La notizia dell’approvazione della risoluzione ONU per una moratoria internazionale sulla pena di morte non può che essere accolta positivamente.
Certo, la risoluzione dell’Assemblea Generale non è vincolante, e Cina e Iran l’hanno ribadito proseguendo nei loro omicidi di Stato, ma almeno è stato fatto un passo in avanti importantissimo.
Finalmente, a livello di ONU, si è affermato che la vita umana è un bene indisponibile.
Solo su queste basi, infatti, ha senso la condanna alla pena di morte.
Se non si afferma che anche quando i consociati si uniscono dando luogo a quel particolare patto che è lo Stato le persone conservano il loro inalienabile diritto alla vita, che tale diritto non può essere delegato allo Stato e che lo Stato non può appropriarsene nemmeno per garantire la giustizia e la sicurezza dei cittadini, la pena di morte è semplicemente l’extrema ratio del processo giuridico, la condanna ultima quando lo Stato ritiene ingiusto o troppo pericoloso lasciare in vita un essere umano.
Se la vita umana non fosse un bene così prezioso, che senso avrebbe tutta questa mobilitazione per salvare qualche condannato?
Se la vita dell’uomo non fosse inalienabile, perché lo Stato non dovrebbe potersene appropriare in alcune situazioni?
La pena di morte può essere considerata un abominio contro l’uomo solo se si riconosce all’uomo una dignità che non viene dalla legge positiva, ma da una legge naturale di cui la legge positiva deve (o dovrebbe) prendere atto. Se il solo criterio per stabilire la giustezza di una norma fosse il diritto positivo, allora le condanne a morte cinesi non sarebbero deprecabili, perché esprimerebbero semplicemente il diritto cinese a darsi una legge conforme alla volontà del potere legislativo. Se il solo diritto fosse quello positivo, la Repubblica Italiana non potrebbe “riconoscere e garantire i diritti inviolabili dell’uomo”, ma si limiterebbe a garantire quei diritti ritenuti tali da chi governa in un dato tempo storico.
La risoluzione ONU invece afferma qualcosa di diverso: chiedendo di sospendere le condanne a morte si chiede agli Stati di non guardare solo al diritto scritto nelle leggi ma anche e soprattutto alla dignità infinita insita in ogni essere umano per il semplice fatto di essere tale.
La moratoria, pur con tutti i suoi limiti, è una vittoria della vita, ma è una vittoria a metà (o forse meno). Se è ingiusto che lo Stato, con le sue leggi, decida di uccidere un colpevole, indipendentemente dalla gravità della colpa di cui si è macchiato, è ancora più ingiusto che lo Stato, con le sue leggi, decida di uccidere mgiliaia di innocenti, troppo piccoli e deboli per far valere i loro diritti.
Dal 1920, anno dell’approvazione della prima legge abortista in Unione Sovietica (copiata 13 anni dopo dalla Germania hitleriana), al 2007 sono stati eliminati con l’aborto circa un miliardo di esseri umani. Solo in Italia, dal 1978 ad oggi si sfiorano i cinque milioni. Nel mondo sono quarantacinque milioni i morti per aborto ogni anno. Milioni di esseri umani (perché ormai è scientificamente chiaro che siano tali!), milioni di vite prenatali schiacciate ogni anno in nome della libertà, della scelta, della ricerca del figlio perfetto, delle ristrettezze economiche.
Milioni di vittime fatte, dispiace dirlo, con la benedizione di organizzazione strettamente collegate all’ONU.
Perché un colpevole ha diritto a vivere e un innocente può essere ucciso?
Perché in Italia si attaccano duramente le cinquemila condanne a morte eseguite ogni anno dalla Cina e si dice che funzionano bene le centotrentamila condanne eseguite, nello stesso periodo di tempo, nel nome della legge 194?
Perché, leggendo le dichiarazioni delle Nazioni Unite (e del Partito Radicale), sembra che le vite da proteggere siano solo quelle dei colpevoli e mai quelle degli innocenti?
C’è una logica strana in chi si batte per il diritto all’aborto in ogni caso e al contempo contro la pena di morte: con una mano si vuole rendere più libera la soppressione di una vita, con l’altra si vuole evitare che un assassino sia condannato alla massima pena possibile.
E’ certamente giusto prendere ciò che nella risoluzione c’è di positivo: si è stabilito un principio importante, si salveranno (speriamo) delle vite umane, e soprattutto si è visto che con tenacia si possono portare al successo mozioni più volte fermate dall’Assemblea.
E’ da questi punti che dobbiamo partire, ed anche dalla giusta soddisfazione del Governo italiano, che ha ricoperto un ruolo innegabilmente importante.
Ma queste sono solo le basi di un possibile discorso comune che deve continuare, altrimenti la vittoria sulla pena di morte sarà un successo che è eufemistico definire mutilato.
Ora che il primo piccolo passo in difesa del diritto alla vita presso le Nazioni Unite è stato compiuto, il nostro Governo dovrebbe adoperarsi allo stesso modo e con la stessa energia per una moratoria universale sugli aborti. Perché se uccidere è sempre sbagliato, uccidere un innocente lo è ancora di più.
Ancora una volta si tratta di una battaglia laica, di una possibile conquista di civiltà in cui il nostro paese potrebbe avere un ruolo importante. E non a caso, la proposta della moratoria sugli aborti viene da un non credente come Giuliano Ferrara.
Chi è a favore della vita si è già detto pronto a fare la sua parte, come avviene ormai da decenni. Ma è ora che anche i governi si diano una mossa, magari spinti dall’azione dei cittadini che, squarciato il velo di ipocrisia che circonda l’aborto, si rendano conto che la vita è sempre un valore, dal concepimento fino alla morte naturale. E che certi valori devono essere difesi.
