglia, perché chi salva una vita salva il mondo intero!
Gli incontri, il cineforum ed i laboratori, ci aiuteranno a comprendere il senso profondo della Mission del Movimento per la Vita, il suo ruolo di promotore dei diritti umani e il servizio alla mamma e al bambino, reso dai Centri di Aiuto alla Vita.
Non siamo eroi, però siamo eroici perché desideriamo che ogni uomo possa vivere in un mondo umano! Noi giovani per la Vita collaboriamo a scrivere pagine di speranza per l’Umanità!
Ti aspettiamo per una vacanza che ti cambia davvero la Vita!
Leo Pergamo
per info: www.mpv.org

venerdì 22 giugno 2007

Per i malati «vegetativi» il principio di precauzione

Eutanasia - la lezione del polacco risvegliatosi dopo 19 anni • Questa vicenda è un'obiezione incisiva per tutti coloro che invocano l'eutanasia
di Giacomo Samek Lodovici

Tratto da Avvenire del 7 giugno 2007

Jan Grzeb-ski è un polacco che, nel 1988, è precipitato in uno stato di totale incoscienza, per un trauma cranico. I medici gli avevano dato solo due o tre anni di vita, invece Jan ha continuato a vivere. Solo la moglie Gertruda aveva creduto nel suo risveglio e ha svolto con amore il lavoro di un team di terapia intensiva. Gertruda ha avuto regione: Jan si è risvegliato nel 2007, dopo 19 anni, e ha conosciuto gli 11 nipoti nati ai suoi 4 figli.
«Mia moglie mi ha salvato, e non lo dimenticherò mai», ha detto alla tv polacca. Questa vicenda è un'obiezione incisiva per tutti coloro che invocano l'eutanasia per i malati in stato prolungato di incoscienza, per porre termine ad una vita che essi ritengono «indegna di essere vissuta». Per contro, anzitutto, la mancanza di coscienza non toglie all'uomo la sua intangibile dignità, quindi non autorizza ad ucciderlo; non è questo il luogo per dimostrarlo, ma si può almeno dire che, se avesse dignità solo chi è consapevole, sarebbe lecito uccidere chiunque non è attualmente cosciente: i neonati, i dormienti e gli uomini sotto anestesia. In tal senso, la nozione di "stato vegetativo", che si usa per alcuni (non tutti) di questi casi, induce erroneamente a pensare che il soggetto non sia più un essere umano, bensì un vegetale, privo di dignità. Già Nietzsche scriveva in modo spietato: «in certe condizioni non è decoroso vivere più a lungo. Continuare a vegetare in un'imbelle dipendenza dalle pratiche mediche, dopo che è andato perduto il senso della vita, il diritto alla vita, dovrebbe suscitare nella società un profondo disprezzo. I medici, dal canto loro dovrebbero essere i mediatori di questo disprezzo; non [dovrebbero dare] ricette, ma ogni giorno [far provare] una nuova dose di nausea di fronte ai loro pazienti». Inoltre, esistono pazienti solo apparentemente privi di coscienza i quali, dopo essersi ripresi, hanno spiegato che, in realtà, capivano ciò che accadeva e veniva detto loro, volevano parlare, ma non ci riuscivan o: è successo ad una donna inglese (ne ha parlato Science l'08.09.2006) e al siciliano Salvatore Crisafulli (che lo racconta nel libro Con occhi sbarrati, ed. L'Airone); quindi non è per niente detto che questi malati siano privi di coscienza, anzi ci sono casi in cui è vero il contrario. Infine, il malato privo di consapevolezza può riprendersi, talvolta, anche dopo molti anni; quindi non è detto che l'interruzione della coscienza sia permanente. Per esempio, il fotografo di Mao si è ripreso dopo 9 anni e Jan Grzebski dopo 19. Come lui anche Terry Wallis, un americano che, nel 1984, perse la coscienza dopo un incidente stradale e che si è risvegliato dopo 19 anni, nel 2003, a Mountain Wiew, in Arkansas, dove era ricoverato. L'uomo ha conosciuto la figlia, nata subito dopo l'incidente. Dunque sarebbe meglio evitare sia la nozione di stato "vegetativo", sia di parlare di privazione "permanente" della consapevolezza, perché non esiste la certezza assoluta che un paziente non possa mai più riprendersi. Insomma, non siamo certi che questi malati siano privi di consapevolezza, né che lo siano definitivamente. Perciò, dobbiamo applicare il principio di precauzione: ammesso e non concesso che l'intangibile dignità dell'uomo risieda nella sua consapevolezza, non dobbiamo rischiare di uccidere degli uomini che potrebbero essere coscienti e che potrebbero riprendersi. Non di eutanasia hanno bisogno questi malati, ma di amore, quello che non demorde e che non si scoraggia. Come quello della moglie di Jan.

sabato 2 giugno 2007

Impegnarsi per la Vita: Vale la pena?




Riadattando le parole di un grande di questo secolo


E' difficile credere nel valore della Vita quando tutti i modi di pensare intorno a te sembrano andare in senso contrario?

E' difficile amare la Vita quando media, giornali, TV, cultura, ecc. la usano, la sfruttano attenagliandola in logiche edonostiche e di convenienza?

Insomma, è difficile testimoniare il valore non negoziabile di ogni Vita Umana dal misterioso e meraviglioso attimo del concepimento fino al suo naturale termine, quando spesso anche gli amici e noi stessi per primi siamo subdolamente attratti da una visione egoistica dell'altro, della persona umana?


Giovanni Paolo II disse ai giovani della GMG riuniti a Roma: " Si, è difficile "

Ma se pure tale affermazione ci conforta nelle nostre resistenze, Karol non aveva posto l' accento su questo.

La prospettiva vera e sperimentabile è espressa dalla domanda retorica presente nel titolo:

"Impegnarsi per la Vita, vale la pena?" e la risposta è "Si, vale la pena"


Vale la pena perchè l'impegno per una causa tanto negata, scomoda e giusta è contagioso; è inevitabile che di fronte ai volontari e ai testimoni della Vita ci si chieda il perchè di un impegno tanto disinteressato.

Vale la pena perchè l'umiltà di un servizio all'umanità così poco valorizzato dal "pensare comune" è corrisposto da una poco visibile, ma irrefrenabile fecondità.


I frutti sono nascosti e protetti nel cuore di migliaia di donne che si sono rivolte ai Centri di Aiuto alla Vita, singolarmente in ognuna di loro, e in quello dei bambini che grazie a ciò sono nati...

E' valsa la pena per uno solo di loro!


Ma non solo. Quelle giuste inquietudini di non rassegnazione che la cultura della Vita ha diffuso in tutti coloro che l'hanno sperimentata. Vale la pena superare le difficoltà perchè tutti riconoscano e ammirino la dignità di ogni essere umano che incontrano nella propria esistenza.


L'autentica cultura della Vita, infatti, non si piega alle polemiche ideologiche, ma rafforzata proprio dalle esperienze di sofferenza e sacrificio delle persone, continua con ottimismo il suo servizio attraverso l'accoglienza dell'uomo, che è sempre un fine e mai un mezzo.

Vale la pena, sempre!



Luigi Masotti





venerdì 18 maggio 2007

FAMILY DAY


di Federico Trombetta


Mentre il buio pian piano è vinto dalla luce, e la notte fa posto all’aurora, il treno viaggia veloce tra i paesi ed i campi che separano Saronno da Milano. Ed io, seduto vicino al finestrino, appoggio la testa allo schienale e penso mentre guardo il paesaggio che mi corre affianco. Penso che sono le cinque del mattino, che ho sonno e che sto per percorrere milleduecento chilometri in meno di ventiquattro ore.
Raccontata così, non sembra certo una prospettiva allettante. Eppure… eppure c’è dell’altro. C’è il motivo per cui tante persone come me si sono svegliate prestissimo con l’idea di viaggiare per diverse centinaia di chilometri questo sabato 12 maggio 2007. Tanti giovani, ma anche tanti bambini con i loro genitori, tanti nonni, tante famiglie. Stavamo viaggiando per un ideale, per uno scopo nobile e grandissimo, per difendere la cellula fondamentale della nostra società.
E mentre il treno rallenta in vista della stazione di Cadorna penso che anche se per ora non mi riguardano direttamente le politiche fiscali a favore dei figli, anche se per ora non so neppure se e con chi formerò una mia famiglia, non posso non andare a Roma a dire che l’unica famiglia è quella di cui parla la nostra Costituzione, e che questa famiglia deve essere difesa, tutelata e promossa. Non solo da noi, che abbiamo la fortuna di far parte, a diverso titolo, di una famiglia, ma anche da chi ha in mano le leve del potere. Proprio questo chiede il Family day: “un progetto organico e incisivo di politiche sociali a favore della famiglia”, tenendo presente che il legislatore non può confondere i bisogni delle convivenze, che si collocano nella sfera del diritto privato, dalle “esigenze specifiche della famiglia fondata sul matrimonio dei suoi membri”.

