venerdì 13 febbraio 2009

DIGNITA' DELLA VITA O VITA DEGNA?

“Con Eluana io avevo fatto un patto e l’ho rispettato. Ho rispettato e onorato la parola che avevo dato a mia figlia”. Così ha ribadito ancora una volta in questi giorni il signor Beppino Englaro, il padre di Eluana. Un incredibile patto di morte, senza testimoni, senza firme, un patto di sangue e onore, come nelle più cupe tragedie pagane. Un patto faustiano tra un’adolescente che, forse, si lascia sfuggire qualche battuta sull’inopportunità di vivere da invalidi, e un padre pronto a cogliere in quelle frasi di diciassettenne una volontà testamentaria.

La sentenza quindi si è basata su presunte e non verificabili affermazioni fatte da Eluana 17 anni fa: provate voi ad andare dal notaio dicendo che un parente un giorno vi aveva promesso in eredità ad esempio un immobile…Sembra tutto assurdo, eppure è proprio a causa di questo “patto segreto” che Eluana è morta, per fame e sete. Una situazione in cui si fa passare per morte “naturale” la morte per sete e per mancanza di nutrimento, che è tutto fuorché “naturale”.

Anzitutto è necessario fare chiarezza sulla situazione di Eluana, spesso riportata dai media in maniera errata: la ragazza ha trascorsa 17 anni in stato vegetativo per una ce­rebropatia grave causata da un in­cidente stradale, sottoposta ad alimentazione e idratazione (nei primi due anni di coma riusciva a deglutire frullati o yogurt poi invece deglutiva solo saliva, perciò era necessario un sondino naso gastrico per essere alimentata), la ragazza non era attaccata a nessuna spina, respirava autonomamente, si svegliava ogni mattina e seguiva il ciclo della giornata, la sera si addormentava, alcune sue funzioni organiche tipicamente femminili erano riprese da circa un anno e mezzo. Potremmo oggettivamente dire che Eluana si trovava in una situazione di estrema disabilità.

Alcuni sostengono che alimentazione e idra­tazione siano atti tera­peutici. Non è così. In Francia e Germania sono un atto dovuto per legge. In Italia la legge la sta facendo il Tribuna­le di Milano e non il Parlamento e contrasta con quanto deciso dalla Commissione nazionale di Bioetica. Dovrebbe essere la vita, e non la morte, l’orizzonte nel quale si dovrebbe collocare il diritto; Eluana era come un neo­nato: se gli togli il latte muore perché non è in grado di ali­mentarsi da so­lo. Come si può dire che la nutrizione è un atto di cura?

C'è chi crede che la battaglia per Eluana sia circoscritta al caso Eluana, che si apra e si chiuda con il suo caso, o casi analoghi, e basta. In verità a chi solo minimamente osservi il panorama culturale pro eutanasia in Italia e nel mondo, non sfugge come le cose non stiano così.
Quanti malati gravi può riguardare? E se vale per Eluana perché non per i circa 2500 pazienti in stato vegetativo presenti in Italia? E se vale per chi è in coma perché non per un disabile psichico, incapace di intendere e di volere? Chi stabilisce qual è la vita che vale la pena di essere vissuta e quale invece può essere interrotta? Un giudice? E in base a quali codici?

Lo Stato deve limitarsi a riconoscere la Vita in quanto tale, non può e non deve misurare la dignità della vita come se ci fossero dei livelli di vita "diversi". E' la Vita che fonda la dignità e non il contrario.

Giovanni Pevarello

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