giovedì 30 settembre 2010

PROF ANTIDISABILI: ARRIVANO GLI ISPETTORI


LE REAZIONI DOPO LE DICHIARAZIONI SU FACEBOOK

Ispezione della Gelmini
sul professore antidisabili

Il Conservatorio: via chi elogia la Rupe Tarpea. Il docente è un militante della Lega, che prende le distanze

MILANO — Il Conservatorio annuncia un'indagine interna. Il ministro dell'Istruzione Mariastella Gelmini dispone un'ispezione. Entrambi vogliono verificare «se siano state pronunciate frasi o messi in atto comportamenti discriminatori nei confronti di ragazzi disabili all'interno della struttura». Le associazioni dei disabili insorgono. La casella di posta elettronica del direttore del Conservatorio, Bruno Zanolini, da due giorni è inondata di lettere di protesta dei genitori degli allievi. L'imbarazzo è evidente anche tra gli amici della Rete. Si sente accerchiato Joanne Maria Pini, il docente di Armonia, che in una discussione sul tema disabili e scuola, in quella piazza virtuale che è Facebook, ha detto di auspicare in mancanza di una «selezione naturale» il ritorno alla Rupe Tarpea. E tenta un'ultima difesa: «Hanno fatto un patchwork delle mie frasi snaturandole. Sono un burlone, chi mi conosce lo sa». Prima di decidere di mettersi il bavaglio: «Ora starò zitto, parlate con il mio avvocato». Lui che «ha lottato a lungo contro i bavagli nella rete» - uno dei simboli della sua bacheca -, che si dichiara «antiamericano e anti-israeliano». E che milita nella Lega: «Sono rientrato da un po', sono i soli che s'interessano dei problemi della gente». Ma ora la Rete gli ha giocato un brutto scherzo. Ieri, al Conservatorio Verdi, il clima era pesante. A prendere le distanze i colleghi ma, soprattutto, i vertici. In quelle poche righe firmate dal presidente dell'Istituto, Arnoldo Mosca Mondadori, e condivise dal direttore, c'è soprattutto amarezza: «Non fa onore alla storia di questo istituto che lavora da sempre anche con i disabili, offre corsi per bimbi autistici, ha portato la musica nelle carceri e ora anche nei campi rom». Il presidente della Ledha (Lega per i diritti delle persone con disabilità), Fulvio Santagostini, stigmatizza l'episodio: «In un non lontano passato qualcuno già prese sul serio le dotte considerazioni di alcuni scienziati che a fine '800 fondarono l'eugenetica e pianificò un'attività di ripulitura dell'umanità da persone inadatte a vivere».
SU FACEBOOK - Qualcuno degli amici su Facebook sdrammatizza: «Hai avuto il tuo quarto d'ora di celebrità, amico mio», scrive Vittorio. «Urka sembra sei diventato di colpo più famoso di prima». Lo conoscono come il professore mite che si dichiara «intimamente buddista» e che sta «cercando di diventare vegetariano e non farebbe del male ad una mosca». Qualche altro, come il presidente del Consiglio regionale, il leghista Davide Boni, taggato nella galleria fotografia del maestro Pini insieme al ministro Calderoli durante la recente cerimonia sul Po, prende prudentemente le distanze. «Lo cancellerò dagli amici. La Rupe Tarpea è sorpassata da un pezzo».
Paola D'Amico


fonte: www.corriere.it

LA FORZA DELLA VITA

Donna somala clinicamente morta ha dato alla luce una bimba

Quella forza misteriosa che sa regalare la vita

Due donne, Idil ed Evelina. Non sapevano nulla l’una dell’altra fino a due settimane fa, quando le loro vite si sono incrociate nel reparto rianimazione di un ospedale torinese, dove Idil, donna somala di 28 anni, è giunta da Mogadiscio in stato avanzato di tumore al cervello. E con un feto nel grembo.

Un viaggio della speranza, quello di Idil, decisa a farsi curare il cancro che le cresceva dentro, ma ancor più a far nascere quella figlia che intanto viveva, e cresceva anche lei, più veloce del tumore. Una lotta tra il male e il bene, tra il tutto e il nulla. Una corsa contro il tempo che a Idil ha tagliato le gambe poco prima del traguardo, quando un elettroencefalogramma piatto ne ha decretato la morte. Ed è qui che Evelina, l’altra donna, primario di anestesia e rianimazione, entra in scena insieme ai colleghi: il corpo di Idil viene attaccato a una macchina, il suo cuore andrà avanti a battere, il suo sangue circolerà nelle vene, la sua linfa di madre continuerà a nutrire quel feto anche oltre la morte, fino al giorno in cui potrà vivere di vita propria. L’epilogo è di ieri mattina, quando con parto cesareo dal ventre senza doglie è scaturito un pianto, l’esordio di ogni esistenza.

Racconta tutto con un filo di voce la dottoressa Evelina Gollo («Mi scusi, sono stata con Idil tutta la notte») e riassume quella che definisce «la più bella storia che abbia mai incontrato». E non è la stanchezza di una notte in bianco a renderne fragili le emozioni, ma una 
pietas che travalica anche il suo essere medico: «Lavoro qui da venticinque anni ma una storia così non l’avevo mai vista. È una vicenda che non dimenticheremo... Quel feto era precoce ma era già in grado di vivere, era un dovere morale farlo nascere». E ancor prima era la volontà di sua madre, e di un padre che si era aggrappato al suo camice bianco per guardarla negli occhi e supplicare: «Mi affido a voi, fate che nasca mia figlia, fate che viva». Pesa meno di un chilo, «ma è bella e vivace». Ce la farà. Parla, sorride e trascina la voce, la dottoressa, ora stanca e serena.

Intanto poco distante, in un’altra stanza, Idil è alle sue ultime ore. Sei, per legge. Passate le quali – prescrive sempre la legge – se l’elettroencefalogramma risulterà ancora piatto le macchine verranno spente. Solo in quell’istante il respiro cesserà, il sangue smetterà di scorrere, il cuore di battere e di Idil, «morta» da un mese, anche il corpo potrà riposare. E in una storia come questa può succedere di tutto, anche che un medico, rianimatore da venticinque anni, chieda scusa al giornalista se per un attimo esce dal suo ruolo e parla «al di fuori della mia professione», col camice addosso ma il cuore a nudo... Quello che ci vuol dire è solo un «sentimento», nulla di scientifico, ma non meno supremo: «Abbiamo scelto di interrompere le procedure di accertamento di morte per portare avanti quella donna fino alla ventottesima settimana di gestazione, era il termine che ci eravamo posti affinché la bambina vivesse, e che scadeva ieri. E proprio fino a ieri Idil si deteriorava ma resisteva, non c’era più ma restava qui a nutrirla. Quella donna ha lottato fino alla fine per far vivere sua figlia».

