lunedì 29 settembre 2008

STACCARE LA SPINA

Il 9 luglio 2008 La Corte d'appello civile di Milano ha autorizzato il padre di Eluana Englaro, in qualità di tutore, ad interrompere il trattamento di idratazione ed alimentazione che da 16 anni tiene in vita la figlia.

Ora sono passati due mesi dalla sentenza. Nessuna struttura sembra disposta ad accogliere la ragazza in coma, e il procuratore generale ha firmato da poco la richiesta di sospensione della Sentenza della Corte d'Appello che autorizzava lo stop al cibo per la Englaro.
In effetti credo che le motivazioni che portato a dissentire da quella decisione siano molte.
Uno dei motivi chiamati in causa per autorizzare l’interruzione dell’idratazione e alimentazione è quello che si riferisce alla volontà della ragazza che stando a diverse testimonianze avrebbe manifestato la volontà di non voler vivere senza essere cosciente e senza avere relazioni con gli altri ecc…di non voler vivere in quello che viene definito appunto “stato vegetativo”. Nella sentenza si cita anche l'"impostazione cattolica" di Eluana, ma si ritiene che non possa contrastare le altre dichiarazioni.

Premetto che comunque non si può sostenere che in ogni situazione il consenso fondi la legittimità di un atto o la sua legalizzazione, bisogna guardare anche il contenuto dell’atto.
Quanto abbiano sopra citato rimanda a quello che si chiama “testamento di vita” che è una carta sottoscritta da una persona, alla presenza di testimoni, con cui si dichiara di non voler essere sottoposti a manovre di rianimazione o tecniche di mantenimento in vita, qualora si sia malato terminale o ci sia la possibilità con tale intervento di cadere in stato vegetativo persistente. Senza entrare in merito alla valutazione di quest’ultimo, il punto è che in Italia il “testamento di vita” non esiste. Per ciò non mi sembra pertinente basarsi su testimonianze che non sono univoche, sono pregresse e soprattutto riportate da altre persone e non rilasciate dalla stessa Eluana per interrompere dei trattamenti che sono ordinari e proporzionati alla situazione clinica della paziente. La corte di appello ha infatti deciso che il caso di Eluana non può definirsi di “accanimento terapeutico”. La rimozione del sondino e lo spegnimento delle macchine farebbero infatti morire Eluana lentamente di fame e di sete. Questa mi sembra la vera crudeltà, non le cure, le attenzioni e gli accadimenti e l’amore che le hanno prestato diverse persone in tutti questi anni in cui Eluana è stata mantenuta in vita.
Perché Eluana è comunque viva.

La Corte d’Appello di Milano nel decreto del 16.12.2006 aveva stabilito che “Eluana non può considerarsi clinicamente morta” e che “in base alla vigente normativa Eluana è viva, posto che la morte si ha con la cessazione irreversibile di tutte le funzioni dell’encefalo”.

Se non lo fosse non si capisce come mai ci sia bisogno di "staccare la spina" per porre fine alle sue sofferenze. Non si può soffrire se non si è vivi e se non si ha la minima percezione e coscienza. E se si afferma che si può soffrire bisogna affermare che oltre alla sofferenza ci possono essere anche altri stati. Altrimenti si cade in contraddizione.

Intanto credo che espressioni come vita puramente biologica e vegetativa siano ambigue quando sono riferite all'uomo. La differenza tra vita biografica e vita biologica non è reale ma concettuale perchè non c'è vita biografica che non sia anche vita biologica e non c'è vita bilogica che non sia anche vita biografica. Affermare l'opposto significherebbe dire che una volta che la persona umana ha perso determinate facoltà non è più una persona umana (stato vegetativo mi sembra infatti un termine più appropriato per le zucchine e i rapanelli che per l'uomo).
La coscienza di sè, l'esercizio delle nostre funzioni vitali e delle nostre facoltà cognitive ...sono sempre e comunque manifestazioni della vita personale.

Qualsiasi discorso che faccia riferimento alla qualità della vita non può negare che il suo presupposto è il riconoscimento della vita stessa. Quando si parla della vita si deve intendere il valore della concreta individualità umana presente, ciò che esiste non è la vita, ma questo e quel vivente. Anche l'autodeterminazione e l'autonomia (chiamati in causa spesso per giustificare l'atto eutanasico) non possono essere considerati diritti primari, perchè non c'è possibilità di autodeterminazione e autonomia laddove non c'è possibilità di continuare ad esistere. E non è necessario ricorrere alla categoria della sacralità della vita umana per sostenere che il venire al mondo postula, nei confronti della società, il diritto alla tutela dell'esistenza, in qualsiasi condizione e fase della vita. Per questo la possibilità del tutore di decidere della vita e della morte della persona che gli è affidata risulta dubbia. Questo infatti dovrebbe agire nei migliori interessi della persona che gli è affidata e fare ciò che è meglio per quest’ultima. Ora in questo caso, la decisione di fare morire Eluana di fame o di sete rientra tra ciò che è bene fare per lei. La morte non potrà mai essere un bene o un diritto, è anzi sempre un evento negativo se non altro perché pone fine a qualsiasi possibile realizzazione di valori e beni. La società non può mettere a disposizione dei suoi cittadini la morte come un bene perché non lo sarà mai, è anzi l’esclusione dalla società. Una comunità civile e democratica dovrebbe tutelare invece i suoi cittadini e il valore della loro vita, che non è un bene disponibile ed è poi il fondamento di qualsiasi altro diritto. Per quanto riguarda la dignità della persona umana, questa non è qualcosa che si può perdere o acquisire, ma è intrinseca nella natura dell’uomo e affermare che in determinate situazioni o in determinate condizioni, la vita di una persona non è più degna di essere vissuta mi sembra alquanto discriminatorio.

In realtà credo sia proprio il concetto di persona umana ad essere messo in discussione. Non è più l’appartenenza al “genere umano” che fa di noi delle persone ma determinate caratteristiche e qualità, quali per esempio la libertà e l’autocoscienza, qualità che non tutti possiedono e comunque nessuno possiede in tutte le fasi della vita (si pensi allo stadio embrionale o anche neonatale o a quelli senili). Si capisce come questa dissociazione tra la nozione di persona e quella di essere umano crei non poche conseguenze sia dal punto di vista sociale, morale, politico e anche medico. Affermare che un anziano con l’alzeimer, un malato di mente, o un essere umano in stato vegetativo non sono persone significa privarli di determinati diritti e nello stesso tempo sollevare la società e il resto delle persone da determinati doveri verso questi ultimi.

Simona Calzavara

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