Il viaggio, sui due pullman messi a disposizione dall’Università Cattolica del Sacro Cuore, è lungo ma piacevole. Ed è allietato non solo dalle nuove amicizie che si costruiscono e dai confronti che nascono, ma anche dalla lettura di alcuni articoli sulla manifestazione che ci attende pubblicati da un giornale solitamente parco e moderato. L’apertura era tutta per la contromanifestazione di piazza Navona (“l’orgoglio laico” dei radicali e dell’estrema sinistra, per festeggiare (?) il divorzio), considerata un fulgido esempio di libertà contrapposto alla manifestazione cattolica che, secondo loro, ha il solo scopo di limitare l’allargamento di diritti che invece sarebbe doveroso concedere a chiunque. Il meglio viene all’interno, con un articolo che illustra la “violenza” della manifestazione “cattolica” (ma è “violento” dire che situazioni diverse devono essere giuridicamente trattate in modo diverso?!) e sulla presunta omofobia della stessa. Noi sul pullman leggiamo e ridiamo, e ci chiediamo quante polemiche si sarebbero sollevate se articoli del genere fossero stati scritti prima, ad esempio, del concerto del primo maggio. Purtroppo sappiamo bene che c’è chi è in grado di controllare buona parte della stampa, e che certo non siamo noi.

Quando arriviamo a Roma, la piazza è già gremita. E gremite sono le vie per giungervi. Gli spostamenti sono pressoché impossibili visto l’enorme numero di persone presenti. Giovani ed adulti, nonni e famiglie con bambini, bandiere e cappellini, bottiglie d’acqua e biberon. Questo è il Family Day, la festa del popolo della famiglia. Impieghiamo circa tre quarti d’ora per raggiungere la “postazione” del Movimento per la Vita, da cui ascoltiamo, con altri volontari, i discorsi dei portavoce.

Dopo le presentazioni delle associazioni ed uno splendido Povia (“i diritti dei bambini vengono prima di quelli dei grandi”), Giovanni Giacobbe sottolinea l’importanza dell’evento, perché finalmente “più forte risuoni la voce delle famiglie italiane”. Nonostante i giornali e le televisioni dipingano un’immagine diversa del paese, fatta di violenza in famiglia e di famiglie che si rompono, oggi ricordiamo che le famiglie ci sono e sono tante, e che la politica non può ignorarle.
Eugenia Roccella ci ricorda che “siamo qui perché abbiamo nel cuore un’esperienza fondamentale, che ci unisce: siamo tutti nati nel grembo di una donna, generati da un atto d’amore tra un uomo e una donna”, e che la famiglia ha un ruolo sociale troppo importante per poter essere messa in secondo piano.
Ultimo a parlare è Savino Pezzotta, che evidentemente con la piazza ci sa fare. Il suo discorso è forte ed appassionato, ma soprattutto ricchissimo di significato. Tocca la questione antropologia e l’essenza della famiglia, ricordando ai politici presenti che “abbiamo il diritto di sapere se chi ci governa punta su un modello antropologico centrato unicamente sull’autonomia dell’individuo, sull’utilitarismo delle affettività temporanee e deboli o se invece punta a consolidare quello della dinamica famigliare e pertanto di un’affettività che si incardini nella dimensione della responsabilità sociale”, ed ai pochi contromanifestanti (tremila, forse diecimila) fa notare che “opporsi ad un pluralismo di modelli famigliari non è una battaglia confessionale ma civile e laica che si fonda sul dettato costituzionale e punta al consolidamento del matrimonio civile. Questo non vuol dire non avere a cuore i problemi che riguardano le coppie di fatto: come si legge nel manifesto “Piu’famiglia”, si dice anche un chiaro « sì » alla tutela dei conviventi attraverso il diritto comune”. Il Family Day è una manifestazione di popolo, perché “i ceti popolari, a differenza di chi frequenta i salotti buoni, conoscono bene il valore della famiglia”.

Ci avviamo verso casa quando sono ormai le otto di sera, ed i telegiornali stanno già riportando l’imbarazzante (per quelli di piazza Navona) confronto tra le due manifestazioni, commettendo però l’errore di far vedere quasi solo i politici, come se il Family Day fosse stata una manifestazione politica. Non hanno capito, o non hanno voluto capire, che in quella piazza c’era un bel pezzo del vero popolo italiano, quello che non si vede in televisione ma che rappresenta la vera essenza e la vera forza del nostro paese, quello che si è astenuto ai tempi del referendum sulla procreazione perché aveva capito meglio di tanti intellettuali che la vita non può essere messa ai voti, e che il 12 maggio 2007 ha capito che di famiglia ce n’è una sola, e che ha bisogno di ricevere, dopo troppi anni di silenzio, una risposta dalla politica.

Arriviamo tardissimo a Milano, stanchissimi ma con il cuore gonfio di gioia pensando a quanta gente ha a cuore la famiglia. Ci avevano accusato di essere confessionali, ed abbiamo citato la Costituzione italiana e la dichiarazione universale dei diritti dell’uomo; ci avevano accusato di essere “violenti”, ed abbiamo dimostrato di essere decisi e soprattutto propositivi. E intanto il buio pian piano è vinto dalla luce, e la notte fa posto all’aurora.
Federico Trombetta

mercoledì 16 maggio 2007

MpV in Università Cattolica - Carlo Casini, trovare i confini della vita





Carlo Casini, europarlamentare e presidente del MpV, parla ai giovani universitari ricordando la campagna referendaria del 1981 e con la mente già al Family day





di Cristina Gadaleta




MILANOIl 7 di maggio, nell’Aula Magna dell’Università Cattolica di Milano, insieme a Renato Farina e Savina Raynaud, in occasione dell’inaugurazione ufficiale del Movit – il Movimento per la Vita promosso dagli studenti dell’ateneo milanese – è intervenuto Carlo Casini, per chiedere e chiedersi: chi è l’uomo?
“Da un lato, le varie dichiarazioni dei diritti dell'uomo e le molteplici iniziative che ad esse si ispirano dicono l'affermarsi a livello mondiale di una sensibilità morale più attenta a riconoscere il valore e la dignità di ogni essere umano in quanto tale, senza alcuna distinzione di razza, nazionalità, religione, opinione politica, ceto sociale.Dall'altro lato, a queste nobili proclamazioni si contrappone purtroppo, nei fatti, una loro tragica negazione.

QUESTIONE ANTROPOLOGICA – Questa è ancora più sconcertante, anzi più scandalosa, proprio perché si realizza in una società che fa dell'affermazione e della tutela dei diritti umani il suo obiettivo principale e insieme il suo vanto. Come mettere d'accordo queste ripetute affermazioni di principio con il continuo moltiplicarsi e la diffusa legittimazione degli attentati alla vita umana? Come conciliare queste dichiarazioni col rifiuto del più debole, del più bisognoso, dell'anziano, dell'appena concepito?”. Questo è il panorama culturale in cui siamo immersi, sostiene Carlo Casini, appoggiandosi a quanto detto da Giovanni Paolo II nell’enciclica Evangelium vitae.



RICOMPOSIZIONE CIVILE – E proprio partendo dall’eredità dell’enciclica, dalla lunga storia del MpV (nato nel 1975), e dall’analisi del clima, oltre che degli esiti, del referendum sull’aborto – coadiuvato dall’intervento dell’amico Renato Farina – Carlo Casini arriva ad affermare che per cambiare la società bisogna prima di tutto adottare lo “sguardo dell’intelligenza”, per comprendere che se si vuole ricostruire il mondo si deve partire da fondamenta imprescindibili, quale il valore della vita. E “non c’è bisogno della fede per riconoscere il valore della vita”, specifica l’europarlamentare, perché i temi della bioetica sono terreno di coltura per credenti e atei. Basta la ragione. Anzi, come si trova scritto in Diritto alla vita & ricomposizione civile, dello stesso Casini, “oggi che la dispersione cattolica ha dato vita a una quantità di piccoli partitini […], paradossalmente la sola forza coesiva, capace di esprimersi magari in forme nuove, e capace di espandersi oltre l’ambito cattolico, sembra manifestarsi solo quando affiorano alla superficie della politica i temi della bioetica”.