Mentre scriviamo le sei ore corrono. La vicenda terrena di Idil si conclude qui, con un dono supremo che la fa immortale. Sotto lo stesso tetto, in una incubatrice, una creatura raccoglie il suo respiro e lo perpetua. Le hanno dato il nome di sua madre.
Lucia Bellaspiga
fonte: www.avvenire.it

mercoledì 29 settembre 2010

SMASCHERATI: - "Troppi disabili? Torniamo alla Rupe Tarpea!"


Ci raccontano che non e' vero che sono razzisti ed eugenisti. ci raccontano che vogliono il bene dell'umanita'. ci raccontano che l'aborto non serve per ammazzare i disabili. Questo professore, forse inconsapevolmente, rivela la mentalita' della cultura della morte. e rinnova il nostro impegno a combatterla!!! 



INTERVENTO SU UN BLOG: AIUTIAMO A VIVERE PERSONE CHE NON DOVREBBERO.

«Troppi disabili nelle scuole »
«Torniamo alla Rupe Tarpea»

Frase choc di un professore del Conservatorio di Milano su Facebook. L'ira dei genitori. Le repliche: nazista

MILANO - Dice che è stato male interpretato, che non vuole «eliminare i più deboli» e chiede scusa se ha offeso qualcuno. Però l'ha scritto. Su Facebook. «Alla Rupe Tarpea bisognerebbe tornare, altro che balle. Non c'è più selezione naturale», ha «postato» Joanne Maria Pini, compositore e docente di armonia al Conservatorio di Milano. Interveniva sulle dichiarazioni, poi smentite, dell'assessore all'istruzione di Chieri, Giuseppe Pellegrino, a proposito della necessità di non inserire i bambini disabili nelle scuole. «E se avesse ragione?», ha chiesto Pini in un forum. In tanti gli hanno risposto indignati. Ma lui si difende: «Volevo solo dire la mia. Alla faccia del politically correct».
LA DISCUSSIONE SU FACEBOOK - Domenica sera, quattro chiacchiere su Facebook, si parla della proposta choc di Pellegrino. Il papà di un bambino autistico commenta invocando «un soprassalto di dignità umana e civile» da parte degli utenti del forum. Anche Pini legge e lancia quella che definisce una provocazione: «E se invece fosse una cosa giusta? Già le classi sono troppo disomogenee, oltre che numerose. D'altronde la funzione della scuola oggi non è di infondere conoscenza, ma di standardizzare la testa della gente».
Eugenetica, selezione della razza, diritto alla sopravvivenza. Si apre il dibattito (che la civiltà pensava di aver superato da mezzo secolo). Un partecipante, scandalizzato, interviene: «Cos'è, un disabile non aiuta a "finire il programma"?». Botta e risposta, le frasi di Pini lasciano tutti basiti. Qualcuno gli dice di andare a fare il salumiere («sarebbe una gran fortuna per i tuoi allievi»), qualcuno gli dà del Mengele, gli altri commentano: «Si torna indietro di quarant'anni». Ed è a quel punto che scatta il commento più controverso. Pini chiede: «Indietro? Alla Rupe Tarpea bisognerebbe tornare. Stiamo decadendo geneticamente. Ovviamente rispetto singoli dolori e situazioni personali, ma il discorso generale è questo. Oggi una pseudoscienza autoreferenziale senza bussole fa campare organismi che non dovrebbero. Datemi pure del nazista, se volete, cosa che non sono: sono invece una persona che ragiona. Liberamente».

LE REAZIONI - Reazione a catena. Di fronte ai commenti esterrefatti dei partecipanti, Pini non molla: «Prima della didattica viene la genetica, diceva mio padre, maestro elementare». Secondo il docente «stiamo vivendo nel periodo più triste della storia dell'umanità: tutto è contro natura».
Discussione a sette, lunghissima. E una risposta corale: «Professore, taccia». Interviene anche il giornalista e conduttore radiofonico Gianluca Nicoletti, il quale rilancia la questione sul suo blog (www.gianlucanicoletti.it): «Vorrei sapere quale genere di armonia possa insegnare questo signore ai suoi studenti». Passa un giorno, la notizia rimbalza su Internet. Lui, Pini, si dice amareggiato: «Io razzista? È inconcepibile. Figuriamoci se penso che i disabili debbano essere buttati dalla Rupe Tarpea. Sono stato pesantemente insultato, ma il mio era solo un riferimento al mondo antico, quando i soggetti più deboli soccombevano. Resto però convinto del fatto che a scuola, adesso, siano penalizzati i migliori». È solo un parziale dietrofront. «Ma ho imparato la lezione: d'ora in avanti userò Facebook solo per svago».
Annachiara Sacchi
FONTE: www.corriere.it

domenica 26 settembre 2010

I GIOVANI MPV AL MEETING!!!

BREVI PENSIERI SUL MEETING DI RIMINI

“Quella natura che ci spinge a desiderare cose grandi è il cuore”. Era il titolo del Meeting di Rimini 2010. Come al solito, un’affermazione forte, che impegna l’uomo a riflettere su sé stesso e sul senso della poropria vita. Ma questo titolo è anche un segno quasi profetico di ciò che sarebbe accaduto a questo meeting.
Anche quest’anno lo stand del Mpv ha avuto il suo spazio alla fiera di Rimini. 

Ma quest’anno, tra le altre iniziative previste, ce n’era anche una pensata, con grande lungimiranza, per i giovani. Con lo scopo di mettere in contatto i ragazzi di Comunione e Liberazione, che per una settimana a loro spese si sono messi al servizio della buona riuscita del Meeting, con quelli del Mpv. E da quell’incontro sono nate buone prospettive di collaborazione futura, perché è inevitabilmente emerso che il “desiderio di cose grandi” è lo stesso e che, quindi, anche il cuore è lo stesso.

E’ nella natura del nostro gruppo universitario – e l’abbiamo sempre detto – porsi come catalizzatore delle energie pro life che scaturiscono dalla nostra società. Ed è naturale che un grande movimento ecclesiale come Comunione e Liberazione, seguendo il grande esempio del suo fondatore, la pensi come noi sulle scottanti questioni della vita.

Noi, al meeting, ci siamo sentiti ospiti graditissimi e ascoltati. Onorati non solo dalla presenza di tanti amici ciellini, ma anche di personaggi del calibro di Maurizio Sacconi, Eugenia Roccella, Renato Farina, Savino Pezzotta e Mara Carfagna. Tutti loro, invitati dal presidente Carlo Casini e dal vicepresidente Pino Morandini, hanno trovato il modo di dedicare diversi minuti della loro permanenza a Rimini al Mpv e alle sue tematiche. Ci hanno ascoltati, e noi abbiamo dialogato con loro. Producendo legami che, speriamo, si tradurranno in concrete scelte future.

