sabato 4 dicembre 2010

LA TESTIMONIANZA DI CRISAFULLI

MA SE ASCOLTASSIMO I MALATI?

Salvatore Crisafulli ha 38 anni quando l’11 settembre del 2003 è coinvolto in un terribile incidente stradale. Privo di coscienza, Salvatore respira con un tubo infilato nel collo, le sue braccia sono ricostruite in sala operatoria, presenta una pesante frattura alla colonna vertebrale, i gravissimi danni celebrali riportati sono irreparabili.



Medici, esperti e luminari di ogni centro di riabilitazione neurologica italiana e straniera dichiarano che quello di Salvatore è uno stato vegetativo “permanente”, senza alcuna possibilità di ripresa o miglioramento, che non ha speranze di vita e che non durerà più di qualche anno.

Prima dell'incidenteI medici affermano che Salvatore non può capire, non può sentire, non può parlare; se alza la testa, se abbassa le palpebre, se muove gli occhi, se emette versi, si tratta di semplici riflessi involontari, comuni ad ogni povero disgraziato della sua condizione. La sua è totale incoscienza e tale rimarrà per sempre. La prima degenza di Salvatore Crisafulli, quella nella sua regione, al Centro studi Neurolesi di Messina, è un’esperienza disastrosa. Trascurato del tutto, viene trovato sempre defecato addosso e con catarri che fuoriescono dalla cannula della tracheotomia, la testa sempre girata verso sinistra, cosa che gli procura anche una piaga all'orecchio sinistro.

Nonostante le proteste il regime non cambia e quando i suoi familiari decidono di cambiarlo, lavarlo e pulirlo di persona notano che aveva delle piaghe anche sulle spalle. Ma al momento del cambio del pannolone assistono ad una visione orribile e indimenticabile: sul fondo della schiena c’è un’altra spaventosa piaga in stadio così avanzato e trascurato da essersi trasformato in un enorme buco profondo 6 centimetri, da cui fuoriusciva persino l’osso sacrale. Il trasferimento dal centro, con tanto di denuncia, è immediato. Inizia un calvario che durerà per molto tempo.

 La famiglia Crisafulli, per niente benestante, è però in gravi difficoltà economiche: gli sforzi fisici così come le spese che richiede la malattia di Salvatore sono enormi. Ma al peggio non c’è fine e così anche uno dei fratelli di Salvatore è coinvolto in un grave incidente stradale, costretto a rimanere a letto per una lunga fase di convalescenza. I familiari di Salvatore non hanno più possibilità né economiche né fisiche per accudirlo. Vengono lanciati diversi appelli di aiuto su tutti i principali giornali e reti nazionali, alla gente, alle Istituzioni. L’altro fratello di Salvatore, Pietro, minaccia addirittura di portarlo a morire in Belgio con eutanasia se nessuno si muoverà per aiutarlo. Si tratta però solo di una disperata provocazione, l’eutanasia è un’opzione rifiutata fin dal principio dalla famiglia Crisafulli, profondamente cattolica.

L'Italia assiste alla vicenda pietosa e scandalizzata, ma nessuno muoverà mai mano per prestare soccorso. Lasciata sola dal Paese e dalle Istituzioni, la famiglia Crisafulli non è del tutto sola: a scendere in campo al suo fianco è la Chiesa Cattolica. Lo stesso Papa Benedetto XVI richiede di incontrare Salvatore e famiglia in udienza in Vaticano, mentre la fondazione di Don Oreste Benzi, la Comunità Papa Giovanni XIII, si offre per sostenere la famiglia con mezzi economici e strutture. I problemi della famiglia Crisafulli sono terminati. Ma intanto è avvenuto qualcosa di straordinario. In una delle ultimi visite, questa volta ad Arezzo, la diagnosi medica è chiara: Salvatore non è più un vegetale e ha già ripreso coscienza da quasi due anni. Si tratta della Locked-In Sindrome (LIS), gli effetti sono occhio e croce gli stessi della SLA, cioè un ictus che immobilizza il corpo, ma lascia integre le funzioni cognitive. E' lo status di Piergiorgio Welby, l'unica differenza tra i due sta nelle due differenti cause e patologie che li hanno condotti in quella condizione. D’ora in poi Salvatore Crisafulli potrà riprendere a comunicare tramite un sofisticatissimo computer a scansione con lettere da individuare attraverso il movimento del capo e degli occhi, scegliendo il bersaglio giusto. Queste saranno le sue parole:


“Dopo circa sette mesi dal trauma sentivo e capivo tutto, avevo fame e sete, vedevo i miei familiari muoversi intorno al mio letto, volevo richiamare la loro attenzione gridando, ma dalla mia bocca non usciva alcun suono, i medici parlavano di stato vegetativo permanente ed irreversibile. Sentivo i medici dire che i miei movimenti oculari erano solo casuali, che ero del tutto incosciente, che la mia morte era solo questione di tempo, ed iniziavo ad aprire e chiudere gli occhi per attirare l'attenzione di chi mi stava attorno. Vivevo nel terrore. Pian piano incominciava la fase del mio risveglio, che viaggiava su due piani paralleli, quello fisicamente personale, di cui pian piano prendevo coscienza di ciò che mi era accaduto, assaporando lentamente il mio ritorno alla vita, e quello estremo, in cui cerco di convincere a chi mi sta intorno di essere veramente ancora vivo e vegeto, ma mi trovavo impossibilitato, prigioniero nel mio corpo che non mi rispondeva".