RIFLESSIONI, RISORSE E FUTURO – Le riflessioni legate ai dati certi sull’aborto – dal 1978 al 2005 le interruzioni di gravidanza hanno superato i quattro milioni – a quelli meno accessibili sulle gravidanze a rischio portate a termine, sul perché dell’insuccesso del 1981, e su molti altri aspetti legati alla cultura della vita, nel discorso di Casini sono state affiancate dalla messa al vaglio delle effettive risorse attuali, della strada percorsa nei trent'anni di vita del MpV, e dalla constatazione che “la storia dimostrerà la grande importanza del MpV” (secondo una profezia di Giovanni Paolo II), perché tratta di temi che non sono indifferenti ai giovani.


Casini si appoggiava allora, nel 1981, ai giovani che lo seguivano nell’impresa referendaria e punta oggi su queste nuove realtà universitarie e giovanili, perché “in una società dominata dal profitto e dal successo”, la testimonianza dei giovani è commovente. “Essi hanno ricominciato a sentire dentro il cuore il canto di una speranza che non muore, l’idea che sia possibile costruire un mondo in cui stia al centro il più povero”. Questi giovani “costituiscono una forza autenticamente rivoluzionaria ancora intatta per il futuro” e per l’immediato presente.



FAMILY DAY – Non è poi mancato un accenno al Family day, spiegando il collegamento, tra il valore della vita e la famiglia, con l’idea secondo la quale il nucleo familiare è il vero rivelatore – e la condizione – del senso della vita, attraverso l’esperienza del dono e della “creazione in atto”.





mercoledì 9 maggio 2007

Il Presidente del Movimento per la Vita invita tutta l’Europa al “Family Day”


ROMA, venerdì, 4 maggio 2007 (ZENIT.org).- Il fondatore e Presidente del Movimento per la Vita (MpV ), l'onorevole Carlo Casini, ha invitato tutti gli europei ad aderire alla manifestazione in difesa della famiglia (“Family Day”), che si svolgerà a Roma il 12 maggio.
“Nell'anno che sta alle nostre spalle l'offensiva contro la vita umana e contro la famiglia si è dispiegata su tutti i fronti in Italia ed in Europa”, ha sottolineato a ZENIT il Presidente del MpV.
L’europarlamentare ha poi fatto particolare riferimento alle aree che Giovanni Paolo Il ha chiamato "emblematiche": il nascere e il morire, affermando che è “proprio in queste aree che abbiamo dovuto fronteggiare attacchi molteplici”.
A questo proposito, l’onorevole Casini ha ricordato che tra il maggio e il novembre 2006 la discussione si è incentrata sulla utilizzabilità delle cellule staminali embrionali, o, più precisamente, sulla utilizzabilità del denaro europeo per finanziare la distruzione di embrioni umani a fini sperimentali.
Nel frattempo, invece, il dibattito si è acceso intorno ad altri due temi: quello dell'eutanasia, con la dolorosa vicenda di Welby - morto il 20 dicembre 2006 - che ha lungamente occupato i media e con il crescente dibattito sul cosiddetto "testamento biologico" attualmente in corso al Senato; e quello della famiglia, divenuto anch'esso rovente a partire dall'inizio del 2007, dopo la presentazione del disegno di legge governativo sui DICO.
In tema di aborto, Casini ha denunciato invece il tentativo di “introdurre la Ru-486 come metodo abortivo e di cancellare ogni residua resistenza alla diffusione della 'pillola del giorno dopo' negando persino l'obiezione di coscienza di medici e farmacisti”.
Il Presidente del MpV ha sottolineato che “limitare all'Italia la ricerca delle cause di questa offensiva sarebbe ingiusto provincialismo: abbiamo ripetuto tante volte che la questione della vita è 'epocale e planetaria'".
“Per questo motivo – ha ribadito Casini – è lecito e necessario che la mobilitazione per la difesa della vita e della famiglia si allarghi dall’Italia a tutta l’Europa”.
Il Presidente del MpV ha rilevato, con soddisfazione, l’emergere di un fronte di persone di formazione non cattolica, le quali condividono e si battono per difendere la vita e la famiglia, perché “in questo momento il massimo confronto si svolge sulle unioni di fatto, anche in vista del Family Day del 12 maggio”.
In merito al raduno di Roma per la promozione della famiglia, Casini ha detto: “Abbiamo senza esitazioni appoggiato il Family Day valutandone le possibilità non solo riguardo all'obiettivo immediato (impedire la legalizzazione delle unioni di fatto, dare spinta alle politiche per la famiglia), ma anche per consolidare strutture come il 'Forum delle Famiglie' e l'Associazione 'Scienza & Vita'”.
“Dobbiamo però evitare – ha continuato Casini – il rischio di annacquamento della manifestazione del 12 maggio, che si verificherebbe se esso fosse interpretabile soltanto come una festa, cioè una scampagnata romana, e se il timore di apparire antigovernativi rendesse poco chiaro il 'no' ai DICO e Pacs”.
Secondo il Presidente del MpV “chiedere nuove politiche familiari nel campo del fisco, del lavoro, delle abitazioni, degli asili è più che giusto, così come è doveroso accogliere la partecipazione di chiunque voglia essere presente, ma né la domanda di politiche sociali, né la opportunità di registrare le più larghe convergenze devono tradire la ragione che ha fatto programmare il Family Day, e cioè il 'no' ai DICO e ai Pacs”.

domenica 8 aprile 2007

"PIU' FAMIGLIA", il manifesto del Family Day



Ciò che è bene per la famiglia è bene per il Paese"




La famiglia è un bene umano fondamentale dal quale dipendono l'identità e il futuro delle persone e della comunità sociale. Solo nella famiglia fondata sull'unione stabile di un uomo e una donna, e aperta a un'ordinata generazione naturale, i figli nascono e crescono in una comunità d'amore e di vita, dalla quale possono attendersi un'educazione civile, morale e religiosa. La famiglia ha meritato e tuttora esige tutela giuridica pubblica, proprio in quanto cellula naturale della società e nucleo originario che custodisce le radici più profonde della nostra comune umanità e forma alla responsabilità sociale. Non a caso i più importanti documenti sui diritti umani qualificano la famiglia come “nucleo fondamentale della società e dello Stato”.
Anche in Italia la famiglia risente della crisi dell'Occidente - diminuzione dei matrimoni e declino demografico - e le sue difficoltà incidono sul benessere della società, ma allo stesso tempo essa resta la principale risorsa per il futuro e verso di essa si rivolge il legittimo desiderio di felicità dei più giovani. Nel loro disagio leggiamo una forte nostalgia di famiglia. Senza un legame stabile di un padre e di una madre, senza un'esperienza di rapporti fraterni, crescono le difficoltà di elaborare un'identità personale e maturare un progetto di vita aperto alla solidarietà e all'attenzione verso i più deboli e gli anziani. Aiutiamo i giovani a fare famiglia.
A partire da queste premesse antropologiche, siamo certi che la difesa della famiglia fondata sul matrimonio sia compito primario per la politica e per i legislatori, come previsto dagli articoli 29, 30 e 31 della Costituzione. Chiediamo al Parlamento di attivare - da subito - un progetto organico e incisivo di politiche sociali in favore della famiglia: per rispetto dei principi costituzionali, per prevenire e contrastare dinamiche di disgregazione sociale, per porre la convivenza civile sotto il segno del bene comune.
L'emergere di nuovi bisogni merita di essere attentamente considerato, ma auspichiamo che il legislatore non confonda le istanze delle persone conviventi con le esigenze specifiche della famiglia fondata sul matrimonio e dei suoi membri. Le esperienze di convivenza, che si collocano in un sistema di assoluta libertà già garantito dalla legislazione vigente, hanno un profilo essenzialmente privato e non necessitano di un riconoscimento pubblico che porterebbe inevitabilmente a istituzionalizzare diversi e inaccettabili modelli di famiglia, in aperto contrasto con il dettato costituzionale. Poiché ogni legge ha anche una funzione pedagogica, crea costume e mentalità, siamo convinti che siano sufficienti la libertà contrattuale ed eventuali interventi sul codice civile per dare una risposta esauriente alle domande poste dalle convivenze non matrimoniali.
Come cittadini di questo Paese avvertiamo il dovere irrinunciabile di spenderci per la tutela e la promozione della famiglia, che costituisce un bene umano fondamentale.
Come cattolici confermiamo la volontà di essere al servizio del Paese, impegnandoci sempre più, sul piano culturale e formativo, in favore della famiglia.
Come cittadini e come cattolici affermiamo che ciò che è bene per la famiglia è bene per il Paese. Perciò la difenderemo con le modalità più opportune da ogni tentativo di indebolirla sul piano sociale, culturale o legislativo. E chiederemo politiche sociali audaci e impegnative.
Il nostro è un grande sì alla famiglia che, siamo certi, incontra la ragione e il cuore degli italiani.