Particolarmente emozionante, poi, il momento della testimonianza di Mario Melazzini, medico malato di sclerosi laterale amiotrofica che si batte da anni contro l’eutanasia e per spiegare che esistono malattie inguaribili, ma non malattie incurabili. Mentre le sue parole, arricchite dalla straordinaria dose di umanità che solo l’esperienza diretta di quello di cui si parla può dare, risuonavano alte dalle casse del nostro stand la gente di passaggio si fermava, attratta inevitabilmente da quell’uomo mite e all’apparenza debole, ma dal coraggio tanto profondo.

Se il meeting doveva essere incontro (con gli amici, con la realtà, con grandi testimoni della vita), ebbene, questo è stato. E, come la natura stessa ci spinge a fare, ora continuiamo a cercare cose grandi.

FT

GENITORI SOTTO SFRATTO

IL CASO/ C'è un Tribunale che vuol "sfrattare" i genitori




Nell’Italia degli anni Trenta lo Stato perseguiva una tenace politica a tutela di quella che veniva definita - con la retorica dell’epoca - «l’umana e divina missione della maternità». Sono di quel periodo provvedimenti legislativi come il Regio Decreto 21 agosto 1937, n. 1542 sull’incremento demografico della nazione, enti di assistenza come l’OMNI, Opera Nazionale Maternità e Infanzia (sciolta nel 1975), sussidi economici quali i famosi “premi di natalità”, concessi per ogni figlio nato vivente a coppie coniugate o a donne nubili, ed elargiti durante Giornata della Madre e del Fanciullo, fissata simbolicamente il giorno della vigilia di Natale, con il chiaro intento di associare la nuova festa fascista alla più tradizionale celebrazione religiosa della Natività.

Nell’Italia repubblicana del 2010 lo Stato sottrae a una donna - cui le strutture pubbliche avevano suggerito di abortire - la figlia appena partorita, sul presupposto di un’asserita fragilità psicologica della madre, di una sua condizione sociale precaria, e di un basso reddito, tale da non poterle consentire di svolgere adeguatamente i propri compiti di genitore.

Ammetto che il paragone possa apparire un po’ forzato. Ma non sono riuscito ad evitare il raffronto storico, quando ho appreso la notizia di quella giovane donna di Trento a cui i servizi sociali hanno portato via la figlia appena messa al mondo, privandola persino della possibilità di allattare. Tutto ciò accadeva otto mesi fa in forza di un provvedimento del Tribunale dei Minori di Trento, che ha giudicato, appunto, fragile il profilo psicologico ed emotivo di quella donna, precaria la sua situazione esistenziale, e non sufficiente il reddito dichiarato di 500 euro al mese.

La decisione, alquanto affrettata, di iniziare la procedura di adottabilità della bimba è stata assunta, peraltro, “inaudita altera parte”, ovvero senza che i magistrati avessero visto o ascoltassero la giovane donna (il primo colloquio tra i giudici e la madre è avvenuto solo a febbraio, un mese dopo la sottrazione della neonata). Dallo scorso gennaio, la donna non ha più saputo nulla della figlia.

È di pochi giorni fa la notizia che lo stesso Tribunale dei minori di Trento, con una sentenza destinata certamente a far discutere, ha dichiarato «lo stato di adottabilità della bimba e il suo affidamento in strutture». Il che significa che la piccola verrà affidata a un’altra madre e a un’altra famiglia.

La sentenza, contro cui la donna ha fatto comunque appello, ha destato le perplessità persino del Dr. Ezio Bincoletto, consulente tecnico d’ufficio nominato dal Tribunale, il quale nella perizia fornita ai magistrati non aveva escluso la possibilità di una maturazione psicologica della madre, e aveva concluso in senso positivo per la sua recuperabilità, suggerendo un periodo di prova di un anno. Purtroppo è andata diversamente. Della decisione del Tribunale dei Minori di Trento ci sono tre aspetti che non mi convincono del tutto.

Il primo riguarda il fatto che il Tribunale abbia incomprensibilmente liquidato la questione con una decisione sbrigativa e davvero poco consona alla delicatezza del caso. Soprattutto alla luce della perizia del CTU e degli ormai pacifici orientamenti giurisprudenziali della Cassazione e della Corte Europea, i quali suggeriscono di vagliare ogni strada prima di intaccare il diritto del minore a crescere con i genitori naturali. Il dubbio che sorge legittimo è che i magistrati si siano appiattiti sulle risultanze della relazione negativa presentata dai servizi sociali, soprattutto in quella parte in cui si identifica «l’avvio della gravidanza come elemento di fragilità e/o colpa, e/o incoscienza». L’immaturità della donna risiederebbe nel fatto di non aver ponderatamente valutato l’opportunità di abortire, e di aver voluto affrontare la gravidanza con colpevole e incosciente leggerezza.

Sembra, in questo caso, aver ragione il Dott. Pino Morandini, magistrato e vicepresidente nazionale del Movimento per la Vita, quando paventa il rischio «che si vada affermando nelle istituzioni e persino in tanti pubblici servizi, l’inconsapevole e paradossale tendenza a criminalizzare la maternità, quasi fosse, invece di un dono grandioso, una colpa o, nel migliore dei casi, una leggerezza».

Il secondo aspetto critico della decisione riguarda il fatto che lo stesso Tribunale dei Minori abbia giudicato la madre «inadeguata», quando la donna era ancora legata al proprio figlio dal cordone ombelicale. È, infatti, un ardito salto logico quello di valutare l’asserita “incapacità genitoriale” di una madre, prima che questa venga messa in condizione di esercitare tale capacità. Sarebbe come venir bocciati a un esame, prima ancora di poter sostenere la prova. In realtà, il Tribunale ha ritenuto di aggirare l’ostacolo procedendo a una valutazione del profilo psicologico della donna, analizzandone la «capacità genitoriale», concetto, peraltro, che di per sé rappresenta un falso scientifico, dato che non se ne trova traccia in alcun manuale di psicologia.

Come ha giustamente evidenziato il Dott. Giuseppe Raspadori, psicologo e perito di parte della madre trentina, «l’affidamento a terzi di un minore è un’ipotesi che dovrebbe essere perseguita per gravissimi ed eccezionali motivi» (abusi sessuali, violenze, ecc.), «altrimenti la pretesa di misurare e giudicare la qualità dell’amore materno senza tenere conto della naturale visceralità del rapporto, non solo rischia di far prendere solenni cantonate, ma purtroppo anche di commettere ingiustizie e vere e proprie crudeltà».

Il terzo aspetto, quello che reputo più preoccupante, è relativo al fatto che il Tribunale dei Minori abbia addotto tra le motivazioni della propria decisione, anche una valutazione di carattere economico circa l’asserita indigenza della madre, titolare di un reddito di soli 500 euro mensili. Questo è precedente pericolosissimo. L’adozione di un simile criterio ha già la portata di un avviso di sfratto a tutti i genitori che si trovino, ad esempio, in cassa integrazione, che abbiano subito un licenziamento, o che svolgano un lavoro precario.

