giovedì 13 maggio 2010

TEMPO DI RIFORME. E IL DIRITTO ALLA VITA?

Per salvare dall’aborto i bambini non ancora nati occorre riconoscere che sono bambini anche prima della nascita

di Carlo Casini (Presidente MpV Italiano)

D
opo l’episodio dell’abbandono di un bambino abortito a Rossano Calabro, rimasto vivo per molte ore, un amico medico, presidente di un Cav (Centro di aiuto alla vita) ha fatto circolare con la posta elettronica un duro e dolente commento che critica la stampa cattolica e me stesso perché avremmo «stigmatizzato» il fatto senza sottolineare «la barbarie di questa legge che ha legittimato questo aborto».

Poiché tra pochi giorni (22 maggio) ricorrerà il 32° anniversario della L.194 e, come stiamo facendo da trentadue anni, dovremmo porci la domanda «che fare?», vale la pena riflettere sulla contestazione sostanzialmente rivolta dall’amico medico alla linea sin qui seguita dal Movimento per la vita e da gran parte del cosiddetto «mondo cattolico».

L’amico scrive:
Se il bambino fosse morto subito nessuno si sarebbe scandalizzato, e bravi sarebbero stati quei medici «rispettosi» della legge. Ma è sopravvissuto e perciò essi sono da condannare, saranno oggetto di severa ispezione dagli Ispettori dell’on. Roccella, perché non hanno saputo fare un buon «lavoro». Quel bimbo che doveva morire di aborto, è stato invece lasciato agonizzante e bisognava rianimarlo. Non per pietà (lo si voleva morto!), ma per rispettare questa legge che qui mostra l’aspetto più diabolico…[…] Qualche ora prima, nel grembo materno, era considerato carne da macello, ancor più perché (forse) era malato. C’è da impazzire di fronte a questa spaventosa contraddizione: è come se si gridasse allo scandalo se, dopo averla massacrata di botte, un killer abbandonasse una persona agonizzante e anziché condannarlo per questa violenza, se ne deplorasse il mancato soccorso per rianimarla.

Chi è più coerente qui, il killer che omette il soccorso di una persona che voleva uccidere dopo averla ridotta in fin di vita, o chi, come 'Avvenire' non vuole riconoscere che il killer ha ricevuto piena legittimità a fare ciò che ha fatto da una legge dello Stato? Noi non vogliamo rispettare la 194, né applicarla meglio. La vogliamo abrogare!


Non si può nascondere l’orrore della contraddizione evidenziata in questo messaggio, anche se in questo caso una corretta applicazione della legge avrebbe impedito l’aborto, che non doveva essere effettuato in quanto esisteva quella «possibilità di vita autonoma» che, secondo l’art. 7 della legge, consentiva l’Ivg (interruzione volontaria di gravidanza) solo per il pericolo di vita della donna. Ma la contraddizione resta perché quel bambino restava bambino anche se l’aborto fosse intervenuto qualche settimana prima. Tuttavia è ingiusto sospettare di rassegnazione e di conseguente reticenza nel proclamare l’iniquità della legge il sottoscritto e 'Avvenire'. I fatti e la storia parlano da soli. Piuttosto bisogna riflettere sulla strategia da seguire affinché la «non rassegnazione» possa davvero esplicarsi in modo efficace.


Realismo, per non rassegnarsi


Il grido «noi non vogliamo rispettare la legge, né applicarla meglio. Noi la vogliamo abrogare» esprime davvero l’obiettivo ultimo?

Oppure lo scopo che giustifica l’impegno incessante dei
pro Life è quello di salvare la vita dei bambini a qualsiasi costo, in qualsiasi circostanza, nonostante le più grandi difficoltà? Se per salvare la vita io debbo denunciare le violazioni della legge, io lo farò. Se immagino possibile una interpretazione della legge secondo uno spirito meno perverso di quello che fino ad ora ne ha determinato l’attuazione, io cercherò di imporre una tale diversa interpretazione.

Prima della recente riforma voluta da Zapatero, in Spagna e Polonia le leggi erano pressoché identiche, ma in Polonia gli aborti non superavano mai le mille unità all’anno mentre in Spagna galoppano oltre i 100.000. Perché?

Una diversa interpretazione della norma. Naturalmente non collaboreremo mai, in alcun modo, alla uccisione dei bambini. Perciò difenderemo l’obiezione di coscienza con tutte le nostre forze.

