venerdì 29 gennaio 2010

THANK YOU TIM TEBOW!!!

"E' per queste ragioni
che io sono qui,
perchè mia madre
è stata una donna molto coraggiosa"

teblow2


GRAZIE TIM TEBOW
PER LA TUA TESTIMONIANZA!!!

MILANO - Non trasmettete quello spot anti-aborto. È questa la richiesta che un’organizzazione femminista di New York ha avanzato alla Cbs. Il network ha infatti intenzione di mandare in onda il 7 febbraio, durante la diretta televisiva del Super Bowl che vedrà impegnati gli Indianapolis Colts contro i New Orleans Saints, un filmato contro l'interruzione di gravidanza pagato dal gruppo cristiano conservatore Focus on the Family.

IL CAMPIONE - Il Women’s Media Center, sostenuto da gruppi quali l’Organizzazione Nazionale delle Donne e la Feminist Majority, ha preso di mira lo spot suggellato dallo slogan «Celebriamo la famiglia, celebriamo la vita»: il video ripercorre, in trenta secondi, la gravidanza della madre di Tim Tebow, superstar della squadra di football del college di Florida. Tebow, che negli Stati Uniti gode di enorme popolarità, nacque nel 1987 al termine di una gravidanza a rischio. La madre dell’ex quarterback dei Gators si ammalò durante una missione nelle Filippine e rifiutò l’aborto consigliato dai medici che la visitarono. Tebow, che ha quattro fratelli maggiori, ha vinto due titoli nazionali Ncaa alla guida di Florida conquistando anche l’Heisman Trophy, l’ambitissimo premio riservato al miglior giocatore del campionato universitario statunitense.

IL COSTO DELLO SPOT - «Uno spot che usa lo sport per dividere anziché unire non può trovare posto nell’evento sportivo più importante dell’anno», hanno protestato dal Women’s Media Center, «un evento fatto per unire gli americani». Proteste inutile perché il network Cbs, che trasmetterà la finale ad un pubblico di circa cento milioni di telespettatori nei soli Stati Uniti, ha fatto sapere di avere approvato il testo dello spot sotto accusa, che avrà un costo compreso tra 1,8 e 2 milioni di euro.

«MIA MADRE UNA DONNA CORAGGIOSA» -Tebow, che tra tre mesi dovrebbe fare il salto tra i professionisti della Nfl difende da parte sua lo spot che lo vede protagonista insieme alla madre: «So che qualcuno non sarà d’accordo ma io credo che queste persone debbano almeno rispettare il fatto che io difenda le mie convinzioni», ha spiegato il giocatore, che si è detto «convinto da sempre» delle sue ragioni anti-abortiste. «È per queste ragioni che io sono qui, perché mia madre è stata una donna molto coraggiosa» ha detto. (Fonte Apcom)


fonte: http://www.corriere.it/

sabato 23 gennaio 2010

USA PRO LIFE!!!

A Washington i «pro life»: sempre più i no all'aborto

di Elena Molinari

Sul palco che incornicia una veduta limpida del Campidoglio americano, una ventina di donne stava da ore in piedi in semicerchio attorno a un podio. Avevano età diverse, diverso colore della pelle. Ma con la stessa determinazione reggevano un cartello che a grandi caratteri proclamava: «Mi sono pentita del mio aborto».

La trentasettesima marcia per la vita a Washington era giunta da poco ai piedi del palcoscenico, dopo essere partita in anticipo sull’orario. I gruppi di giovani raccolti lungo Constitution avenue erano già folti alle 10 di mattina e avevano avuto fretta di mettersi in movimento verso The Hill, “la collina” sulla quale svetta il Congresso americano, e dove è in bilico una legge di riforma sanitaria che potrebbe introdurre forme di finanziamento pubblico per l’aborto. «Eppure il 75 per cento degli americani si oppongono ad usare i soldi dei cittadini per pagare un’interruzione di gravidanza», spiegava Stephen Phelan dell’associazione Human Life International, citando una ricerca dell’Università di Quinnipiac.

Il numero che rimbalzava di bocca in bocca ieri nel “Mall”, la grande spianata al centro della capitale americana, era un altro: cinquantuno. Per la prima volta dal giorno della sentenza Roe contro Wade, con la quale la Corte suprema americana ha legalizzato l’aborto nel 1973, negli Stati Uniti il 51 per cento della popolazione è contraria all’aborto.

«È un segnale chiaro che i nostri sforzi non sono stati vani, che vinceremo la causa della vita, che il dibattito si è riaperto», ha esclamato il deputato repubblicano dell’Arkansas Todd Akin. «Questa è la mia decima marcia per la vita, e finalmente posso dire di essere orgoglioso di vivere in un Paese dove la maggioranza rifiuta l’uccisione di vite innocenti».