Lo Stato rischierebbe di vestire i panni di una perfida cicogna che agisce come un Robin Hood al contrario, sottraendo i figli ai poveri per darli ai ricchi. Lo scorso luglio il rapporto Svimez sull’Economia del Mezzogiorno ha registrato dati inquietanti, mostrando come una famiglia su cinque non sia in grado di sostenere le spese per curarsi e per riscaldarsi. Secondo quanto emerge dal rapporto, al 30% delle famiglie del Sud sono mancati i soldi per i vestiti, nel 16,7% dei casi si sono pagate in ritardo le bollette, otto famiglie su 100 hanno rinunciato ad alimentari necessari, il 21% non ha avuto soldi per il riscaldamento (27,5% in Sicilia), e il 20% non ha potuto rivolgersi al medico (in Sicilia e Campania circa il 25%).

Sempre secondo i numeri forniti da Svimez, quasi un meridionale su tre (6 milioni 838mila persone in valore assoluto) è a rischio povertà a causa di un reddito troppo basso, un rapporto che al Centro-Nord è di uno su dieci. Per quanto riguarda l’entità dei redditi, il rapporto indica che il 14% delle famiglie meridionali vive con meno di 1.000 euro al mese, e che nel 47% delle famiglie meridionali vi è un unico stipendio, percentuale che passa addirittura al 54% nel caso della Sicilia. Ora, di fronte ad un simile scenario, è lecito chiedersi che cosa accadrebbe qualora la “capacità genitoriale” dovesse essere valutata anche sotto l’aspetto economico, come ha fatto il Tribunale dei Minori di Trento?

In realtà ci sono due modi per affrontare la questione. Il primo è quello delle Opere Nazionali Maternità e Infanzia, delle politiche di incentivo allo sviluppo demografico, dell’assistenza e dei premi di natalità, tutte cose che il nostro Paese ha già conosciuto in un periodo storico che, obbiettivamente, non ha brillato quanto a democrazia.

Il secondo modo è quello della sottrazione dei figli alle madri indigenti che rifiutano di abortire. È certamente un metodo più moderno e diverso rispetto a quello del ventennio fascista. Ma sul fatto che sia più democratico, mi permetto di nutrire più di un dubbio.

Chi ci ha visto meglio di tutti in questa vicenda sembra essere S.E. mons. Luigi Negri, Vescovo di San Marino-Montefeltro, il quale ha parlato, citando la filosofa ebrea Hanna Arendt, di «democrazia totalitaria». Ecco, credo che dentro questa espressione sia racchiusa la vera chiave di lettura della dolorosa vicenda accaduta a Trento.

FONTE: www.ilsussidiario.net

martedì 21 settembre 2010

MA CHE BELLA LA PUGLIA...

In Puglia quasi il 30% dei bambini viene abortito: numeri impressionanti che non si possono ignorare.

I dati in questione sono tratti da un articolo della “Gazzetta del Mezzogiorno” che riprende la relazione del ministero sui dati degli aborti in Italia: emerge così che alla Puglia spetta il triste record del rapporto tra bambini abortiti su bambini nati. Dati impressionanti che meritano alcune brevi riflessioni:


- Aver approvato la legge che permette l’aborto in Italia non ha fatto altro che far considerare l’aborto come una delle tante possibilità, non si spiegherebbero altrimenti questi dati impressionanti se non come un basso livello di percezione della gravità del gesto dell’aborto, poiché purtroppo le leggi fanno cultura e, se una cosa è permessa per legge, viene percepita culturalmente come una cosa non così tanto grave. La politica con le sue azioni è quindi in grado, con atti concreti, di influenzare fortemente la cultura. E’ significativo inoltre a questo proposito che il maggiore tasso di abortività si abbia nella Regione in cui la guida politica di Centrosinistra con Vendola si sia caratterizzata in questi anni per una atteggiamento molto permissivo nei confronti dell’aborto.


- Questo dato pugliese di 270 bambini abortiti su 1000 nati è ovviamente solo il dato degli aborti ufficiali e non tiene conto delle tante migliaia di aborti chimici prodotti dalle varie pillole in commercio o illegali. Si arriverebbe quindi a persentuali di abortività molto superiori.


- Ultima considerazione di carattere demografico: non sfuggirà che parlando di dati così rilevanti numericamente, ogni anno al nostro Paese mancano centinaia di migliaia di bambini abortiti che segnano fortemente il nostro trend demografico e le conseguenze dal punto di vista anche economico e previdenziale. Investire quindi concretamente e culturalmente contro l’aborto, oltre che per primaria evidenza del diritto naturale alla vita, avrebbe ripercussioni positive anche dal punto di vista economico e previdenziale per il nostro Paese.


Fabio Luoni


mercoledì 15 settembre 2010

OFFENSIVA CONTRO L'OBIEZIONE DI COSCIENZA

Obiezione all'aborto
offensiva in Europa

Una forte restrizione dell’obiezione di coscienza è raccomandata ai 47 Stati membri del Consiglio d’Europa (Coe) da una risoluzione che sarà posta in discussione nella prossima sessione plenaria dell’assemblea parlamentare, dal 4 all’8 ottobre. Il documento, di cui è relatrice la socialista inglese Christine McCafferty, approvato a maggioranza il 22 giugno nella commissione Affari sociali, sanità, e famiglia dell’assemblea, sollecita tra l’altro «l’obbligo per il Servizio sanitario di fornire il trattamento desiderato a cui il paziente ha diritto nonostante l’obiezione di coscienza» del personale medico.

Il testo si scaglia contro la mancanza di una regolamentazione «esaustiva e precisa» dell’obiezione nella maggior parte degli Stati membri che, soprattutto nel campo della «salute riproduttiva» – cioè l’aborto – bilanci l’obiezione di coscienza e il «diritto» delle pazienti. Peraltro si indica anche l’avvio di un monitoraggio per verificare che quanto prescritto dalla risoluzione avvenga, annunciando in caso contrario «un meccanismo efficace di ricorsi».

L’obiezione inoltre, secondo la McCafferty, andrebbe consentita in circostanze molto ristrette solo al medico che effettua l’aborto ma non al personale sanitario che lo assiste. Addirittura da cancellare sarebbe la possibilità che sia un’intera istituzione sanitaria ad obiettare. «Si vuole limitare fortemente l’obiezione di coscienza – commenta Luca Volontè, capogruppo del Ppe all’assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa –, trasfomandola da un diritto fondamentale a una eccezione».