Roma, 19 marzo 2007




Hanno sottoscritto il Manifesto:


Forum delle associazioni Familiari (Giovanni Giacobbe Presidente)


ACI (Luigi Alici Presidente)


ACLI (Andrea Olivero Presidente)Cammino Neocatecumenale (Chico Arguello Fondatore)


Centro Sportivo Italiano (Edio Costantini Presidente)


CIF (Anna Maria Pastorino Presidente)


CNAL - Consulta Nazionale Aggregazioni Laicali (Gino Doveri Segretario Generale)


Co.Per.Com (Franco Mugerli Presidente)


Coldiretti (Sergio Marini Presidente)


Comunione e Liberazione (Giancarlo Cesana Responsabile Nazionale)


Comunità di Sant'Egidio (Mario Marazziti Portavoce)


Famiglie Nuove (Alberto Friso Presidente)


MCL (Carlo Costalli Presidente)


Misericordie (Gianfranco Gambelli Presidente)


MpV (Carlo Casini Presidente)


Retinopera (Paola Bignardi Presidente)


RnS (Salvatore Martinez Presidente)


Associazione Guide Scouts d'Europa cattolici (Solideo Saracco Presidente)


Unione Giuristi Cattolici Italiani (Francesco D'Agostino Presidente)


Associazione Medici Cattolici Italiani (Vincenzo Saraceni Presidente)


Unitalsi (Antonio Diella Presidente)

lunedì 26 marzo 2007

“La prima sfida è quella della vita”



Documento approvato dai 300 vincitori del XIX Concorso:

“La prima sfida è quella della vita”

promosso dal Movimento per la Vita italiano

Strasburgo, 24-27 ottobre 2006


Preambolo

Noi, trecento vincitori del XIX Concorso nazionale italiano sul tema “La prima sfida è quella della vita”;ci siamo riuniti a Strasburgo, capitale dell’Unione Europa e sede del Consiglio d’Europa dal 25 al 28 ottobre 2006. Proveniamo da tutte le regioni d’Italia, da Scuole Medie Superiori e da Università; abbiamo riflettuto, come proponeva il bando di concorso, sulla prima sfida: la vita, che si va facendo in questi anni sempre più vasta e cruciale,così come sul valore dell’uomo e sulla sua dignità, oggetto dell’altissima lezione di Giovanni Paolo II, e riconosciuta dai più importanti documenti moderni come fonte dell’uguaglianza e dei diritti umani fondamentali. A Strasburgo, all’interno del complesso dove i rappresentanti dei popoli europei dibattono sugli ideali e sui problemi dell’Europa e del mondo, abbiamo messo a confronto i nostri pensieri ed abbiamo elaborato il presente documento destinato ad essere inviato a tutti i parlamentari europei e a tutte le scuole italiane con lo scopo di far conoscere le nostre idee e le nostre aspirazioni e di contribuire, così, per quanto debole sia la nostra voce, ad una crescita di consapevolezza riguardo alla promozione dei diritti fondamentali, tra i quali in primis quello alla vita, proprio perché ogni individuo umano vivente, mai deve essere considerato una cosa,cioè come mezzo e non come un fine.

Affermiamo pertanto, dopo ampia discussione, seguita da voto democratico:

Art. 1

L’attuale crisi della costruzione Europea si manifesta nella stridente contraddizione che vede contrapporsi, da un lato, la grandezza dei suoi principi fondamentali, dall’altro, le leggi degli Stati membri, che calpestano il diritto alla vita della persona, specialmente nei momenti più fragili dell’esistenza umana, dal concepimento alla morte, che non dovrebbe essere contrastata dall’accanimento terapeutico o favorita dall’eutanasia. Diritto, quello alla vita, che trova conferma nelle radici cristiane fondanti la nostra cultura ed identità europea e che edifica uno spazio in cui ogni uomo possa essere riconosciuto come portatore di quella stessa dignità troppo spesso sacrificata da un’egoistica ricerca dei propri interessi. Si garantisca alle madri lavoratrici, inoltre, un contratto di lavoro flessibile che permetta loro di portare a termine una gravidanza, scartando conseguentemente l’irreversibile possibilità dell’aborto. Si conceda infine, agevolazioni economiche affinché ogni nucleo famigliare possa scegliere di svilupparsi nel totale rispetto della vita.

Art. 2

L’Europa nasce come forma di vita associata, sul cui concetto si fonda l’esistenza stessa dell’uomo. Come tale deve garantire la convivenza civile, la quale si può realizzare solo quando vengono rispettati i diritti fondamentali dell’uomo. Il primo, imprescindibile, è il diritto alla vita. L’Europa ha il dovere di salvaguardare tutti i cittadini che la compongono. Da ciò dipendono i diritti alla dignità, alla giustizia sociale e alla difesa: ogni individuo deve essere preservato dall’offesa, dalle sperequazioni economiche e dagli abusi. L’Unione Europea in quanto ordinamento giuridico atto a garantire quelli che sono gli interessi generali del popolo Europeo, deve sostenere i principi di fondo di una sana e pacifica convivenza civile, raggiungibile solo e soltanto attraverso l’educazione dei giovani, incentivando questi con progetti scolastici multinazionali, che creino una fitta rete, non solo di alleanza economiche, ma anche e soprattutto politico-sociali. Alla base si trova il diritto inderogabile all’uguaglianza, con particolare attenzione ai processi di tutela, rispetto, integrazione delle minoranze, attuando una politica estera aperta al dialogo, al confronto e all’apertura con le Nazioni Extra-Comunitarie, al fine di raggiungere un equilibrio pacifico. La politica che l’Europa deve adottare per il bene comune e la rispettosa attuazione delle leggi che ne regolano il funzionamento, si deve reggere su pilastri fondamentali, riconosciuti e sentiti da tutti; quali la tolleranza religiosa, l’uguaglianza sociale, l’osservanza delle leggi che non mirano a limitare, bensì a migliorare la nostra vita e il rispetto delle altre culture, che non vuol dire dimenticare le proprie radici culturali. A questi si affiancano una politica estera decisa, una politica economica liberale, in cui lo Stato effettui controlli senza monopolizzare il mercato né limitare le aspirazioni e le capacità di miglioramento dei suoi cittadini, e infine, ma non per questo di minor importanza, la difesa, che deve operare nel pieno rispetto degli organi sopranazionali e ribadendo il proprio rifiuto della guerra come mezzo di prevaricazione delle autonomie nazionali e comunitarie.

Art. 3

L’uomo e i suoi inalienabili diritti devono, dunque, essere posti al centro della costruzione Europea, ma per molti aspetti la cultura contemporanea, non riesce a vedere cosa sia e da dove derivi quella dignità, intesa, come l’integrità fisica e morale dell’individuo e il rispetto e la libertà dello stesso, che rende l’uomo superiore ad ogni altra parte del creato, nel rispetto di tutto ciò che lo circonda. In tal modo diviene insicura la moderna dottrina dei diritti umani. Invece è fondamentale riconoscere che l’essere umano, dal momento stesso del concepimento, entra in possesso di inalienabili diritti, primo fra tutti il diritto alla Vita e una pari dignità che conserva fino alla morte naturale, quali che siano le condizioni economiche e sociali; nonché di intelligenza, di salute, di etnia, di lingua, di religione e di cultura (escludendo ,cosi pratiche che offendono la dignità umana).Inoltre la dignità di ogni essere umano è da considerarsi anche un valore espressamente laico, che costituisce la colonna portante degli Stati considerati moderni e deve essere posto a fondamento di tutte le leggi promulgate dagli stessi. Riteniamo infatti che l’uguale dignità di ogni essere umano è il diritto alla vita che ne consegue, siano principi puramente laici, come è espresso nella Carta dei Diritti dell’Uomo, che la fede può arricchire, ma non sminuire; tale principio deve- proprio perché fondamento degli stati moderni- rispecchiarsi nella loro legislazione: l’Uomo cioè deve essere posto come fondamento e fine di ogni legge.

Art.4

Le istituzioni Europee hanno l’onere morale di investire nel progresso scientifico, ma per migliorare la vita dell’uomo, non per negarla; per questo è preferibile che impegnino le proprie risorse nella ricerca sulle cellule staminali che avendo infinite possibilità di specializzazione ed essendo gratuitamente reperibili, a partire da tessuti, quali ad esempio il cordone ombelicale, rappresentano un vero e proprio patrimonio per il progresso dell’Umanità, al contrario di applicazioni che, come nel caso delle cellule embrionali umane, intervengono su individui già concepiti, giocando senza senso etico sul loro diritto alla vita.

