mercoledì 10 novembre 2010

SPOT RADICALE PRO-EUTANASIA IN ARRIVO

Prepariamoci. Perché tra poco, su una serie di importanti emittenti locali lombarde, passerà uno spot pro-eutanasia. Prodotto in Australia dove però è stato subito censurato, è stato prontamente tradotto e importato dai radicali italiani, che ora ne pagheranno la diffusione. Salvo, ovviamente, l’eventuale stop del garante.


Nel video un attore, impersonando un malato, spiega che ha fatto la sua “scelta finale” e chiede che il governo lo “ascolti”. Poi, con la tattica ormai usuale del caso pietoso + sondaggi favorevoli = fate la legge che vogliamo noi, subito ci spiegano che “il 67% degli italiani è favorevole alla legalizzazione dell’eutanasia”.

Nulla di nuovo sotto il sole, in realtà. Nel senso che anche, tanto per fare un esempio, già ai tempi della legge 40 ci spiegavano che percentuali bulgare di italiani erano favorevoli alle istanze radicali. Peccato che, quando poi c’è stato da concretizzare il tutto, le cifre sbandierate non hanno trovato alcuna corrispondenza nella realtà dei fatti.

Tutto tranquillo dunque? Non proprio. Perché la negatività dello spot non è da sottovalutare. Guardiamo alla concretezza del messaggio e a ciò che è scritto (meglio: detto) tra le righe: il malato è solo, non è attaccato ad alcuna macchina e con una donna che resta sempre alle sue spalle, senza mai parlare. Quella che vogliono far passare è l’idea che la malattia sia una questione solo e soltanto del malato. Che – solo – può decidere che non ce la fa più e porre fine alla sua vita. E questo vale per tutti i malati, sembra dirci lo spot, non solo per i “casi limite” che vivono solo grazie all’aiuto di speciali macchinari. Tutti, a un certo punto, devono poter decidere di farla finita. E lo Stato, semplice strumento del volere di alcuni, deve anche garantire questo loro presunto diritto. Il che, ovviamente, implicherebbe il “dovere” per lo Stato di ammazzare un suo cittadino.

Agghiacciante? Non è finita qui. Perché c’è una donna che, come detto, resta ferma e zitta alle spalle del malato. Lontana da lui perché, appunto, secondo lo spot la malattia e la cura sono cose solitarie. In quella donna ferma e zitta è contenuto il messaggio (subliminare ma non troppo) che daremmo ai malati se legalizzassimo l’eutanasia. “Voi siete un peso – diremmo loro – sia per i vostri cari che per la società. Siete un costo non più produttivo, siete inutili, è meglio se vi levate di torno. Fareste un favore a voi stessi e anche agli altri”.

La spirale che si innescherebbe (e che in alcuni paesi si è già innescata) è tremenda, perché finirebbe per fiaccare anche la voglia di quelli che chiedono di lottare. Che verrebbero sempre, costantemente e continuamente, messi di fronte alla seguente scelta: “Io, Stato, ti do gli strumenti per levarti di torno senza dare troppi problemi. Sei veramente sicuro di voler continuare ad essere un peso per i tuoi cari e una spesa per le mie casse?”.

Come ricordano sempre l’oncologa Sylvie Menard e il dottor Mario Melazzini, le richieste di eutanasia dei malati sono sempre, in realtà, richieste di aiuto. E quello che è necessario fare, per rispondere al grido di dolore di queste persone, non è certo abbandonarle a loro stesse. Il modo in cui una società giusta deve rispondere a chi è debole, in difficoltà, e chiede aiuto è prendersi cura di loro. Nel vero senso della parola.

Prendersi cura di un malato non significa solo dargli il farmaco giusto, scegliere la terapia migliore e parcheggiarlo nel reparto corretto. Questa, come spiega spesso Mario Melazzini, è solo una parte. Prendersi cura del malato significa vederlo come una persona e non come una patologia ambulante. Significa rincuorarlo quando è scoraggiato, stargli vicino quando è solo, capire le sue esigenze profonde e far sì che veda nel medico non il mero esecutore di alcune tecniche (come invece vorrebbe Veronesi) ma anzitutto un volto sorridente e una mano che sostiene. Sempre.

E prendersi cura veramente non è solo una cosa “da medici”. E’, prima di tutto e principalmente, una cosa da uomini, da “animali sociali” che non dimenticano il loro essere relazionali e che danno una mano al loro simile in difficoltà. Loro chiedono l’eutanasia? E noi rispondiamo prendendoci cura veramente di ogni malato.

Un ultimo dettaglio strategico, che forse stona con il resto dell’articolo ma che è opportuno dire. Stiamo attenti! Ignazio Marino si è già espresso contro lo spot perché dice che lede alla battaglia per il testamento biologico. Ecco, qui casca l’asino. Vogliono farci credere (ancora una volta, come hanno fatto con la legge 40 e con la legge 194) che, proprio per rifiutare le richieste radicali di eutanasia a tutto tondo bisogna accettare un “compromesso”. Per esempio, come di fatto vorrebbe Marino, eutanasia solo in certi casi. Stiamo attenti a non cadere nella loro trappola, perché ancora una volta ad essere in ballo è la vita delle persone.

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