L’esponente popolare evidenzia inoltre che il documento della McCafferty punta a imporre la sua linea a Stati che hanno già le loro norme: «Non si rispetta il principio della competenza nazionale in materie tanto delicate». Volontè individua nel documento lo stesso stravolgimento compiuto dalla McCafferty in una precedente risoluzione sul programma d’azione della Conferenza Onu del Cairo: si asserisce che l’aborto è un diritto.

«Nella nuova risoluzione – aggiunge il deputato Udc – diventa perfino un elemento esigibile del servizio sanitario di base». Invece nella stragrande maggioranza degli Stati membri «l’aborto è consentito solo quando è necessario per salvare la vita della madre, e in altri è comunque vietato». Il capogruppo punta il dito contro il fatto che «la libertà di coscienza non viene considerata un diritto naturale rioconosciuto dalle convenzioni internazionali ma è degradata a una formulazione del diritto positivo, subordinata al potere dello Stato».

Significative anche le audizioni in commissione decise dalla relatrice: tranne il sottosegretario alla Salute Eugenia Roccella, invitata dal gruppo popolare, gli altri tre esperti ascoltati «sono in qualche modo responsabili o collaboratori delle organizzazioni pro-aborto europee e mondiali». Inoltre nella sua relazione la McCafferty ha esplicitamente ringraziato Christina Zampas, direttrice in Europa di una delle principali organizzazioni per l’aborto, il Centro per i diritti riproduttivi.

«Anche il contesto in cui si è voluto elaborare questa risoluzione – aggiunge Volontè – spiega l’intenzione di limitare notevolmente il diritto umano di obiezione di coscienza e di esaltare l’aborto, fino al punto di imporre ad altri comportamenti contrari alle proprie convinzioni».

Il Ppe si prepara a contrappore i princìpi fondamentali espressi dal suo capogruppo, «cercando di convincere i componenti delle altre formazioni politiche che su questi valori umani non sono possibili cedimenti. Sono in gioco punti basilari della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e anche la stessa sovranità degli Stati in materie tanto sensibili».
Pier Luigi Fornari

E' SULLA VITA IL NUOVO RAZZISMO

E' sulla vita il nuovo razzismo, parola del nipote di Martin Luther King

Pubblicato da Massimo Pandolfi Mar, 06/07/2010 - 12:12

leggete cosa ha detto Alveda King, nipote di Martin Luther King, il 22 giugno 2010 all'incontro del Gruppo di lavoro sulla Dignità Umana Parlamento Europeo, Bruxelles.

di Alveda Kink

Il messaggio che condivido con voi mi viene dal cuore, dall’amore per la vita e per la famiglia, e da un senso del dovere, che ho ereditato, di difendere i più vulnerabili della società. Il mio discorso oggi ed il mio lavoro come attivista per i diritti civili si basano su tre semplicissime verità: Ogni essere umano è degno di rispetto in virtù del suo essere umano; In nessun momento la vita di qualcuno diventa meno umana o più umana; Ogni vita umana inizia al suo inizio fisico.

Come risultato di queste tre proposizioni, ogni essere umano, nato o nascituro, ha dei diritti e tali diritti devono essere rispettati dalla società e protetti dalla legge. Il pentimento è il primo passo in un’anima che si sta salvando: è anche il primo passo in una cultura che sta cambiando. Lo so perché nel corso della mia vita ho visto cambiare la mia cultura, la mia America.

C’è stato tanto spargimento di sangue e tanto dolore perché alcune persone negli Stati Uniti pensavano che gli afroamericani non meritassero rispetto. Ci hanno sputato addosso. Siamo stati bastonati e picchiati. E ci hanno linciati. Siamo stati uccisi perché ci consideravano non pienamente umani. Così è con le vite dei bambini non ancora nati, che sono linciati nell’utero oggi.

Ma il razzismo non ha solo oppresso gli afroamericani, ha bruciato le coscienze degli oppressori. La gente ha scoperto che le false verità dei razzisti rendevano la loro vita più confortevole, più comoda, e furono coinvolti in quelle falsità. Dipendevano da quelle falsità. E così credevano in ciò che nei loro cuori sapevano non essere vero.

Così è oggi con le menzogne degli abortisti.I nascituri di oggi sono i neri di ieri – tenuti meglio lontano dagli occhi e lontano dal cuore perché non ci ricordino le ingiustizie che commettiamo. Il problema per gli abortisti ed i loro sostenitori però è lo stesso problema che affrontavano i segregazionisti: la realtà. I nascituri non se ne andranno via. Quindi il lavoro dell’industria dell’aborto è stato negare l’umanità di coloro che essi sfruttano e discriminano.

Ma cosa succede se, come la direttrice della clinica per aborti che ha recentemente lasciato il lavoro quando ha visto l’ecografia del bambino che stava aiutando ad abortire , non possiamo più allontanare con ragionamenti ciò che abbiamo fatto in tutti questi anni?

Cosa succede se la verità diventa così chiara e stringente che la società non può proprio continuare ad essere indifferente o complice della grande bugia? Bene, questo è il momento in cui dobbiamo fare ciò che è contro la nostra natura, dobbiamo umiliarci, ammettere i nostri torti e cambiare la nostra mentalità.E questo, infatti, è ciò che il mio paese ha fatto a causa del movimento per i diritti civili. L’America è cambiata perché gli americani sono stati toccati nei loro cuori, cuori in cui la Bibbia ci dice essere scritta la legge di Dio.

Possiamo cercare di negare le nostre coscienze, indottrinare o drogare le nostre menti così che non possiamo o non vogliamo pensare, ma il senso della giustizia e dell’ingiustizia è stato dato ad ognuno di noi. E’ proprio questa consapevolezza morale che ha cambiato la cultura dell’America sul razzismo.Credo che sia questa stessa consapevolezza morale che possa cambiare qualsiasi cultura riguardo all’aborto. Non accadrà in una notte. Ma sta già accadendo. Nei nostri cuori lo sappiamo. Per troppo tempo però abbiamo guardato dall’altra parte. Non abbiamo voluto farci coinvolgere. Ci siamo convinti che la gente non cambierà quando si tratta dell’aborto. Sono qui a dirvi che questo non è vero.

Ho visto il cambiamento in me stessa, negli altri, e nella mia nazione. Ciò che è avvenuto con la schiavitù ed il razzismo sta avvenendo ora con l’aborto. Quelli che hanno potere e che possono parlare a favore dei perseguitati devono farlo, siamo i custodi dei nostri fratelli e quel che capita a loro capita a noi.Martin Luther King scrisse dalla cella di un carcere: “l’ingiustizia, in qualunque luogo, è una minaccia alla giustizia in ogni luogo”. Che un bambino sia abortito a Birmingham nell’Alabama o a Birmingham in Inghilterra, quell’aborto è un assalto a quella che mio zio Martin chiamava la Amata Comunità.