A suscitare il continuo entusiasmo dei partecipanti (300mila secondo gli organizzatori) era anche un monitor con una cifra che continuava a salire rapidamente, 71mila, poi 72mila, fino a 75mila. Era il numero dei partecipanti della marcia virtuale che per la prima volta era stata organizzata su Internet per coloro che non sono potuti andare a Washington. Una novità di quest’anno, che permetteva di creare un proprio alter ego animato e di vederlo muoversi lungo le vie della capitale verso la Corte suprema. È lì infatti, la tappa finale della marcia, che i manifestanti sperano che venga il cambiamento sotto forma di una sentenza che ribalti Roe contro Wade. «È quasi impossibile sopravvalutare quanto si sia trasformato lo scenario politico nei confronti del rispetto della vita negli ultimi mesi», diceva Karen Cross, direttore politico del Comitato National Right to Life.

Ma il movimento per la vita non è convenuto a Washington solo per dire no all’aborto. Nell’agenda c’è anche la difesa della vita al suo termine, come ha ricordato Bobby Schindler, fratello di Terry Schiavo, la donna rimasta in stato vegetativo per oltre 10n anni prima che la rimozione del tubo che l’alimentava ne provocasse la morte nel marzo 2005. Un’altra novità della marcia per la vita 2010 è stata la veglia davanti alla Casa Bianca dove tremila persone, tutte quelle che avevano ricevuto l’autorizzazione della polizia, si sono riunite pacificamente in serata per pregare e cantare. «Preghiamo e digiuniamo per te, presidente Obama – recitavano i cartelli che sostenevano – perché tu capisca che l’aborto è violenza verso i più indifesi». Se infatti George W. Bush ha sempre chiamato i leader del movimento per la vita per esprimere la solidarietà, il gruppo non si aspettava una telefonata da Obama.

martedì 19 gennaio 2010

INASPETTATAMENTE...

Gli occhi della Francia che non ti aspetti sono quelli di un ragazzo. Siamo a metà di un pomeriggio invernale parigino, con il sole che splende ancora sui tetti e sui viali. Dietro di noi, uno dei più importanti teatri del mondo: l'Opéra. Davanti, migliaia di persone festanti e gioiose che affluiscono nella grande piazza.

Gli occhi della Francia che non ti aspetti sono incarnati da quel ragazzo che si avvicina al nostro gruppetto e, vedendo le bandiere bianche e verdi del Movimento per la Vita italiano ci saluta. Prima in un italiano un po' stentato, poi in inglese, si complimenta con Elisabetta per il suo intervento e ci ringrazia per essere lì, dall'Italia, a difendere con lui la vita di ogni essere umano. Poi saluta e sparisce in mezzo alla folla immensa.

Gli occhi della Francia che non ti aspetti sono i suoi, e sono quelli delle decine e decine di ragazzi e ragazze che hanno lavorato per fare della sesta marcia per la vita un grandissimo successo. Hanno venduto le magliette, distribuito adesivbi, incitato la folla gioiosa e numerosa, fatto da servizio d'ordine e, semplicemente, marciato per la vita. Nel paese più laicista d'Europa (ma la Spagna zapaterista e l'Olanda fanno una dura concorrenza) ci sono anche tanti giovani che non volgiono sottostare al pensiero dominante.

Il futuro della Francia era a Parigi domenica 17 gennaio a marciare. Per dare un futuro a tutti, anche a quelli cui per ora è negato. "Onore alle madri", recitava lo striscione davanti a noi. "Anch'io sono stato un embrione", ricordava un altro. "No all'eugenetica". E così via. Quante semplici verità riassunte in poche parole.

Verità che forse possono apparire ovvie ma che, evidentemente, ovvie non sono se è necessario scendere in piazza per difenderle. Tra cartelli che chiedevano di dire basta all'aborto e bandiere variopinte la gioisa colonna è partita da Place de la Republique al ritmo di musica. Musica moderna, ovviamente, quasi discotecara. Perchè chi difende la vita non è per forza una vecchia mummia legata a valori ormai superati.

Oggi, nella nostra società, chi difende la vita è il vero anticonformista, il vero rivoluzionario. E le larghe strade di Parigi, fatte apposta per impedire le barricate durante i numerosi moti dei tempi che furono, si sono riempite questa volta di una gioisa assemblea che ha in mente la rivoluzione più grande: quella che mette al centro di ogni politica il diritto di ogni uomo ad esistere. Senza discriminazioni di sesso o di religione, certo. Ma nemmeno di età.

Pochi comizi, in questa manifestazione. Poche parole e tutte ricche di significato, perchè l'evidenza non ha bisogno di essere infiorettata dalla retorica. E perchè il messaggio dato da 25.000 giovani che hanno scelto di mostrare a tutti il loro amore per ogni uomo vale più di decine di discorsi.