Federico Trombetta
Certo, la risoluzione dell’Assemblea Generale non è vincolante, e Cina e Iran l’hanno ribadito proseguendo nei loro omicidi di Stato, ma almeno è stato fatto un passo in avanti importantissimo.
Finalmente, a livello di ONU, si è affermato che la vita umana è un bene indisponibile.
Solo su queste basi, infatti, ha senso la condanna alla pena di morte.
Se non si afferma che anche quando i consociati si uniscono dando luogo a quel particolare patto che è lo Stato le persone conservano il loro inalienabile diritto alla vita, che tale diritto non può essere delegato allo Stato e che lo Stato non può appropriarsene nemmeno per garantire la giustizia e la sicurezza dei cittadini, la pena di morte è semplicemente l’extrema ratio del processo giuridico, la condanna ultima quando lo Stato ritiene ingiusto o troppo pericoloso lasciare in vita un essere umano.
Se la vita umana non fosse un bene così prezioso, che senso avrebbe tutta questa mobilitazione per salvare qualche condannato?
Se la vita dell’uomo non fosse inalienabile, perché lo Stato non dovrebbe potersene appropriare in alcune situazioni?
La pena di morte può essere considerata un abominio contro l’uomo solo se si riconosce all’uomo una dignità che non viene dalla legge positiva, ma da una legge naturale di cui la legge positiva deve (o dovrebbe) prendere atto. Se il solo criterio per stabilire la giustezza di una norma fosse il diritto positivo, allora le condanne a morte cinesi non sarebbero deprecabili, perché esprimerebbero semplicemente il diritto cinese a darsi una legge conforme alla volontà del potere legislativo. Se il solo diritto fosse quello positivo, la Repubblica Italiana non potrebbe “riconoscere e garantire i diritti inviolabili dell’uomo”, ma si limiterebbe a garantire quei diritti ritenuti tali da chi governa in un dato tempo storico.
La risoluzione ONU invece afferma qualcosa di diverso: chiedendo di sospendere le condanne a morte si chiede agli Stati di non guardare solo al diritto scritto nelle leggi ma anche e soprattutto alla dignità infinita insita in ogni essere umano per il semplice fatto di essere tale.
La moratoria, pur con tutti i suoi limiti, è una vittoria della vita, ma è una vittoria a metà (o forse meno). Se è ingiusto che lo Stato, con le sue leggi, decida di uccidere un colpevole, indipendentemente dalla gravità della colpa di cui si è macchiato, è ancora più ingiusto che lo Stato, con le sue leggi, decida di uccidere mgiliaia di innocenti, troppo piccoli e deboli per far valere i loro diritti.
Dal 1920, anno dell’approvazione della prima legge abortista in Unione Sovietica (copiata 13 anni dopo dalla Germania hitleriana), al 2007 sono stati eliminati con l’aborto circa un miliardo di esseri umani. Solo in Italia, dal 1978 ad oggi si sfiorano i cinque milioni. Nel mondo sono quarantacinque milioni i morti per aborto ogni anno. Milioni di esseri umani (perché ormai è scientificamente chiaro che siano tali!), milioni di vite prenatali schiacciate ogni anno in nome della libertà, della scelta, della ricerca del figlio perfetto, delle ristrettezze economiche.
Milioni di vittime fatte, dispiace dirlo, con la benedizione di organizzazione strettamente collegate all’ONU.
Perché un colpevole ha diritto a vivere e un innocente può essere ucciso?
Perché in Italia si attaccano duramente le cinquemila condanne a morte eseguite ogni anno dalla Cina e si dice che funzionano bene le centotrentamila condanne eseguite, nello stesso periodo di tempo, nel nome della legge 194?
Perché, leggendo le dichiarazioni delle Nazioni Unite (e del Partito Radicale), sembra che le vite da proteggere siano solo quelle dei colpevoli e mai quelle degli innocenti?
C’è una logica strana in chi si batte per il diritto all’aborto in ogni caso e al contempo contro la pena di morte: con una mano si vuole rendere più libera la soppressione di una vita, con l’altra si vuole evitare che un assassino sia condannato alla massima pena possibile.
E’ certamente giusto prendere ciò che nella risoluzione c’è di positivo: si è stabilito un principio importante, si salveranno (speriamo) delle vite umane, e soprattutto si è visto che con tenacia si possono portare al successo mozioni più volte fermate dall’Assemblea.
E’ da questi punti che dobbiamo partire, ed anche dalla giusta soddisfazione del Governo italiano, che ha ricoperto un ruolo innegabilmente importante.
Ma queste sono solo le basi di un possibile discorso comune che deve continuare, altrimenti la vittoria sulla pena di morte sarà un successo che è eufemistico definire mutilato.
Ora che il primo piccolo passo in difesa del diritto alla vita presso le Nazioni Unite è stato compiuto, il nostro Governo dovrebbe adoperarsi allo stesso modo e con la stessa energia per una moratoria universale sugli aborti. Perché se uccidere è sempre sbagliato, uccidere un innocente lo è ancora di più.
Ancora una volta si tratta di una battaglia laica, di una possibile conquista di civiltà in cui il nostro paese potrebbe avere un ruolo importante. E non a caso, la proposta della moratoria sugli aborti viene da un non credente come Giuliano Ferrara.
Chi è a favore della vita si è già detto pronto a fare la sua parte, come avviene ormai da decenni. Ma è ora che anche i governi si diano una mossa, magari spinti dall’azione dei cittadini che, squarciato il velo di ipocrisia che circonda l’aborto, si rendano conto che la vita è sempre un valore, dal concepimento fino alla morte naturale. E che certi valori devono essere difesi.
Federico Trombetta
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