Salvatore Crisafulli è riuscito a scrivere anche un libro dal titolo “Con occhi sbarrati”. Come migliaia e migliaia di malati della sua condizione in tutto il mondo, oggi la sua ultima e grande lotta è quella contro l’eutanasia, la grande nemica contro cui ha lanciato il suo anatema:



“Dal mio letto di quasi resuscitato alla vita cerco anch’io di dare un piccolo contributo al dibattito sull’eutanasia.


Il mio è il pensiero semplice di chi ha sperimentato indicibili sofferenze fisiche e psicologiche, di chi è arrivato a sfiorare il baratro oltre la vita ma era ancora vivo, di chi è stato lungamente giudicato dalla scienza di mezza Europa un vegetale senza possibile ritorno tra gli uomini e invece sentiva irresistibile il desiderio di comunicare a tutti la propria voglia di vivere.


Durante quegli interminabili due anni di prigionia nel mio corpo intubato e senza nervi, ero io il muto o eravate voi, uomini troppo sapienti e sani, i sordi? Ringrazio i miei cari che, soli contro tutti, non si sono mai stancati di tenere accesa la fiammella della comunicazione con questo mio corpo martoriato e con questo mio cuore affranto, ma soprattutto con questa mia anima rimasta leggera, intatta e vitale come me la diede Iddio.


Ringrazio chi, anche durante la mia "vita vegetale", mi parlava come uomo, mi confortava come amico, mi amava come figlio, come fratello, come padre. Ma cos’è l’eutanasia, questa morte brutta, terribile, cattiva e innaturale mascherata di bontà e imbellettata col cerone di una falsa bellezza?


Dove sarebbe finita l’umana solidarietà se coloro che mi stavano attorno durante la mia sofferenza avessero tenuto d’occhio solo la spina da sfilare del respiratore meccanico, pronti a cedermi come trofeo di morte, col pretesto che alla mia vita non restava più dignità?


E invece tu, caro Pietro, sfidavi la scienza e la statistica dei grandi numeri e ti svenavi nel girovagare con me in camper per ospedali e ambulatori lontani. E urlavi in TV minacce e improperi contro la generale indifferenza per il mio stato d’abbandono. E mi sussurravi con dolcezza di mamma la ninna-nanna di "Caro fratello mio", per me composta, suonata, cantata e implorata come straziante inno d’amore, ma non d’addio.


Vi ricordate di quel piccolo neonato anencefalico di Torino, fatto nascere per dare inutilmente e anzitempo gli organi e poi morire? Vi ricordate che dalla sua fredda culla d’ospedale un giorno strinse il dito della sua mamma, mentre i medici quasi sprezzanti spacciavano quel gesto affettuoso per un riflesso meccanico, da avvizzita foglia d’insalata?


Ebbene, Mamma, quando mi coprivi di baci e di preghiere, anch’io avrei voluto stringerti quella mano rugosa e tremante, ma non ce la facevo a muovermi né a parlare, mi limitavo a regalarti lacrime anziché suoni. Erano lacrime disprezzate da celebri rianimatori e neurologi, grandi "esperti" di qualità della vita, ma era l’unico modo possibile di balbettare come un neonato il mio più autentico inno all’esistenza avuta in dono da te e da lui.


Sì, la vita, quel dono originale, irripetibile e divino che non basta la legge o un camice bianco a togliercela, addirittura, chissà come, a fin di bene, con empietà travestita di finta dolcezza.

Credetemi, la vita è degna d’essere vissuta sempre, anche da paralizzato, anche da intubato, anche da febbricitante e piagato. Intorno a me, sul mio personale monte Calvario, è sempre riunita la mia piccola chiesa domestica.

Mamma Angela, Marcello, Pietro, Santa, Francesca, Rita, Mariarita, Angela, Antonio, Rosalba, Jonathan, Agatino, Domenico, Marcellino, si trasfigurano ai miei occhi sbarrati nella Madonna, nella Maddalena, nella Veronica, in san Giovanni, nel Cireneo. Mi bastano loro per sentirmi sicuro che nessun centurione pagano oserà mai darmi la cicuta e la morte”.




Salvatore Crisafulli

Fonte: pagina Facebook di Salvatore Crisafulli

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