sabato 30 giugno 2007

“Life Happening 2007” dei Giovani del Movimento per la Vita

MUOVI LA VITA!
Summer School for Life.

Cari amici Per la Vita, anche quest’anno abbiamo l’opportunità di trascorrere insieme momenti di festa e di amicizia.
Il Life Happening è per tutti noi l’occasione di scoprire che il “Si alla Vita” è la ragione unificante ed ultima della Polis, al di là di ogni interesse, ideologia e potere.
Sappiamo bene che l’uomo è l’unica specie al mondo a minacciare la propria sopravvivenza attraverso la violenza e l’uso spregiudicato della tecnica. Nonostante ciò riaffermiamo la nostra fiducia: nell’uomo, cuore della pace; nella Scienza, sempre alleata della Vita; nell’incontro tra credenti e non credenti, consapevoli che molte sono le cose mirabili, ma l’uomo le supera tutte.
E allora MUOVI LA VITA! e vivi una settimana di divertimento e testimonianze, per conoscere sempre meglio le immense ricchezze del Popolo per la Vita, dove proposta culturale e azione concreta, sono due facce della stessa medaglia, perché chi salva una vita salva il mondo intero!
Gli incontri, il cineforum ed i laboratori, ci aiuteranno a comprendere il senso profondo della Mission del Movimento per la Vita, il suo ruolo di promotore dei diritti umani e il servizio alla mamma e al bambino, reso dai Centri di Aiuto alla Vita.
Non siamo eroi, però siamo eroici perché desideriamo che ogni uomo possa vivere in un mondo umano! Noi giovani per la Vita collaboriamo a scrivere pagine di speranza per l’Umanità!
Ti aspettiamo per una vacanza che ti cambia davvero la Vita!
Leo Pergamo
per info: www.mpv.org

venerdì 22 giugno 2007

Per i malati «vegetativi» il principio di precauzione

Eutanasia - la lezione del polacco risvegliatosi dopo 19 anni • Questa vicenda è un'obiezione incisiva per tutti coloro che invocano l'eutanasia
di Giacomo Samek Lodovici

Tratto da Avvenire del 7 giugno 2007

Jan Grzeb-ski è un polacco che, nel 1988, è precipitato in uno stato di totale incoscienza, per un trauma cranico. I medici gli avevano dato solo due o tre anni di vita, invece Jan ha continuato a vivere. Solo la moglie Gertruda aveva creduto nel suo risveglio e ha svolto con amore il lavoro di un team di terapia intensiva. Gertruda ha avuto regione: Jan si è risvegliato nel 2007, dopo 19 anni, e ha conosciuto gli 11 nipoti nati ai suoi 4 figli.
«Mia moglie mi ha salvato, e non lo dimenticherò mai», ha detto alla tv polacca. Questa vicenda è un'obiezione incisiva per tutti coloro che invocano l'eutanasia per i malati in stato prolungato di incoscienza, per porre termine ad una vita che essi ritengono «indegna di essere vissuta». Per contro, anzitutto, la mancanza di coscienza non toglie all'uomo la sua intangibile dignità, quindi non autorizza ad ucciderlo; non è questo il luogo per dimostrarlo, ma si può almeno dire che, se avesse dignità solo chi è consapevole, sarebbe lecito uccidere chiunque non è attualmente cosciente: i neonati, i dormienti e gli uomini sotto anestesia. In tal senso, la nozione di "stato vegetativo", che si usa per alcuni (non tutti) di questi casi, induce erroneamente a pensare che il soggetto non sia più un essere umano, bensì un vegetale, privo di dignità. Già Nietzsche scriveva in modo spietato: «in certe condizioni non è decoroso vivere più a lungo. Continuare a vegetare in un'imbelle dipendenza dalle pratiche mediche, dopo che è andato perduto il senso della vita, il diritto alla vita, dovrebbe suscitare nella società un profondo disprezzo. I medici, dal canto loro dovrebbero essere i mediatori di questo disprezzo; non [dovrebbero dare] ricette, ma ogni giorno [far provare] una nuova dose di nausea di fronte ai loro pazienti». Inoltre, esistono pazienti solo apparentemente privi di coscienza i quali, dopo essersi ripresi, hanno spiegato che, in realtà, capivano ciò che accadeva e veniva detto loro, volevano parlare, ma non ci riuscivan o: è successo ad una donna inglese (ne ha parlato Science l'08.09.2006) e al siciliano Salvatore Crisafulli (che lo racconta nel libro Con occhi sbarrati, ed. L'Airone); quindi non è per niente detto che questi malati siano privi di coscienza, anzi ci sono casi in cui è vero il contrario. Infine, il malato privo di consapevolezza può riprendersi, talvolta, anche dopo molti anni; quindi non è detto che l'interruzione della coscienza sia permanente. Per esempio, il fotografo di Mao si è ripreso dopo 9 anni e Jan Grzebski dopo 19. Come lui anche Terry Wallis, un americano che, nel 1984, perse la coscienza dopo un incidente stradale e che si è risvegliato dopo 19 anni, nel 2003, a Mountain Wiew, in Arkansas, dove era ricoverato. L'uomo ha conosciuto la figlia, nata subito dopo l'incidente. Dunque sarebbe meglio evitare sia la nozione di stato "vegetativo", sia di parlare di privazione "permanente" della consapevolezza, perché non esiste la certezza assoluta che un paziente non possa mai più riprendersi. Insomma, non siamo certi che questi malati siano privi di consapevolezza, né che lo siano definitivamente. Perciò, dobbiamo applicare il principio di precauzione: ammesso e non concesso che l'intangibile dignità dell'uomo risieda nella sua consapevolezza, non dobbiamo rischiare di uccidere degli uomini che potrebbero essere coscienti e che potrebbero riprendersi. Non di eutanasia hanno bisogno questi malati, ma di amore, quello che non demorde e che non si scoraggia. Come quello della moglie di Jan.