So benissimo che la legge, in non piccola misura anche a causa della sua ulteriormente perversa
attuazione, produce aborti. Per questo il 22 maggio dimostreremo, ancora una volta, che se gli aborti sono diminuiti, come sostengono i difensori della legge, ciò è accaduto non per «causa» della legge, ma «nonostante» la legge per merito di quanti si oppongono alla legge. Di più: da uomo di legge e diritto quale sono, avverto profondamente il bruciore della ferita. Come si fa a considerare la dottrina dei diritti umani «come il fondamento moderno della giustizia e poi permettere l’uccisione dei più piccoli e poveri tra gli uomini» fino a tentare di includere un preteso diritto di aborto nel catalogo dei diritti umani fondamentali? E ancora: capisco la logica di appellarsi alla L. 194 per contrastare la Ru486, ma da qui a qualificare come «giusta» la legge ce ne corre. Nella mente della gente il giudizio sulla legge si traduce facilmente in giudizio sul fatto disciplinato dalla legge. Quante volte ci siamo sentiti replicare: «che stiamo a discutere? Se la legge lo permette significa che lo possiamo fare!». Così il giudizio legale diviene giudizio etico e viene distrutto l’ultimo baluardo della vita: la coscienza. Perciò è doveroso ricordare sempre l’ingiustizia della legge. Ma chi vuole difendere davvero la vita, chi non si rassegna, non si contenta dei gridi di protesta. Vuole davvero cambiare le cose. Cerca di guadagnare terreno con le unghie e con i denti. Se non può immediatamente raggiungere l’obiettivo finale, non si sente sconfitto se intanto ha potuto salire solo un gradino della scala. Per non essere inutile velleitarismo la non rassegnazione deve essere impregnata di realismo. Deve chiedersi: che cosa è possibile realisticamente fare?

Tra l’altro chi chiede
sic et sempliciter l’abrogazione non vuole certamente l’eliminazione di qualsiasi legge regolatrice: nel vuoto l’aborto diventerebbe lecito sempre, ben oltre i limiti della 194.

Né sembra pensabile un ritorno al codice penale del 1931. Perciò chi vuole l’«abrogazione» deve pensare ad una «sostituzione» e deve perciò formulare la normativa desiderabile. Rispondo così anche a talune istanze di ricorrere nuovamente ad un referendum abrogativo che sento ripetere qua e là.


Punti di partenza per la riforma


Realisticamente a me pare di constatare due elementi positivi su cui è possibile far leva per cambiare le cose: la indiscussa proclamazione a livello teorico dei diritti umani, come parola d’ordine della modernità e il sentimento cresciuto della «preferenza per la
». Il primo dato è fortemente contraddetto dall’aborto legale.

Vedo però una salutare inquietudine quando la questione è posta non in termini di divieti o di morale, ma di uguaglianza, dignità umana, titolarità dei diritti umani.

Perciò, per quanto difficile e forse lunga sia la battaglia, credo nella possibilità di riuscire a scrivere all’ingresso dell’ordinamento giuridico italiano, nell’art. 1 del Codice Civile, che tutti, proprio tutti, fin dal concepimento sono riconosciuti come dotati di soggettività giuridica. La possibilità di un tale risultato è già dimostrata dall’art. 1 della L. 40/2004 sulla procreazione artificiale. La prospettata riforma, anche senza cambiare niente altro, influirebbe sulla interpretazione della L. 194 (eliminando la equivocità del suo art. 1), impedirebbe l’ultimo degrado delle coscienze, eserciterebbe un ruolo positivo anche a livello internazionale.

Il secondo dato – la preferenza per la nascita – in prevalenza non ha una motivazione forte. Il sentimento è suscitato sia dall’apprezzamento della non più ignorabile lodevole utilità dei Cav, sia soprattutto, della coerente consapevolezza del danno economico provocato dal crollo delle nascite. La paura della «bomba demografica» è divenuta paura dell’«inverno demografico».

Si aggiunge che qualsiasi persona di buon senso non può non avvertire lo stridore tra le centinaia di migliaia di bambini abortiti ogni anno in Italia e le decine di migliaia di coppie che non trovano bambini da adottare. Sembra perciò possibile trasformare la logica dei primi articoli della L. 194 intendendo l’intervento consultoriale e più in generale quello «colloquiale», non come uno strumento per constatare l’autodeterminazione della donna, ma come il mezzo per tutelare la vita del figlio non contro ma insieme alla madre. Anche a questo riguardo qualcosa si può fare sia sul piano legislativo sia su quello amministrativo. È giunto il momento di adempiere agli impegni assunti verso gli elettori dai governanti e dai parlamentari nelle elezioni politiche del 2008 e dai governanti regionali e dai consiglieri regionali nelle elezioni del marzo scorso.

Queste riflessioni hanno strutturato gli eventi che il Mpv, in collaborazione con il Forum per le Famiglie e Scienza e Vita, ha programmato per l’imminente 32° anniversario della L. 194.

fonte: www.avvenire.it

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