Art.5

Noi giovani europei facciamo nostro l’appello di Giovanni Paolo II, testimone dei diritti umani, all’Europa- intesa come comunità il cui scopo è il riconoscimento della dignità di ogni singolo uomo- affinché riscopra la sua storia e la sua dignità per la sua reale e non precaria affermazione, come esempio di civiltà e di progresso nel mondo.

Art. 6

Noi giovani d’Europa esortiamo i nostri parlamentari, rappresentanti della volontà e dei bisogni dei popoli, a prestare servizio a favore del bene comune, in modo da assicurare, senza distinzione di etnia e di cultura, l’armonia, l’uguaglianza sociale, convivenza pacifica e la solidarietà tra le popolazioni europee; consapevoli che la promozione e la difesa di questi ultimi potranno essere portati avanti solo riconoscendo ad ogni livello il valore della vita umana dal concepimento al suo tramonto naturale. Che questi valori siano posti a fondamento e come criteri di valutazione di ogni politica legislativa comunitaria. Si propone, inoltre, di ricercare, con coraggio e vivo interesse metodi e soluzioni efficaci finalizzati al raggiungimento della pace, della giustizia e del progresso umano e politico.

sabato 24 marzo 2007

Gli ospedali americani dove nascono anche i bambini terminali


Ne ha scritto due giorni fa il New York Times,e per spiegare bene di che si tratta hanno messo un video con tanto di interviste sul sito del giornale.
Sta a Minneapolis, al Children’s Hospitals and Clinics e si chiama Deeya: in sanscrito significa “una piccola luce”, ed è il nome di uno dei quaranta hospice perinatali ai quali ci si può rivolgere, negli Stati Uniti, per essere accompagnati e sostenuti quando il figlio che si ha in pancia ha una malattia genetica “incompatibile con la vita”, un figlio che sicuramente morirà prima o poco dopo la nascita.
Sul quotidiano americano, tempio della cultura liberal, leggiamo che dal 20 al 40 percento delle famiglie a cui è stata fatta questa diagnosi decide di portare avanti la gravidanza,e aumenta il numero di chi si rivolge agli hospice per avere un supporto tecnico e spirituale. Sono associati a strutture ospedaliere,vi lavorano medici, ostetriche, assistenti sociali che preparano le donne al parto,in gruppi separati da quelli con le donnecon gravidanze normali, e nel caso in cui il bambino sopravviva più di qualche giorno –circa il 30 per cento, in questi casi – insegnano loro come comportarsi a casa.
In Minnesota dallo scorso anno per legge le donne devono essere informate sull’esistenza di questo tipo di strutture. Gli hospice sono estranei alla logica pro choice contro pro life, e molti non sono neppure affiliati a movimenti antiabortisti: propongono solamente di sostenere le famiglie in circostanze così drammatiche, di aiutarle a vincere l’isolamentoche inevitabilmente arriva, quando amici e familiari non sanno più cosa dire per confortare, insegnano come spiegare a fratellini e sorelline che il nuovo arrivato non crescerà con loro, e soprattutto “ci hanno dato la possibilità di capire che questo non è qualcosa al di fuori dell’ordinario, che questa è la vita, e che le persone perdono i propri figli”, come spiega la signora Newell,mamma di Joseph, nato morto l’8 gennaio per via di una enorme cisti piena di liquido,inamovibile, che copriva tutta la colonna vertebrale del suo bambino.
I Newell sono cattolici ma anche sostenitori del diritto ad abortire, e quando hanno saputo che per il loro figlio non c’era nienteda fare, hanno chiesto “Cosa possiamo fare per passare bene il tempo con lui, visto che questo sarà il solo nostro tempo con lui?”.Quando è nato, l’infermiera lo ha messo nella culla, come se fosse vivo, i suoi genitori lo hanno potuto tenere in braccio, anche se per poco, e il suo papà lo ha vestito, aiutato dal personale dell’hospice. Nel video vediamo anche Alaina Kilibardasin braccio al padre, piccolissima e vestita di rosa, che guarda nella telecamera.
Leiha la trisomia 18, cioè un cromosoma in più,e fa parte di quel 10 per cento di bambini con questo tipo di malattia che sopravvive oltrei due mesi. Adesso ne ha venti, e i suoi genitori sanno che difficilmente arriverà all’età prescolare. All’hospice hanno suggerito ai Kilibardas di fare insieme qualcosa da ricordare,e quindi mentre i genitori normalmente evitano di portare i propri figli, sani in posti affollati dove potrebbero ammalarsi, iKilibardas portano Alaina a casa di amici, nei loro coffee shop preferiti. Vogliono che almeno una volta la piccola possa stare in posti che hanno un qualche significato nella storia della famiglia, come le foreste del nord Minnesota dove è cresciuto suo padre, e dove sono stati da poco.
“La sua vita sarà quel che sarà. Se vive due settimane, questa è la sua vita. E’ la nostra bambina”, dice il padre. “Quando stavamo aspettando Alaina– dice la mamma – la gente ci diceva: ‘Siete nelle nostre preghiere’. Ma noi non domandavamo ‘Fai andare tutto per il meglio’. Dio non scende giù per toccarti e guarirti. Lui manda le persone a farti compagnia”.


Assuntina Morresi, "Il foglio" 16/III/2007

venerdì 16 marzo 2007

Carlo Casini, sul caso del piccolo Tommy di Careggi

MOVIMENTO PER LA VITA

Il prossimo numero di Sìallavita, mensile del Movimento per la vita, ospita un editoriale del presidente, Carlo Casini, sul caso del piccolo Tommy di Careggi. Ne anticipiamo il testo

Il caso del piccolo Tommaso, nato vivo da un tentativo di aborto, si è concluso nel modo più tragico. Ma può diventare spunto per alcune riflessioni sull'affidabilità della legge 194, iniqua dall'origine ma ormai anche vecchia e superata, e sulla sua reale applicazione.

Il caso fiorentino dell'aborto-vivente, cioè di un corpicino di 25 cm e 500 grammi il cui cuore continua a battere una volta uscito dal corpo materno e la cui bocca emette flebili gemiti, finalmente parla. Per vero il caso non è nuovo. Noi conosciamo non poche altre situazioni simili.

Ma Tommy - questo è il nome di fantasia con cui i media hanno identificato il bimbo sopravvissuto per sei giorni all'aborto terapeutico effettuato a causa di una diagnosi sbagliata - parla. Anche la televisione lo ha fatto parlare.Che cosa ci ha detto Tommy?Tommy ci ha detto, in primo luogo, che non era un "grumo di cellule", ma un bambino, un figlio, che avrebbe potuto vivere se la gravidanza fosse proseguita ancora un poco, se i medici fossero stati meno frettolosi, se l'inquietudine e l'angoscia della mamma avessero trovato una condivisione capace di un superamento verso la vita. Tommy ci ha detto ancora ciò che nel silenzio già molti sapevano, che cioè vengono condotti alla morte piccoli innocenti esseri umani per il sospetto di una loro malformazione. Tommy era sano ma, forse, se la malformazione diagnosticata fosse stata riscontrata la commozione della gente sarebbe stata minore e la televisione l'avrebbe ignorato. C'è dunque una cultura per la quale ha diritto di vivere chi è sano ma non chi ha bisogno di cure.E' una cultura orribile contro la quale bisogna urgentemente reagire. Tommy ci ha detto ancora che un certo numero di aborti oltre il terzo mese avvengono per un errore. Conosciamo altri casi rimasti nel silenzio. Essi fanno pensare ad altri corpicini sconosciuti eliminati sebbene privi delle malformazioni temute.Diventa perciò urgente dare seguito ad una più volte ripetuta richiesta del Movimento per la vita, di sottoporre obbligatoriamente ad autopsia tutti i feti abortiti oltre il terzo mese a seguito di una diagnosi di anomalia in modo che si possa sapere veramente come stanno le cose, in modo da responsabilizzare il personale sanitario e in modo da delineare una strategia per combattere le malformazioni più frequenti e da individuare i mezzi per combatterle, per guarirle quando possibile.Ma Tommy ci dice ancora, e soprattutto, che è giunto il momento di una svolta. La sua morte è stata causata o dalla violazione della legge o dalla cattiveria di una legge. In ogni caso qualcosa occorre fare. Tentiamo almeno di applicare la legge nel modo meno perverso possibile facendo prevalere il principio di preferenza per la nascita e non rifiutiamo più un dialogo per tentare di apportare alla legge quelle modificazioni che consentano di far nascere i bambini e di aiutare le loro madri a farli nascere nella misura più grande possibile.