E mentre il sole tiepido di gennaio saluta i tetti e i viali parigini i 50.000 occhi della Francia che non ti aspetti illuminano 25.000 volti sorridenti.

FT

lunedì 18 gennaio 2010

EN MARCHE POUR LA VIE 2010!!! - PARIS



NOI SIAMO QUELLI VICINO AL TRICOLORE

SI VEDE ALL'INIZIO SULLA SINISTRA.

COMUNQUE SIA...

CHE SPETTACOLO!!!

VIA LIBERA AL FIGLIO PERFETTO

L'ULTIMA SENTENZA CHOC DEL TRIBUNALE DI SALERNO

di Gianfranco Amato

Ennesimo episodio di deriva eugenetica per via giudiziaria. Il Tribunale di Salerno ha autorizzato una coppia fertile a ricorrere alla diagnosi prenatale per verificare possibili patologie dell’embrione, contravvenendo così, in un colpo solo, a due norme della legge 40/2004. La prima che vieta la possibilità di fecondazione assistita a coppie fertili (art. 1), e la seconda che proibisce l’utilizzo dell’analisi preimpianto a fini selettivi (art. 13).

Del tutto irrilevante, per il magistrato salernitano, il fatto che la legge 40/2004, disapplicata col provvedimento in questione, sia stata approvata a larga maggioranza dal Parlamento della Repubblica, sia stata confermata da un referendum popolare e sia passata al vaglio della Corte costituzionale che, con la recente sentenza 151/2009, ha confermato la piena costituzionalità del divieto di ricorso alla diagnosi reimpianto a fini eugenetici.

La disinvolta violazione del dettato normativo da parte del Tribunale di Salerno è avvenuta attraverso le solite vaghe espressioni di “diritto vivente” e di “lettura costituzionalmente orientata” della legge. Modi eleganti per far prevalere la personale prospettiva ideologica di un magistrato quando questa si appalesi chiaramente contra legem.

Qui il discorso si farebbe lungo. Implicherebbe considerazioni sulla tripartizione dei poteri, sulla prevaricazione di parte della magistratura rispetto al potere legislativo, sulla tentazione del “government by judiciary”, sul mostro giuridico del “giudice-legislatore”. Bisognerebbe ricordare Montesquieu, Tocqueville, Constant.

Il punto sul quale, invece, intendo focalizzare l’attenzione è un altro. Riguarda un passo del provvedimento salernitano, e precisamente quello in cui si afferma che “il diritto a procreare, e lo stesso diritto alla salute dei soggetti coinvolti, verrebbero irrimediabilmente lesi da una interpretazione delle norme in esame che impedissero il ricorso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita da parte di coppie, pur non infertili o sterili, che però rischiano concretamente di procreare figli affetti da gravi malattie, a causa di patologie geneticamente trasmissibili”.

È proprio su quel “diritto a procreare” che ci si deve interrogare. Potremmo partire dal titolo del libro pubblicato nel 2004 da Mary Warnock: Fare bambini. Esiste un diritto ad avere figli? Da un punto di vista giuridico, checché ne pensi il Tribunale di Salerno, per quanto riguarda il nostro ordinamento la risposta è semplice. Sarebbe sufficiente citare il presidente del Tribunale per i Minorenni di Milano, Mario Zevoli: «Essere genitori sembra sia considerato un diritto, ma non è affatto così». Prima che un problema giuridico, quindi (fortunatamente non siamo ancora nella Svezia eugenetica degli anni ’30), è un problema morale.

Soltanto una prospettiva di individualismo esasperato può tradurre un desiderio in diritto. E una simile prospettiva è capace di generare ingiustizia quando l’oggetto del desiderio implica violazione dei diritti di altri soggetti. Un figlio non può essere considerato come mera “proprietà” dei genitori, e questo vale fin dal concepimento. Né può essere considerato un “oggetto” necessario alla realizzazione di una coppia, da ottenere non con un atto d’amore ma attraverso l’esito positivo di un’operazione tecnica.

Il cosiddetto “diritto di procreazione”, in realtà, rischia di tradursi nella proiezione egoistica di un capriccio. Solo così, infatti, può giustificarsi, ad esempio, il ricorso alla fecondazione assistita per una coppia di donne omosessuali, o l’inseminazione artificiale di una donna con il seme congelato del marito defunto, o il figlio in provetta per le ultrasessantenni. Sembrerebbero, queste, aberrazioni teoriche ma, in realtà, lo scorso luglio qualcuno ha cominciato a riflettere quando si è appresa la notizia che in Gran Bretagna la signora Maria Bousada De Lara è morta di cancro all’età di 69 anni lasciando soli due gemelli di due anni, ottenuti attraverso il ricorso alla fecondazione assistita per realizzare il suo egoistico desiderio di maternità.