Mio zio Martin aveva un sogno. Sognava che vivessimo ciò che è ovvio, cioè che tutti gli uomini sono creati uguali. Ha chiesto all’America di ammettere i nostri torti e di allontanarcene.Oggi, io chiedo a tutti noi, indipendentemente da nazionalità, razza o religione, di ammettere i nostri torti e di allontanarcene. Credo che negare il diritto alla vita sia la più grande ingiustizia che affrontiamo nel mondo oggi. Non c’è compassione nell’uccidere. Non c’è giustizia nell’escludere delle persone dalla razza umana.Chiedo solo: come può continuare a vivere un sogno così – il sogno dell’uguaglianza per tutti – se ammazziamo i nostri figli? Come può continuare a vivere questo sogno se neghiamo agli altri la basilare dignità umana ed il rispetto? Come può continuare a vivere questo sogno se non agiamo a nome loro?

www.massimopandolfi.it

mercoledì 8 settembre 2010

ECCO IL REGALO DI VENDOLA

Lo scherzetto abortista di Vendola

Una delibera per impedire di fatto ai consultori pubblici pugliesi di assumere medici obiettori. Ecco lo scivolone abortista del governatore che si accredita come paladino dei cattolici

di Benedetta Frigerio

Si chiama Potenziamento del percorso di nascita. Ma la delibera della Regione Puglia del 13 marzo 2010 nasconde dietro questo titolo ben altro itinerario. Voluto dall’assessore alla Sanità Tommaso Fiore, il progetto si basa sulle indicazioni contenute nel Piano regionale di salute 2008-2010. Leggendolo si scopre che ci sarà «un progressivo riposizionamento del personale sanitario che solleva obiezione di coscienza». Ma che significa esattamente riposizionamento? Lo si capisce dall’allegato alla delibera. Al punto 4.1.4 si legge infatti che «il progetto viene parzialmente modificato destinando le risorse all’assunzione esclusiva dei medici ginecologi e di ostetriche (...) per integrare la dotazione organica di personale di n. 1 medico ginecologo non obiettore, n. 2 ostetriche non obiettrici per Asl». L’assessore Fiore, in un articolo apparso sulla Gazzetta del Mezzogiorno del 14 luglio scorso, in risposta ai medici che hanno impugnato la delibera davanti al Tar, ha obiettato che «i medici cattolici a volte leggono cose non scritte nelle delibere». La cosa fa sorridere Donato Dellino, ginecologo del San Paolo di Bari e tra i firmatari del ricorso, secondo il quale «la norma parla chiarissimo. E data la sua gravità penso che il Tar possa solo pronunciarsi a nostro favore». Anche per l’avvocato Nicolò Mastropasqua, che ha presentato il ricorso al Tar pugliese, «il fatto è scandaloso sia perché va contro un diritto umano, non solo tutelato dalla legge 194 sull’aborto ma anche dalla Costituzione e dal diritto internazionale, sia perché si nasconde dentro una delibera lunga e dal titolo fuorviante». Secondo l’avvocato accettare la normativa della giunta Vendola significa aprire la strada legale «perché gli obiettori siano espulsi anche dalle farmacie e dagli ospedali». Impressiona pensare che i consultori siano nati per rimuovere le cause dell’aborto, mentre oggi sono invece «sempre più utilizzati per lo scopo inverso», racconta Lucia Crescini, medico presso un consultorio privato dell’Emilia Romagna. «Sì perché, di fatto – continua la dottoressa Crescini – quello che vuole Vendola nella mia regione è già realtà. Da quando mi sono laureata, nel 1980, ho cercato di entrare in consultorio diverse volte. Arrivavo sempre al vertice della graduatoria, ma poi trovavano le scuse per buttarmi fuori prima ancora di lasciarmi cominciare a lavorare. Alla fine ho dovuto rassegnarmi a stare nel privato. Però una legge qui non c’è. E avere il coraggio di arrivare persino a mettere per iscritto la discriminazione mi sembra davvero troppo. Anche se forse può spronarci a reagire a livello nazionale».

Una discriminazione già in atto
Per Dellino, infatti, non si può continuare a subire la situazione «come accade da troppo tempo. Bisogna mettersi insieme e reagire». Perché prima ancora che legislativo il problema pare essere «la paura e la solitudine che hanno ridotto l’obiezione a un atto passivo che il medico nasconde. Dovesse passare una legge simile i medici più deboli potrebbero cedere e accettare di farsi esecutori di un omicidio». Forse l’unico fatto positivo è che un’ingiustizia tanto palese e messa per iscritto può far reagire l’opinione pubblica e dare più coraggio ai medici obiettori. Nicola di Natale, presidente dell’associazione Medici Obiettori, conferma che «è vero, la discriminazione di fatto c’è. Ma anche una debolezza dei medici, basta pensare che l’Ordine non si è ancora pronunciato sul fatto. Però, la follia della giunta Vendola ci costringe a ripensare perché facciamo obiezione e cosa voglia dire». Da anni sembra che molti medici che si dichiarano obiettori lo siano più di nome che di fatto: «C’è chi stabilisce i limiti dell’obiezione e chi la sminuisce, come fosse un atto passivo. Ma la posta in gioco è diversa: io non potrei mai accettare che il mio lavoro si riduca a un non fare. Quando faccio obiezione non dico di no alla donna, ma entro in rapporto con lei. L’aiuto, le propongo un’alternativa e mi implico. Che medico e uomo sarei altrimenti? Di certo né libero né realizzato».
E questo non vale solo per il medico. Lo dimostra Crescini, che ricorda che le donne non aspettano altro che qualcuno le guardi: «Quando arrivano in consultorio convinte di abortire non hanno nessuno che le abbia mai messe davanti ad un’alternativa. Io comincio i colloqui così: “Sappia che se si siede non le faccio il certificato, ma se vuole parliamo”. Accettano sempre e paiono fiumi in piena. Posso dire che circa il 90 per cento di loro cambia idea». Ma cosa rispondere a quanti dicono che con l’aumento degli obiettori i consultori non rilascerebbero più i certificati abortivi, non lasciando quella libertà di scelta che comunque la 194 prevede? L’avvocato Mastropasqua risponde «che è una bufala. I certificati li può rilasciare qualsiasi medico, tanto che la legge non prevede questa attività nei consultori. Non c’è argomento che tenga. Perciò, se il Tar difendesse la delibera compirebbe un palese atto antidemocratico che porteremmo di fronte al Consiglio di Stato e, se non bastasse, alla Corte di giustizia europea».


