domenica 16 agosto 2009

MA NON CHIAMATELA FARMACO

La kill-pill RU-486 comuncerà a girare (anche) tra gli ospedali italiani. Certamente in un paese in cui c'è un aborto ogni 4-5 nascite non se ne sentiva esattamente il bisogno, e c'è da sperare che l'illuminata agenzia del farmaco non si accorga dell'errore fatto solo quando comincerà a morire qualcuno.

Il Ministro Sacconi vuol vederci chiaro, e fa bene. Perchè è vero che le disposizioni sull'utilizzo della pillola diranno che bisogna passare in ospedale tutto il tempo che intercorre tra l'assunzione della prima dose di veleno e l'espulsione dell'embrione, ma è altrettanto vero che chiunque, se lo vuole, può lasciare l'ospedale. Anche 5 minuti dopo un'operazione a cuore aperto (ammesso che sia in grado di firmare), quindi figurarsi 5 minuti dopo aver assunto quella che, per la mentalità collettiva, non sarà la kill-pill ma semplicemente un anti-concezionale di super-emergenza.

Perchè mai qualcuno dovrebbe sentorsi obbligato a passare tre giorni della sua vita in un ospedale per "una pillolina che tra l'altro è una conquista delle donne"? Il tutto con buona pace di quanti, al tempo dell'approvazione della legge 194/78, sostennero che serviva per evitare che il dramma dell'aborto restasse chiuso nel privato.
E con buona pace della stessa legge 194, ormai stirata oltre ogni logica nella sua parte permissiva e nascosta nella sua parte preventiva.

Al di là di queste piccole considerazioni, c'è un aspetto di tutta questa vicenda che forse è ancora più sconvolgente e che certo rivela la "cultura della morte" sottesa all'introduzione della kill-pill.
Quest'ultima, a detta di molti, sarebbe infatti un farmaco, una medicina.

Peccato che il farmaco sia qualcosa che ha lo scopo di curare una malattia o, almeno, di lenire le conseguenze di quest'ultima. La domanda allora é: se la Ru-486 è un farmaco, quale sarebbe la malattia da curare con le famigerate pillole?

La risposta è semplice e tragica al tempo stesso, così fredda nella sua tagliente banalità. La malattia è la gravidanza.

Quella che prima (cioè per quei millenni intercorsi dall'avvento dell'uomo sulla terra al 1968) era una benedizione perchè portava una nuova vita. Quella che poi è diventata argomento di "scelta" (come se si potesse scegliere su una vita che già c'è...), ora è addirittura "malattia".

E' una cosa brutta, da evitare e da eliminare a tutti i costi. Quasi un tumore...
E' il buio tetro della morte che raggiunge l'apice della sua oscurità. E' la negazione più totale ed assoluta di qualsisasi valore della vita umana. Quell'esserino che cresce nel ventre della madre non è una benedizione e nemmeno l'oggetto di una possibile scelta (che contemplerebbe, almeno, la possibilità di una scelta in senso positivo), ma solo una malattia da estirpare. Anzi, da "curare" con la Ru-486.

E intanto la popolazione invecchia, abbiamo bisogno degli immigrati ma poi non vogliamo i problemi di integrazione che questi portano, mentre la pensione diventa ogni anno un miraggio più lontano. Soprattutto per noi, "sopravvissuti" alla 194.

Una società che considera la gravidanza una malattia è una società ben avviata sulla via di un inersorabile tramonto. Perchè i figli magari costano e danno problemi, ma nessuno di noi è eterno.

Speriamo solo di capire in tempo che forse è ora di cambiare rotta. Speriamo solo che quando apriremo gli occhi e ci sveglieremo in una società vecchia e senza futuro non sarà ormai troppo tardi.

E per favore, in nome di quel pizzico di dignità che la lingua italiana ancora oggi conserva... non chiamiamo "farmaco" un veleno.

FT

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