mercoledì 14 marzo 2007

Giovani del MpV italiano

E’ passato quasi un anno dall’avvicendamento nel ruolo di responsabile giovani del Movimento per la Vita. Il passaggio delle consegne tra Giorgio e Leo ha dato inizio a un anno intenso sotto molti punti di vista, con molte novità e con molto lavoro. Sia per capitalizzare il molto già fatto in precedenza, sia per inserirsi e collegare la capillare presenza dei giovani in tutta Italia, sia per tracciare una “rotta”, non del tutto nuova forse, ma certo peculiare e coerente con le specifiche capacità e l’entusiasmo che Leo Pergamo ci offre.
Tante iniziative, tanti stimoli, tante buone idee sono emerse con entusiasmo in tutte le occasioni di confronto che ci sono state: dal seminario Quarenghi a Soverato a quello invernale a Piancavallo, dai corsi locali di Bios e Polis al nuovo gruppo del MpV inaugurato all’università Cattolica di Milano, al convegno internazionale di Brescia sui Genocidi, al Concorso europeo a Strasburgo alle altre mille iniziative e appuntamenti che sono stati organizzati.
Il lavoro c'è stato e di sicuro non mancherà in futuro!
Per questo è urgente che ci organizziamo, ci dividiamo le responsabilità e i compiti in modo che nessuno si senta sopraffatto o solo, adempiendo agli impegni assunti con entusiasmo.
I ragazzi che si impegnano o desiderano farlo non mancano di certo alla nostra associazione, che più di altre è in grado di stimolare e di dare entusiasmo. E a noi tocca valorizzare il grandissimo capitale umano che abbiamo a disposizione. Lo abbiamo visto conoscendoci ai Quarenghi ad esempio, ogni ragazzo e ogni ragazza con una storia diversa in un posto diverso e con grandi aspirazioni da realizzare!
Innanzitutto è importante ricordare a noi stessi perché ci impegniamo nel movimento per la vita.
La tutela della vita umana dal concepimento alla morte naturale e anche difesa della famiglia naturale fondata sul matrimonio, si legge nello statuto del movimento. E’ aspirazione ambiziosa e grande, già da sola sufficiente e meritevole di assorbire le energie e risorse che abbiamo a disposizione. E pare opportuno ricordare ancora una volta che azione concreta e proposta culturale sono due facce della stessa medaglia. Come perde di efficacia un movimento che difenda solo operativamente la vita, non si può pensare di essere efficaci testimoni nella società con una proposta solo culturale. E’ un invito a tutti a partecipare e collegarsi ai CAV, tenendo a mente che “chi salva una vita salva il mondo intero”.
Mi permetto però di aggiungere che a queste finalità noi giovani abbiamo un contributo e un'interpretazione originale da offrire. Una delle cose belle di essere giovani è che possiamo permetterci di pensare e aspirare con entusiasmo di cambiare il mondo. Non è una frase retorica. E', piuttosto, la constatazione che il mondo ci offre molte cose positive e meritevoli di essere conservate da un lato, e dall'altro cose negative che non possiamo accettare acriticamente, ma piuttosto cercare di cambiarle, tutti insieme e ciascuno nel proprio ambito con le capacità specifiche che si possono offrire. Si può cominciare a cambiare le cose lanciando la sfida, in particolare, di riflettere e di agire con lo "sguardo rivolto sulla vita umana nelle fasi della sua estrema fragilità(quali sono il nascere e il morire), convinti che questo possa aiutarci a dare solidità alle colonne portanti su cui è costruito la nostra modernità". Cambiare il mondo non vuol dire essere eversivi, piuttosto, vuol dire avere un'offerta di senso e di mentalità nuova da proporre prima di tutto ai nostri amici. Significa proporre di interpretare le cose del mondo con lo sguardo sulle fasi emblematiche dell'esistenza di ciascuno di noi.
Significa essere politicamente scorretti, perché la vita e la verità sono cose scorrette. Significa anche essere noi a creare l'atmosfera nell'ambiente in cui ci troviamo ed esporci in prima persona se del caso.
Significa essere un po’ rivoluzionari perché cambiare il mondo esige lo sforzo coordinato di tutti e la capacità di andare controcorrente.
Per questo è stata creata l'equipe nazionale giovani, che raduna tutti i responsabili regionali e dei gruppi universitari, per collegare e coordinare le straordinarie risorse che abbiamo.
Tutti, credo, abbiamo conosciuto momenti di entusiasmo e di voglia di fare, con idee e progetti da realizzare, perché in effetti la sfida della vita è cosa appassionante. Ma abbiamo conosciuto anche momenti di stanchezza, di delusione, di piccoli contrasti che inevitabilmente si presentano anche tra chi condivide le stesse aspirazioni.
E in effetti, per mantenere l'entusiasmo del nostro impegno per la vita serve la volontà di coltivarlo, la consapevolezza di non essere soli ad impegnarsi che altri ragazzi come noi vivono le stesse aspirazioni. Un po’ come un bel matrimonio. Tra persone di sesso diverso, ovviamente. Che lavoriamo tutti insieme adesso, anche grazie a Leo, lo sappiamo! Arrivederci al prossimo appuntamento.

Lorenzo Masotti

dal "Si alla Vita" del 6 - 3 - 07

lunedì 12 marzo 2007

FIN DOVE ARRIVEREMO?


Il caso del bimbo di Firenze, abortito al sesto mese per il sospetto rischio di una malformazione improbabile rivelato da analisi imprecise ha occupato le prime pagine dei giornali, ma ce ne dimenticheremo presto. Il muro di omertà che non vuol chiamare la morte con il suo nome, e che in questi giorni ha mostrato qualche crepa, si riconsoliderà ben presto al grido di “la 194 non si tocca”. E pace all’anima degli abortiti, che per i radicali non sono degni nemmeno di essere seppelliti, perchè altrimenti si correrebbe il rischio di equipararli agli esseri umani. Meglio che restino solo “rifiuti ospedalieri speciali”…
Per i radicali l’aborto è un diritto sacrosanto, indipendentemente dalle situazioni. Hanno tentato di cambiare in questo senso anche la permissivissima legge 194, ma poi si sono accorti che non serviva. Già così, interpretata regolarmente nel modo più largo possibile, la 194 garantisce l’aborto sempre e per tutti. La mentalità della morte che costoro (radicali, comunisti, ultraliberali…) propagandano ha già vinto, e la dimostrazione è sotto gli occhi di tutti: il bambino di Firenze poteva essere malformato o sano, ma nel dubbio si è deciso di ucciderlo. Nel dubbio, si è scelta la via della morte. Il tutto benedetto, come fanno notare i medici ed il segretario della CGIL Epifani, dalla legge 194.
Intendiamoci: leggendo il testo della 194, il comportamento tenuto dai medici risulta fuorilegge (art. 7). Ma leggendo il testo della 194 risulta anche che lo Stato, attraverso i consultori, dovrebbe “far superare le cause che potrebbero indurre la donna all’interruzione di gravidanza” (art. 2). Non solo: lo Stato “tutela la vita umana fin dal suo inizio” (art. 1).
I consultori pubblici però sono in realtà centri che funzionano quantomeno male (centotrentamila aborti l’anno sono un po’ troppi, e non a caso la relazione del ministero si guarda bene dal dire quanti aborti siano stati evitati, come ormai da tempo chiede il Movimento per la Vita), e sulla tutela della vita ci sarebbe molto da ridire. Anche sulle cause che, secondo la legge, legittimano l’aborto entro i primi novanta giorni (art. 4), si potrebbe discutere lungamente: se ne fa un uso che è eufemistico definire ampio. Il caso di Firenze si muove sulla scia di questa interpretazione larga della legge: il “pericolo per la vita della donna”, unica condizione che legittima l’aborto quando è possibile la sopravvivenza autonoma del feto (art. 6 e 7), sarà giustificato riferendosi al possibile danno psicologico di un figlio malformato, ed in tal modo non ci sarà nessun colpevole, ma solo due vittime innocenti. Due perché con l’aborto non solo è stato ammazzato un bambino, ma è stata colpita (questa volta per davvero) anche la psiche della madre, che merita vicinanza e rispetto.
Due vittime, nessun colpevole, caso chiuso. E avanti con gli aborti, come e più di prima, e avanti con le richieste di eutanasia neonatale per evitare il “rischio” che qualche bambino possa sopravvivere all’aborto. Ecco la tranquilla normalità italiana.
Ma siamo sicuri che non ci sia nessun colpevole? Siamo sicuri che sia normale o anche solo tollerabile la morte di centotrentamila bambini l’anno a causa dell’aborto? Che differenza c’è tra tutti i feti abortiti ed il bimbo di Firenze? L’età?!
In realtà un colpevole c’è ed è sotto gli occhi di tutti, solo che pochi li apriranno: la legge 194. Basta guardare i numeri: un incidente aereo con qualche morto è giustamente definito una strage. Una legge che da quando è nata ha fatto più di quattro milioni di morti può essere una buona legge?