FONTE: www.tempi.it

L'ITALIA CHE FA SEMPRE MENO FIGLI

Strategie per battere l’inverno demografico

Il dato ufficiale più recente parla di 60 milioni e 402mila residenti a fine marzo 2010, mentre il censimento del 2001 ne conteggiava "solo" 57 milioni. Come interpretare allora, alla luce della forte crescita osservata in questi anni, le previsioni di stazionarietà o persino di regresso demografico che abitualmente ricorrono negli scenari prospettati per il futuro? La risposta è semplice: il forte contributo netto delle migrazioni dall’estero ha fatto momentaneamente accantonare – senza peraltro fornire una cura efficace e risolutiva – la debolezza di una dinamica naturale che già oggi è eloquentemente documentata dal sorpasso delle morti sulle nascite: un surplus di circa 20mila unità (secondo i dati del 2009) che potrebbe persino arrivare a 300mila nell’arco di qualche decennio.

Non possiamo dimenticare che da più di trent’anni si afferma da più parti – e si argomenta con dati oggettivi e inconfutabili – l’incapacità della popolazione italiana di garantirsi un adeguato ricambio generazionale. Ed è anche bene ricordare che sono al pari di vecchia data sia l’analisi delle cause che stanno alla base dei ritardi e delle cadute nelle scelte riproduttive degli italiani, sia l’identificazione delle terapie con cui si potrebbe guarire (o almeno attenuare) il malessere demografico di un Paese in cui le statistiche dicono che si desiderano in media 2,2 figli per coppia, ma se ne fanno solo 1,4.

Così, anche senza dover scomodare il catastrofismo di coloro che – forse più per provocazione che per effetto di una visione realistica – vanno ventilando la prospettiva di «solo dieci milioni di italiani che vedranno la prossima fine secolo» (come ha fatto il
Wall Street Journal), basta prendere in esame le più recenti valutazioni Istat per rendersi conto di come, in assenza di segnali di ripresa della fecondità, il nostro Paese è destinato a scendere a 56 milioni di residenti nel 2051. E ciò pur in presenza di consistenti apporti netti sul fronte delle migrazioni internazionali, tali da favorire una parallela crescita della componente straniera sino a circa 9 milioni (equivalenti a 16 stranieri ogni 100 residenti).

Ma a ben vedere non è solo il calo numerico degli abitanti ad alimentare le preoccupazioni per l’inverno demografico che ci attende, sono piuttosto le modalità con cui tale calo andrà concretizzandosi. Accettare passivamente un’ulteriore discesa dalle circa 600mila nascite annue di oggi alle 400mila che vengono prospettate dai modelli di previsione – qualora non dovesse accrescersi il livello di fecondità – significa rinunciare a investire adeguatamente nel capitale umano, e quindi nel futuro del Paese. D’altra parte, teorizzare che il sostegno alla natalità offerto dall’immigrazione sia sufficiente ad arrestare, o persino ad invertire, le tendenze in atto non fa che alimentare pericolose illusioni che rischiano di impedire, o quanto meno ritardare, le necessarie azioni di intervento.

Se è vero che il contributo delle nascite provenienti dalla popolazione straniera resta importante e merita piena valorizzazione, non si può infatti ignorare che anche su questo fronte emergono evidenti segnali di adattamento dei progetti di sviluppo familiare alle difficoltà che s’incontrano nell’essere genitori oggi in Italia. I dati ufficiali mostrano infatti come tra gli stranieri residenti il livello di fecondità sia rapidamente sceso da una media di 2,50 figli per donna nel 2006 a solo 2,05 nel 2009.

In definitiva si ha l’impressione che il tempo degli scenari e delle analisi che per molti anni hanno alimentato il dibattito sul destino demografico dell’Italia del XXI secolo sia finalmente concluso. È il momento di passare dalla diagnosi alla terapia, impegnandosi in politiche adeguate a favore della maternità e della famiglia. Una strategia che va attuata con celerità ed efficacia, se non vogliamo che ciò che oggi si configura solo come un esercizio accademico – o al più come un’utile provocazione – si trasformi in un’amara realtà per le generazioni del futuro.
Gian Carlo Blangiardo
fonte: www.avvenire.it

sabato 4 settembre 2010

E POI CI DICONO CHE LA 194 "FUNZIONA"...

Aborto: ecco cosa succede in ospedale

PUBBLICATO DA MASSIMO PANDOLFI VEN, 03/09/2010 - 19:16

Al Meeting di Rimini una donna ha portato una testimonianza, tremenda, di ciò che ha visto in un ospedale e che dimostra come nella stragrande maggioranza dei casi non si faccia nulla per convincere le donne a non abortire. Ecco la testimonianza, che teniamo anonima come da richiesta della donna.

Nei primi giorni di agosto sono stata ricoverata presso il reparto di ostetricia-ginecologia di un ospedale in provincia di Parma. Penso non per caso (in quanto il reparto era mezzo vuoto!!), il giorno dopo la mia operazione, mi sono trovata in camera una ragazza venuta in day-hospital ad abortire.E’ straniera ma legge e parla correttamente l’italiano, quindi posso credere a quanto mi ha detto, affermando di non aver incontrato nessuno che le abbia offerto un’alternativa a quanto stava facendo. Combattendo la mia natura introversa ed anche la fatica fisica, ho speso tutte le tre ore che hanno preceduto l’intervento per tentare di convincerla a cambiare idea.La cosa triste è stato soprattutto il fatto che lei non aveva nessuna voglia di buttare via il suo bambino, è stata una decisione dettata esclusivamente dalla solitudine e dalla paura. Sono quasi convinta che se le prospettive che le ho accennato quel giorno le fossero state presentate prima, quel bimbo starebbe crescendo sano e forte nel suo grembo.Molto brevemente: il marito le ha detto di arrangiarsi, una precedente gravidanza l’aveva costretta a letto tutto il tempo quindi temeva che dovesse per forza succedere di nuovo, non aveva chiara la legislazione riguardo alla maternità quindi temeva di perdere il lavoro.Tutte obiezioni smontabili facilmente. Il prezzo pagato una vita innocente, in un reparto gentile, dove tutto ha concorso alla discrezione e all’anonimato, in mezzo a foto sorridenti di neonati, dove tutto, in apparenza, è un inno alla vita!

www.massimopandolfi.it

mercoledì 1 settembre 2010

BANDIERA ROSSA E FIGLIO UNICO

Giovane madre cinese rapita e sterilizzata per far rispettare la legge del figlio unico
La donna è scomparsa dal 15 luglio ed è stata sottoposta a sterilizzazione forzata. A causa dell’operazione si trova ancora in ospedale. La madre, che ha denunciato la scomparsa è stata arrestata per 10 giorni. I danni della legge sul figlio unico.