sabato 2 giugno 2007

Impegnarsi per la Vita: Vale la pena?




Riadattando le parole di un grande di questo secolo


E' difficile credere nel valore della Vita quando tutti i modi di pensare intorno a te sembrano andare in senso contrario?

E' difficile amare la Vita quando media, giornali, TV, cultura, ecc. la usano, la sfruttano attenagliandola in logiche edonostiche e di convenienza?

Insomma, è difficile testimoniare il valore non negoziabile di ogni Vita Umana dal misterioso e meraviglioso attimo del concepimento fino al suo naturale termine, quando spesso anche gli amici e noi stessi per primi siamo subdolamente attratti da una visione egoistica dell'altro, della persona umana?


Giovanni Paolo II disse ai giovani della GMG riuniti a Roma: " Si, è difficile "

Ma se pure tale affermazione ci conforta nelle nostre resistenze, Karol non aveva posto l' accento su questo.

La prospettiva vera e sperimentabile è espressa dalla domanda retorica presente nel titolo:

"Impegnarsi per la Vita, vale la pena?" e la risposta è "Si, vale la pena"


Vale la pena perchè l'impegno per una causa tanto negata, scomoda e giusta è contagioso; è inevitabile che di fronte ai volontari e ai testimoni della Vita ci si chieda il perchè di un impegno tanto disinteressato.

Vale la pena perchè l'umiltà di un servizio all'umanità così poco valorizzato dal "pensare comune" è corrisposto da una poco visibile, ma irrefrenabile fecondità.


I frutti sono nascosti e protetti nel cuore di migliaia di donne che si sono rivolte ai Centri di Aiuto alla Vita, singolarmente in ognuna di loro, e in quello dei bambini che grazie a ciò sono nati...

E' valsa la pena per uno solo di loro!


Ma non solo. Quelle giuste inquietudini di non rassegnazione che la cultura della Vita ha diffuso in tutti coloro che l'hanno sperimentata. Vale la pena superare le difficoltà perchè tutti riconoscano e ammirino la dignità di ogni essere umano che incontrano nella propria esistenza.


L'autentica cultura della Vita, infatti, non si piega alle polemiche ideologiche, ma rafforzata proprio dalle esperienze di sofferenza e sacrificio delle persone, continua con ottimismo il suo servizio attraverso l'accoglienza dell'uomo, che è sempre un fine e mai un mezzo.

Vale la pena, sempre!



Luigi Masotti