Federico Trombetta

NON CHIAMATELA DOLCE MORTE


Nell’immobilità della malattia, l’esplosione della vita

Stando al modello imposto dai media, la scelta di morire sembra l’unica soluzione al dramma della malattia.Ma ci sono tanti malati nelle stesse condizioni cliniche di Welby che sono contenti di vivere e chiedono di poterlo fare in maniera più dignitosa, e a loro l’informazione non dà voce. Uno di loro è Mario Melazzini, primario di oncologia alla fondazione Salvatore Maugeri di Pavia e affetto da SLA. Abbiamo avuto la fortuna di incontrarlo e chiedergli cosa c’è alla base del suo amore per la vita che stravolge il modo comune di rapportarsi alla malattia.

Piergiorgio Welby, nella sua lettera al presidente Napolitano, lamenta che “il mio corpo non è più il mio…se fossi svizzero, belga o olandese potrei sottrarmi a questo oltraggio estremo, ma sono italiano e qui non c’è pietà.” Dunque l’eutanasia sarebbe un atto d’amore?

No, assolutamente: l’eutanasia non può essere un atto d’amore. La frase, che non condivido, è detta da una persona sofferente dal punto di vista fisico e psicologico, e richiama ciò che è la realtà.A volte, cioè, chi richiede l’eutanasia non la chiede perché non sopporta la malattia, ma perché è totalmente abbandonato, perché si trova in uno stato di disagio emozionale. Dare la morte a qualcuno non è mai un atto d’amore, anzi è proprio l’essere umano, l’individuo sano a avere forse uno dei compiti più importanti: accompagnare e stare vicini il più possibile a queste persone che soffrono non tanto nel fisico quanto nell’anima, e accompagnarle verso il momento finale, fisiologico, della vita. Ribadisco con forza il concetto: dare la morte a qualcuno non è mai un atto d’amore.

Lei scrive che “la vita è un dono”. Che cos intende e che conseguenze porta con sé questa affermazione?

Che la vita è un dono lo sapevo o forse avevo la presunzione di saperlo. Me ne sono veramente reso conto nel momento in cui ho avuto la fortuna di ammalarmi:questo mi ha permesso di aprire gli occhi verso quelli che erano veramente i doni che la vita mi dava anche in questa condizione di estremo disagio fisico. Quindi ho la consapevolezza che, grazie alla malattia, ho potuto scoprire quali siano i veri valori della vita. Intendo cose semplicissime: il piacere di esistere, di sentirsi non una cosa ma un essere umano che, purtroppo o per fortuna, ha bisogno di tutto per poter fare qualsiasi cosa, ma che sente di esistere, di essere ancora utile. Ho scoperto quanto valga quanto sia bello avere accanto persone che ti vogliono bene, ho scoperto la voglia di guardarmi in giro, di vedere quanto siano belle le cose che ci circondano; ho scoperto quanto sia importante ascoltare le tante persone che si trovano in uno stato di abbandono e di disagio e che hanno bisogno di essere ascoltate. La voglia di vivere non mi è mai mancata, e ho capito che la vita è veramente un dono e come tale vale la pena di essere vissuta in ogni sfaccettatura: bella o meno bella. Certo, la vita è anche sofferenza, ma la sofferenza va vissuta e va, uso un termine un po’ forte, “utilizzata” nel modo giusto. È un’esperienza che ci può permettere di far tesoro di tutto ciò che la sofferenza stessa ci dà.

In un contesto come il nostro, in cui si cerca in ogni modo di censurare il dolore, la sua esperienza appare quasi una follia. Perché vale la pena di vivere e affrontare la malattia?

Quello che voi dite è vero: la malattia, la sofferenza, il dolore fanno paura perché sono espressione di debolezza e vulnerabilità. La grande fortuna di noi esseri umani è che abbiamo questa grande plasticità mentale ho la fortuna che in una malattia come la mia le funzioni cognitive rimangono abbastanza integre (anche se alcuni dicono che nel mio caso è falso…)bisogna usarle nel verso giusto, quindi io chiaramente ho riplasmato la mia vita in modo diverso. Personalmente, ho la fortuna di vivere questa situazione da malato esperto: essendo medico, posso sfruttare le mie capacità tecniche per capire come risolvere su di me, ammalato, delle problematiche per le quali altri malati, non avendo le conoscenze che io ho, si trovano in enormi difficoltà. In tutto questo, la cosa positiva per me è che grazie alla malattia posso essere anche uno strumento reale, portavoce dei malati che sono in condizioni come le mie o peggiori: malati senza la SLA, malati con disabilità. Partendo dal presupposto che ne vale la pena, vivere con la malattia è comunque difficile. Se però la conosci, e, soprattutto, se hai gli strumenti per poterne affrontare le problematiche, se non sei solo, vivere la malattia diventa un accompagnamento: ti cammina a fianco, non cammina dentro di te. È un’esperienza di vita e come tale vale la pena di viverla, questo è quello che penso.

Lei lamenta che “chi vuole morire fa notizia, mentre non fa notizia chi – magari trovandosi in condizioni identiche o peggiori – vuole vivere, e pertanto viene volutamente trascurato”. A chi ritiene possa far comodo questa situazione?

Quando io dico strumentalizzazione, lo dico senza paura della parola che uso. Avete citato il caso di Piergiorgio Welby: lui era una figura politica, aveva un impegno politico. All’inizio della sua battaglia politica, se avete seguito bene la vicenda, Welby aveva chiesto di morire, aveva chiesto un atto eutanasico. Poi, a un certo punto, siccome era una cosa che non andava molto, hanno ripiegato sul concetto di autodeterminazione, dell’autonomia del malato, che è legittimo. Io per primo non avevo letto bene la Costituzione, perciò me la sono riletta: l’art. 32 e lo stesso codice deontologico medico prevedono l’autonomia, l’autodeterminazione, quindi… perché parlo di strumentalizzazione?perchè si vuol far passare per un diritto già sancito dalla Costituzione un atto che invece è perseguibile dal punto di vista penale: l’atto eutanasico. Nel caso specifico di Piergiorgio Welby è stata fatta una strumentalizzazione a fini politici che ha fatto passare l’idea, ed è questo che non accetto, che le persone in una data situazione clinica vogliono morire, perché la loro è una vita indegna. Questo non è vero. Io posso portare tantissimi esempi, lasciando perdere Melazzini, di malati con la SLA, con distrofia, con patologie inguaribili, con una disabilità elevatissima, totalmente dipendenti dalla tecnologia per vivere, che però non chiedono assolutamente di morire. Quello di Welby è l’evento singolo di una persona sola, perché lui, checché se ne dica, era una persona sola (aveva solo la moglie, ed erano quattro anni che non usciva da quella stanzetta lì…questo ci deve far riflettere moltissimo.). È stata una scelta, ma sono scelte difficili da condividere. Se uno grida che si vuol buttar giù da un cornicione, stanno tutti lì sotto ad aspettare che si butti, ma se poi non lo fa si dicono: “che peccato, non c’è stata la notizia, niente scoop!”. Fa più notizia chi grida di voler morire che che chi dice: “io voglio vivere, ma mi costa tot soldi (3000, 5000 euro al mese di assistenza che non viene riconosciuta se non parzialmente). Io ho voglia di vivere: voglio il secondo ventilatore per andare in giro, voglio la macchina attrezzata…”. Queste cose non fanno notizia, chi vuole vivere anche in queste condizioni viene preso per matto. Inoltre c’è il grosso problema del costo: se lo prendi in considerazione, poi devi dare risposte concrete di cose che effettivamente sono diritti esigibili che dovrebbero essere soddisfatti. Sono cose che scottano. Quindi strumentalizzazione in tale senso. I radicali mi hanno dato il “premio nobel per la diffamazione” perché ho denunciato la strumentalizzazione dei malati in senso politico. Io per primo mi farei strumentalizzare se fossi sicuro di poter ottenere qualcosa per chi è nelle mie condizioni o in condizioni peggiori: lo farei subito se ci fosse un ritorno concreto. L’impegno che sto cercando, con grande fatica, di portare avanti come malato, come uomo e come medico è far sentire la voce di chi è affetto da una malattia che purtroppo è mortale e che porta gravissime problematiche, come un’enorme dipendenza dalla tecnologia. Bisogna smettere di demonizzare la tecnologia: la macchina non è un accanimento. Io per nutrirmi uso la PEG, che la sera mi pompa dentro il mangiare, ma non lo sento come un accanimento: io dipendo da questa macchina, altrimenti come farei? Sarà dura, ma bisogna convincere la cultura che la palliazione non è accompagnamento alla morte, ma tutto ciò che può essere messo in atto per migliorare la qualità della vita in quel momento. Io ho bisogno della palliazione perché mi permette di essere qui, di andare a Forlì adesso, di essere stanco…è una scelta che ho fatto, ma non per dimostrare chissà cosa, come dicono i radicali, nel mio “delirio di onniscienza”. No, assolutamente. Ma penso di avere un incarico nei confronti dei tanti compagni di malattia che ho l’onere e l’onore di rappresentare, e devo fare il possibile per essere all’altezza e soddisfare le loro richieste. È un percosro, intanto andiamo avanti.

