sabato 4 dicembre 2010

DICONO LIBERTA' MA E' SOLO ARBITRIO

di Michele Aramini, bioeticista


Paolo Flores d’Arcais in un recente intervento online argomenta in difesa della scelta del­la coppia Fazio-Savia­no di non concedere ai rappresentanti dei familia­ri di malati con grandi disabilità uno spazio per affermare le loro ragioni. L’argomento che usa per difendere la scelta di Fa­zio è il seguente: sono due diritti diversi. Mina Welby e Beppino Englaro avrebbero difeso il di­ritto alla libertà di scelta nei confronti della ma­lattia. I familiari dei malati rivendicano un dirit­to di cura che nessuno nega in linea di principio e che ha bisogno di essere sostenuto con aiuti con­creti. Di questo secondo diritto la trasmissione non trattava, quindi era fuori luogo la partecipa­zione di queste persone al dibattito sul diritto al­la libertà di scelta.

Aquesta argomentazione di Flores d’Arcais si può innanzitutto replicare che il diritto dei malati a una cura vera è un fatto così rilevan­te che con un minimo di sensibilità si poteva da­re loro degna rappresentanza mediatica, dato che c’era una pressante richiesta. Evidentemente il duo di conduttori ha ritenuto poco rilevante tutelare questo diritto. O forse l’ha giudicato contropro­ducente rispetto ai propri fini. Perciò Fazio, Sa­viano e i loro autori hanno usato il proprio po­tere mediatico come espressione di una fazione

Pche è già nota per il suo impegno pro-eutanasia. iù importante è mostrare come l’argomenta­zione citata sia fallace nella sostanza. Esiste un rapporto tra i due diritti: quello di morire su propria decisione e quello della cura? Ovviamente si. Ecco dove sta il legame che non viene visto. Il principio di autodeterminazione, per non appa­rire immediatamente assassino, ha bisogno di un concetto alleato che si chiama 'vita senza valore'. Solo se una persona viene dichiarata in condi­zioni di 'vita senza valore' si può procedere alla sua eliminazione, ammantando il gesto di no­biltà, di civiltà e di ogni altra retorica possibile. Questo perché anche l’arbitrio, con il seguito di violenza e di morte che ne segue, vuole apparire fattore di progresso e vera civiltà. Alle apparenze non rinuncia nessuno. Il concetto di vita senza valore ha un aspetto og­gettivo e uno soggettivo. Soggettivamente tutti i giorni possiamo pensare di non valere nulla, ma poi ci passa. Dal punto di vista oggettivo la gran parte delle persone che si trovano in condizione di grande disabilità possono essere classificate co­me vite senza valore.

Ecco il punto. Tutti gli amici che vivono amo­revolmente assistiti dai familiari vengono di­chiarati 'oggetti' e marginalizzati. I loro fa­miliari sono indeboliti nel rivendicare il diritto al­l’assistenza e qualcuno avrà il coraggio di chiamarli 'talebani della vita'. Il laico David Lamb da tem­po ci dice che esiste la concreta possibilità che , in una società in cui venga considerata lecita l’ucci­sione su richiesta, i moribondi e i grandi disabili finiscano in una situazione in cui sono costretti a esprimere il «loro desiderio di morire», come l’a­dempimento di un ultimo desiderio di buona creanza verso i viventi sani.

La connessione tra libera scelta e vita senza va­lore non è una trovata dialettica: è un dato in­controvertibile. Infatti anche il sostenitore più convinto del principio di autonomia non po­trebbe chiedere la morte per una persona sana. Per chiedere la morte si deve necessariamente dire che essa ha perso il suo valore, riducendo la persona al rango di oggetto. Non vedere questo legame tra il diritto alla libertà di scelta e il diritto alla cura è dovuto nel caso mi­gliore a cecità ideologica. Considerare poi la libertà senza alcun limite significa non aver compreso neppure il principio di autonomia che, nel pen­siero originale dell’illuminismo, si presenta non come assoluto ma come fonte di buoni legami tra gli uomini, che sono sempre fini e mai mezzi.

Fonte: http://www.avvenire.it/

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