Ripensando a quell’episodio, mi sono venute in mente le parole del cardinale Caffarra quando ha avuto il coraggio di affermare, senza mezzi termini, che «nessuno possiede il diritto ad avere un figlio, a qualunque costo e in qualunque modo», perché «si ha diritto ad avere “qualcosa”, mai ad avere “qualcuno”». E, citando Bruno Fasani, lo stesso cardinale ha spiegato: «Un figlio non può essere una sorta di peluche che riempie i vuoti affettivi, che scavalca fittiziamente i limiti imposti dalla natura, che spezza solitudini senza prospettive di soluzione».

La riduzione della genitorialità a mero fattore biologico, a questione di Dna, significa immiserire il rapporto filiale, riportandolo alla concezione ottocentesca dello jus sanguinis. Una sorta di riduzionismo genetico come nuova versione del riduzionismo biologico di Cesare Lombroso. Davvero un bel passo avanti per i progressisti della società moderna ed evoluta.

L’uomo, in realtà, è più della somma dei suoi geni. Ce lo ha ricordato Francis Collins, il padre del genoma umano, quando il 26 giugno 2000, in una conferenza stampa tenuta alla Casa Bianca pronunciò al mondo intero, appunto, la celebre frase: «We are clearly much, much more than the sum total of our genes».

Essere genitori non è, quindi, una questione di geni. La Chiesa, ad esempio, da secoli sussurra all’orecchio dei suoi figli che l’uomo è capace di una fecondità che non è riducibile solo a quella carnale. «È per questo - ricordava don Luigi Giussani, il fondatore di Cl - che un uomo e una donna che non hanno figli e che ne adottano sono veramente padri e madri nella misura in cui educano un figlio. Molto più della grande maggioranza che getta fuori dal ventre il figlio e non si cura del suo destino». Davvero non è una questione di geni.

fonte: http://www.ilsussidiario.net/

mercoledì 13 gennaio 2010

EUGENETICA ANCHE IN ITALIA

IL TRIBUNALE DI SALERNO HA DECISO: EUGENETICA ANCHE IN ITALIA!


Sei un disabile? Inizia a preoccuparti. Perchè un tribunale italiano ha riconosciuto non solo un presunto "diritto a procreare" (che naturalmente si affianca al diritto ad eliminare il frutto della procreazione se non è gradito), ma anche un diritto al figlio sano.

"Che c'è di male?", si starà forse chiedendo qualche incauto lettore. Tutti vorremmo figli sani e, se possibile, vorremmo anche che evitassero di ricevere le malattie ereditarie di cui i genitori sono portatori. E su questo, naturalmente, non v'è dubbio alcuno.

Il problema del caso specifico di Salerno però è un altro. Il tribunale ha deciso, in aperta violazione della legge 40/2004 (ma se i tribunali violano le leggi in che mondo viviamo?), che una coppia portatrice di una grave malattia ereditaria può non solo accedere alle tecniche di procreazione medicalmente assistita, ma anche selezionare gli embrioni da impiantare perchè se così non fosse "il diritto alla salute dei soggetti coinvolti sarebbe leso".

Forse è bene ricordare che, in pratica, il giudice campano ha consentito alla coppia di creare un numero imprecisato di embrioni umani, quindi di esseri umani a tutti gli effetti, di selezionare quello/quelli non affetti dalla malattia e di buttare via gli altri.

Ovvero, il tribunale ha stabilito che alcuni - i sani - hanno diritto di vivere. E che altri - i malati - possono essere sacrificati in nome di un presunto "diritto alla procreazione".

Notato il paradosso? Da una parte si riconosce il diritto a procreare, cioè a generare una nuova vita. E dall'altra si fa presente che, se per qualche motivo questa nuova vita non è gradita, diventa tranquillamente eliminabile, come un qualsiasi rifiuto.

Il tutto, ovviamente, andando contro una legge dello Stato. Ah no, non si può dire così. Bisogna essere più politically correct: l'eugenetica viene introdotta in Italia "interpretando" una legge dello Stato. E naturalmente non si può nemmeno dire che è per lo meno curioso che una legge nata per evitare le derive eugenetiche sia così "interpretabile" da farle dire esattamente il contrario.

A questo punto, come ha chiesto il sottosegretario Roccella, forse sarebbe il caso di scoprire le carte. Dicano, questi signori, che stanno introducendo l'eugenetica. Dicano che vogliono che il debole soccomba sempre e comunque contro il più forte. Dicano che vogliono "eliminare" le malattie eliminando i malati.

E' così che muore la democrazia. Tra gli scroscianti applausi di chi non capisce che ridurre al rango di rifiuti uomini troppo piccoli e deboli per potersi difendere è solo il primo passo verso la negazione della dignità umana di qualunque soggetto debole o diverso.

FT