La pericolosa situazione in cui si trova il rispetto della vita, oggetto di violenti attacchi quotidiani, ci impone una responsabilità, ma noi cosa possiamo fare?

Io non sono più competente di voi in materia, sono semplicemente una persona che che sta provando sulla sua pelle cosa significhi essere vivo e quanto sia importante essere vivo. Secondo me non c’è rispetto della vita perché non c’è cultura, non c’è sensibilizzazione su ciò che è l’essere umano: basta vedere le continue diatribe sull’embrione. Noi diamo per scontate un sacco di cose e non ci fermiamo mai a pensare quanto la vita meriti un rispetto totale: la vita nel suo insieme, dal concepimento fino alla fase fisiologica finale della morte. La morte non è un diritto, è un fatto, un evento naturale. Il caso Welby ha insegnato questo: la vita non è un bene scambiabile che può essere ceduto piuttosto che concluso. Lo ribadisco: la morte non è un diritto, fa parte di quel bellissimo dono che è la vita. Purtroppo la morte a volte subentra attraverso malattie provanti, forti, devastanti: però per fortuna abbiamo gli strumenti della medicina che permettono di accompagnare in maniera degna e dignitosa il malato fino alla fase conclusiva del suo percorso. Non esiste, o è bassissima, questa cultura nei confronti della vita e della bellezza di questo dono che, in quanto tale, va mantenuto sempre il più bello possibile.


Dal tabloid universitario STRIKE, anno V numero 3, marzo 2007
http://strikeunicatt.altervista.org

lunedì 5 marzo 2007

Commercio embrioni

Si superano confini finora soltanto impensabili.
Sul commercio di embrioni umani un clima di sostanziale resa
Carlo Cardia

fonte: Avvenire 28.02.07

Un clima di assuefazione, e di sostanziale resa a nuovi poteri, si va estendendo attorno ai temi della genetica, con il superamento di confini soltanto ieri impensabile. Dalla Gran Bretagna giunge notizia che la possibilità di alienare ovuli dietro contropartita in denaro è vicina a realizzarsi. E giunge notizia di un disegno di legge che autorizzerebbe la manipolazione genetica degli embrioni umani, per il momento a fini di sperimentazione, più avanti a scopi riproduttivi. Ciò che colpisce, diciamo pure sconvolge, non è soltanto la gravità delle prospettive che si aprono con l'abbattimento di questi confini, ma il silenzio con il quale le notizie sono accolte in parte della comunità scientifica, in tanti ambienti culturali, a cominciare dai nostri. Stanno venendo meno le ultime barriere sulle quali pure tutti sembravano d'accordo sin dall'inizio delle discussioni in materia di bioetica: il rifiuto del profitto nelle disponibilità genetiche, la condanna di principio della manipolazione su embrioni umani per migliorare la specie. Soltanto qualche anno addietro un autore di bioetica come Jean-Yves Goffi rimproverava agli antirelativisti di difendere ad oltranza determinati principi per paura della "china fatale". La china fatale consisterebbe nel fatto che, accettando alcuni compromessi, inevitabilmente si giungerebbe poi ad abusi spaventosi da evitare comunque. Dalle unioni civili si passerebbe al matrimonio e alla adozione per coppie omosessuali. Dall'eutanasia moderata si passerebbe al suicidio assistito. Dalla fecondazione artificiale si passerebbe alla manipolazione degli embrioni. Goffi negava che si sarebbe giunti a tanto. Oggi egli si trova nella scomoda posizione di chi è smentito clamorosamente dai fatti in tempo quasi reale: in pochi anni, in alcuni paesi, si è percorsa tutta la china fatale che era possibile percorrere; oggi si superano quelle colonne d'ercole che si ritenevano insuperabili. Ma in una condizione preoccupante e grave ci troviamo tutti noi, si trovano le società occidentali che assistono inerti ad un declino etico che non si arresta più. La logica del profitto, oggi per qualche centinaia di euro domani per molto di più, riduce la persona nella sua individualità più intima a merce e apre le porte a nuove forme, solo velate, di servitù degli esseri umani, della donna in particolare. La manipolazione degli embrioni, pur formalmente inibita dalla normativa europea, sarà applicata prima per qualche lieve ritocco, il colore dei capelli o degli occhi di cui parla la letteratura specializzata. Poi, come già ha annunciato dalla stampa, per avere un figlio sempre più sano, forte, intelligente. Con un senso di superiorità verso gli altri, verso coloro che sono soltanto esseri normali, con le loro debolezze e i loro limiti. Chi non è neanche normale verrà emarginato e rifiutato. Quasi la prefigurazione di una selezione della specie per i più ricchi, e per i più cinici. Nel frattempo, la coscienza si assopisce, si stemperano i valori che la ispirano e la arricchiscono, si accetta tutto ciò che la tecnica realizza giorno dopo giorno, si perde il senso di sé e della preziosità della vita. È la fine non soltanto delle concezioni religiose e trascendenti, ma di quell'umanesimo che pure ha animato e sorretto tante cose buone della modernità. Sta qui, forse, il problema vero della nostra epoca. Nell'accettare la realtà materiale e i suoi sviluppi come padrona nostra e della nostra coscienza. E nell'ascoltare quasi indifferenti le voci che si richiamano ai valori più alti, come fossero voci tra le altre voci, senza che esista più un metro di giudizio, un criterio di valutazione, una vera possibilità di scelta. C'è, invece, un'alternativa capace di smuovere il clima d'inerzia nel quale siamo immersi e di suscitare l'impegno di uomini e donne. È quella, come altre volte nella storia, di tornare a mettere al centro delle scelte culturali, di quelle legislative, la persona nella sua unicità e irripetibilità e di sostenere l a vita in tutte le sue manifestazioni come qualcosa di prezioso e di insostituibile. Si tratta di una alternativa che supera la contingenza e la quotidianità ma chiama in causa la religione, la cultura, la politica, perché riguarda tutti e investe il futuro della modernità.

Gabriele Piccirillo

mercoledì 28 febbraio 2007

Presentazione nel sito ufficiale del MpV



vi invito ad andare a visitare la nostra sezione, e non solo, sul sito nazionale del Movimento per la Vita!!!


Blog, Internet, mail e volantinaggio sono un efficace strumento, non solo di affermazione della Vita, ma anche di concreta azione: la comunicazione del MpV salva bambini, Vite Umane!!


Ci sono tanti casi di mamme in difficoltà che contattano i CAV tramite annunci, manifesti, numeri verdi..dunque utilizziamo anche questi mezzi.





Vi sottopongo all'attenzione una bella citazione che dà oggi piu' che mai un messaggio di speranza, coraggio e mobilitazione

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“E’ vile chi è convinto della bontà delle proprie idee e abbandona il campo per debolezza o per mancanza di fiducia.
Bastano i pochi che abbiano fiducia, pazienza e costanza; anzitutto fiducia.”


Luigi Sturzo




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Luigi Masotti

MOVIT AVANTI TUTTA!!


Con l’affissione dei primi splendidi manifesti è iniziata oggi l’attività del Movimento per la Vita in Cattolica a Milano!
Occupando ogni scampolo di spazio che i muri del secondo chiostro offrivano, abbiamo dato inizio ad una massiccia campagna informativa per spiegare chi siamo e quali sono le idee che portiamo avanti: da Madre Teresa a Giovanni Paolo II passando per le splendide immagini che la vita umana può evocare, abbiamo appeso buona parte dei manifesti inviatici da Roma con l'indirizzo web di questo blog: per chiunque sia interessato a ricevere ulteriori informazioni o mettersi in contatto con i responsabili.
Finalmente ci siamo anche noi, e ci siamo messi ben in mostra!
Il prossimo punto del programma è l’organizzazione della grande conferenza inaugurale...per continuare sulla strada della cultura della vita.

Federico Trombetta, resp giornale Vita news - Milano