Hong Kong (AsiaNews/Chrd) – Una giovane madre di 23 anni è stata rapita e sterilizzata a forza dai membri dell’Ufficio per il controllo della popolazione del’Anhui. La notizia è stata diffusa oggi dal Chrd (Chinese Human Rights Defenders).
Li Hongmei, 23 anni, della contea di Changfeng, ha dato alla luce la sua prima bambina lo scorso 21 giugno. Il 15 luglio scorso, l’ufficio per la pianificazione familiare l’ha rapita insieme alla sua bambina. Quando la sua famiglia ha denunciato la sua scomparsa, la madre di Li, Yang Yonglian, è stata arrestata dalla polizia locale e detenuta per 10 giorni con l’accusa di “ostacolare il corso dei doveri ufficiali”.
In seguito la famiglia ha appreso che Li, madre da meno di un mese, era stata portata all’ospedale di Shuangfeng, dove i membri del controllo sulla popolazione l’hanno costretta a firmare il consenso per la sterilizzazione.
Chrd dichiara che dopo la sterilizzazione forzata Li si è ammalata e soffre di vertigini e dolori al petto. Al momento si trova ancora in ospedale.
Per garantire i programmi di sviluppo economico, e tenere basso l’incremento della popolazione, la Cina ha adottato dalla fine degli anni ’70 la legge del figlio unico che permette a una coppia di avere solo un figlio. A ogni provincia, città, villaggio viene fissata una quota annuale di nuove nascite. Per rispettare la quota i rappresentanti dell’Ufficio per la popolazione ricorrono ad aborti forzati (anche al nono mese), sterilizzazione delle donne e dei maschi, enormi multe fino a uno-due anni di salari annuali per chi ha un secondo figlio.
Sociologi ed economisti mettono in guardia da tempo sul veloce invecchiamento della popolazione. Inoltre, per la preferenza sul figlio maschio da parte di contadini, si è diffusa la pratica degli aborti selettivi, uccidendo i feti femmine e creando un pesante squilibrio nel rapporto fra maschi e femmine. Per questo, diverse personalità chiedono che lo Stato cambi la legge del figlio unico, permettendo di avere almeno due figli per coppia. Ogni anno, però, il governo riafferma la “bontà” della legge sul figlio unico.

SE IL CONSULTORIO CONSIGLIA L'ABORTO

LA TUTELA DELLA VITA

Incinta, chiede aiuti al consultorio
La risposta: abortisca

Teresa accarezza continuamente il suo pancione, come se dovesse ancora proteggere quel figlio che cresce da tre mesi nel suo ventre. «Ora che è qui dentro è al sicuro, ma quando nascerà sarà molto dura per noi». Sorride comunque, finalmente. Non ha più paura di affrontare la sua nuova vita da ragazza madre, «io non sono più sola, c’è lui con me – dice mentre indica quel miracolo che l’ecografia ha già scritto che sarà un "lui" –. Siamo in due, solo noi due». Un lui che chiamerà Francesco e nascerà a marzo: «Questo bambino è stato concepito in Umbria, la patria di Francesco d’Assisi, vorrei che portasse il suo nome». La luce della vita, Teresa l’ha riscoperta dopo settimane di vuoto e di confusione, attraversate di tanto in tanto anche dalla voglia di farla finita. «Come potevo pensare – ribatte – di far crescere un figlio da sola, senza lavoro, senza casa, senza un compagno e senza un soldo?».

Quasi trent’anni, due sorelle all’estero e una mamma che non sente da anni, un diploma da odontoiatra, per ora inutilizzato. Poi quel compagno che «pur dicendo di desiderare come me un bambino, se ne è tornato in Tunisia» con il suo bagaglio di bugie. E non ha più nessuna intenzione di venire in Italia. Teresa parla tenendo lo sguardo fisso a quel figlio che le sta dando il coraggio e la forza di affrontare mille difficoltà. Lei, cardiopatica e con una gravidanza a rischio, però, ha deciso di andare avanti. Eppure, sola e disperata, il 30 luglio stava per cancellare quella vita che tanto aveva sognato. «Io lo volevo, l’ho voluto fin dall’inizio – racconta – ma ero talmente confusa che avevo già avviato le pratiche per l’aborto. Mi sentivo un mostro, comunque, una donna indegna di vivere. Per fortuna non ho avuto la forza di presentarmi in ospedale quel giorno». Infine la decisione di rivolgersi ad un assistente sociale nel suo municipio a Roma.

«Cercavo una parola di conforto, un posto dove stare, visto che dovevo lasciare il mio appartamento perché non potevo più permettermelo – confessa –, cercavo un aiuto ed invece...». I suoi occhioni neri si sono riempiti di lacrime quella mattina d’inizio agosto, quando le uniche parole di sostegno che ha avuto sono state quelle che mai nessuno si sarebbe immaginato. «Non possiamo fare molto per lei, non abbiamo grandi risorse. Ma non si rende conto che sarà difficile nella sua situazione crescere un bambino? Forse sarebbe il caso di pensare all’interruzione di gravidanza». L’assistente sociale non ha prospettato grandi alternative; in più le sue ferie sarebbero cominciate il giorno successivo e, quindi, pochi i tentativi da fare. Una telefonata dai servizi sociali effettivamente il giorno dopo è arrivata con una probabile sistemazione per soli due mesi e l’invito a risentirsi al rientro dalla vacanze.

«Ho pregato molto il Signore quella notte, non sapevo cosa fare, pregavo per il mio bambino e per quelle mamme come me che nessuno sente gridare in silenzio. Mi sono sentita come se tenere il figlio che già amavo immensamente fosse il reato più grande che potessi fare». Teresa fa una pausa. Poi spiega dell’incontro con un vecchio amico vicentino e, grazie a lui, del contatto col Centro di aiuto per la vita della Capitale. «Lì ho trovato innanzitutto il conforto e l’ascolto di cui avevo bisogno, oltre ad un aiuto materiale – aggiunge –. Mi hanno sistemato in una casa-famiglia dove potrò stare anche dopo il parto. Sempre grazie a loro ho un ginecologo di un grande ospedale romano che mi segue gratuitamente e che conosce bene la mia patologia».

Al tavolino di un bar, giocherellando con la cannuccia della sua acqua e limone, Teresa non nasconde la rabbia per quel «muro di insensibilità» che ha trovato, e continua a ricevere, proprio da chi invece dovrebbe aiutare. Per vivere ora, oltre ad un piccolo contributo del Cav, si arrangia come può, vendendo anche le sue originali lampade su internet. «Non voglio sentirmi una parassita dello Stato – dice lasciando per un attimo cadere gli occhi sulla lana che ha appena comprato per la copertina del suo Francesco –. Come è possibile in un Paese moderno e credente che i servizi sociali mi dicano di abortire, di dormire in alloggi di fortuna o addirittura di andar via dall’Italia per farmi aiutare delle mie sorelle all’estero?». Alle sue tante domande per adesso non trova risposta, ma ha un’unica certezza: quando Francesco nascerà vorrà impegnarsi perché nessun’altra donna viva ciò che ha passato lei. Tra qualche giorno sarà il suo compleanno, ma la vita le ha già riservato il regalo più grande.
Alessia Guerrieri
fonte: www.avvenire.it