IL CASO/ Ecco perché il Belgio massone fa la guerra alla Chiesa
Gianfranco Amato
venerdì 2 luglio 2010
24 giugno 2010, una data destinata a lasciare il segno nei travagliati rapporti tra la Santa Sede ed il Regno del Belgio. Quel giorno, mentre è in corso una riunione della locale Conferenza Episcopale, una trentina di poliziotti fanno irruzione nell’Arcivescovado di Malines-Bruxelles in pieno stile sovietico. I Vescovi presenti vengono trattenuti per nove ore in stato di fermo, previa perquisizione e sequestro dei rispettivi telefoni cellulari. L’intento del blitz, disposto su ordine della magistratura, è quello di rivenire documenti ritenuti utili ai fini di un’indagine su casi di pedofilia. Vengono sequestrati tutti i 475 dossier oggetto di esame da parte di una Commissione indipendente nominata dalla curia. Sarebbe stato sufficiente chiederne l’acquisizione senza il plateale coup de theatre, ma evidentemente i magistrati hanno preferito la ribalta dei riflettori al buon senso.
Giudici e poliziotti, in realtà, puntavano in alto, cercando prove del coinvolgimento diretto di Sua Eminenza il Cardinal Godfried Danneels, la cui abitazione personale non è stata risparmiata dall’onta della perquisizione. Persino il computer del Cardinale è stato sequestrato e messo a disposizione della magistratura. L’ossessione spasmodica di rinvenire presunti dossier segreti ha portato i poliziotti a compiere persino un atto sacrilego. Armati di martelli pneumatici, sono scesi nella cripta della cattedrale di Saint Rombout a Mechelen, ed hanno aperto le tombe dei cardinali Jozef-Ernest Van Roey e Léon-Joseph Suenens, defunti Arcivescovi di Malines-Bruxelles.
La furia giacobina è rimasta però delusa, e la violazione dei sepolcri si è rivelata un’inutile profanazione, perché ciò che è stato rinvenuto nelle tombe divelte ha rivelato la stessa consistenza delle suggestive teorie di Dan Brown: un nulla assoluto. Resta la profonda amarezza di uno spregio che non ha precedenti né durante il regime comunista sovietico, né durante quello nazista. Qualcosa del genere si può forse rinvenire negli efferati episodi anticristiani della guerra civile spagnola. Non proprio un bel precedente per il “cattolico” Belgio.
Che qualcosa di strano stesse accadendo in quel Paese, l’avevo intuito quando il 3 aprile 2009 il Parlamento belga aveva formalmente approvato una «condanna delle dichiarazioni inaccettabili del Papa in occasione del suo viaggio in Africa», superando, quanto ad anticlericalismo, la Spagna zapaterista e la laicissima Francia. Certo il Belgio non poteva, ora, farsi sfuggire l’occasione della crociata antipedofila lanciata contro la Santa Sede, per sferrare un attacco frontale alle istituzioni cattoliche. Il motivo di questo fanatico accanimento ha una chiave di lettura alquanto semplice. In Belgio esiste la più anticlericale e laicista delle massonerie del mondo.
Essere massoni in quel Paese, tra l’altro, è requisito essenziale per accedere e far carriera in magistratura ed in tutte le più alte cariche dello Stato. Da più di centocinquant’anni l’opinione pubblica belga è condizionata dalla pressione ideologica del “libero pensiero”, soprattutto attraverso l’educazione. Due sono i centri di cultura che formano la classe dirigente: l’Université Libre di Bruxelles e la fiamminga Vrije Universiteit Brussel. Entrambe “libere” come il pensiero che lì si insegna.
Ricordo di aver letto di un dossier realizzato da Derk Jan Eppink e pubblicato il 19 agosto 1999 dall’autorevole quotidiano di lingua fiamminga De Standaard, da cui emergeva che tre quarti dei ministri liberali e socialisti del governo federale dell’epoca erano membri di una loggia. I socialisti, circa 10.000 “fratelli”, erano affiliati prevalentemente al Grande Oriente, mentre i liberali, circa 4.000 frammassoni, facevano parte della Gran Loggia.
Liberi muratori erano anche belgi del calibro di Karel Van Miert, ex commissario europeo alla Concorrenza e Willy Claes, già segretario generale della NATO. Quanto è accaduto lo scorso 24 giugno, in realtà, non mi ha meravigliato più di tanto, se non per i metodi stalinisti usati in quell’occasione e per la barbara profanazione di tombe. Non bisogna dimenticare, infatti, l’offensiva anticlericale che il potere massonico belga scatenò nel 1997 contro le associazioni religiose. Fu addirittura istituita, allora, una commissione parlamentare d’inchiesta, presieduta dal deputato socialista Serge Moureaux, per la lotta alle «pratiques illegale des sectes et le danger qu’elles représentent pour la société et pour les personnes, particulièrement les mineurs d’âge».
Il 28 aprile 1997 la commissione depositò il famigerato “rapporto anti sette”, il quale conteneva una lista di 189 «sectes dangereuses», nella quale venivano affiancati a movimenti dichiaratamente satanici, anche associazioni cattoliche quali l’Opus Dei e la Comunità di Sant’Egidio, considerate, appunto, sette pericolose. Tutto finì, poi, in una bolla di sapone, ma l’episodio costituì un sintomatico indizio del clima culturale. Laicismo ideologico ed anticlericalismo viscerale costituiscono il milieu della massoneria belga, al punto che essa ha ritenuto di mantenere rapporti internazionali quasi esclusivamente con il laicissimo Grande Oriente di Francia.
Non è un caso, ad esempio, che la “comunione” con le massonerie anglosassoni si sia rotta proprio perché queste ultime (che mantengono, invece, un buon rapporto con le chiese protestanti) hanno contestato ai “fratelli” belgi un anticlericalismo esasperato ed eccessivo. Da questo quadro complessivo della situazione è forse possibile trarre qualche elemento di valutazione in più rispetto a quanto è successo all’Arcivescovado di Malines-Bruxelles dalle 10.30 alle 19.30 del 24 giugno 2010.
FONTE: www.ilsussidiario.net
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