lunedì 12 febbraio 2007

L’ABORTO RENDE LIBERI?

E’ stata quantomeno curiosa l’uscita del premer portoghese Socrates, chiamato a commentare la vittoria mutilata del sì nel referendum sull’aborto (non è stato infatti raggiunto il quorum). Ha detto che ora si depenalizzerà l’aborto attraverso una legge del parlamento e che in tal modo il Portogallo sarà un “paese più libero”.
Da ciò dovremmo dedurre che il diritto all’aborto, ovvero alla soppressione di un essere umano prima della sua nascita, è una discriminante da considerare nella valutazione del tasso di libertà di un paese. Per tanto l’abotro sarebbe, secondo il premier portoghese e come da tempo chiedono diverse associazioni e lobbies abortiste, un “diritto umano fondamentale”.
Ma come inizia la storia della legalizzazione dell’aborto? Quali furono, in sostanza, i primi paesi “liberi”, i paesi modello cui, seguendo quanto dice Socrates (e purtroppo non solo lui) le legislazioni degli stati moderni dovrebbero ispirarsi per essere veramente “libere”?
Ebbene, il primo paese a legalizzare l’aborto, fulgido esempio di libertà ed apertura mentale, fu l’Unione Sovietica nel 1920. Ecco il modello da seguire, ecco il primo paese “libero” dell’era moderna!
Ma le sorprese non sono finite: il modello di libertà sovietico tardò qualche decennio ad essere esportato, ma finalmente un altro paese uscì dall’oscurantismo illiberale che caratterizzava la sua legislazione: la Germania nazista fu il secondo paese a legalizzare l’aborto. Ecco un altra grande nazione che, emancipandosi da un passato oscurantista che osava difendere il diritto alla vita, si rese finalmente “libera”.
Questi dunque sono gli esempi originari di “libertà” cui il fronte abortista portoghese e quello mondiale si ispirano. Ed in effetti l’aborto rientra appieno negli schemi delle ideologie totalitarie, che possono affermarsi solo negando il diritto alla vita per ogni essere umano e spostando a proprio piacimento l’inizio o la fine (i nazisti furono i primi ad applicare su larga scala l’eutansia) di questo diritto con lo scopo, tacito o dichiarato, di “purificare la società”, come dissero di voler fare i nazionalsocialisti o Kmer rossi della Cambogia.
E’ quantomeno curioso che, mentre la storia insegna che la libertà fu soppressa proprio grazie alla negazione del diritto alla vita, oggi si parli di negazione di questo diritto come fondamento di libertà. Ma oggi gli Stati fanno un rapido calcolo: costa di più dare alle donne incinte un supporto economico e morale (sono le principali cause di aborto) o abbandonarle a loro stesse ammantando questo abbandono come un diritto di libertà? Un numero esorbitante di aborti potrebbe essere evitato (e talvolta, grazie ai Centri di Aiuto alla Vita, viene evitato) grazie alla cultura dell’accoglienza e dell’aiuto alle donne gravide in difficoltà, vittime anch’esse della società nemica della vita che legalizza l’aborto ed abbandona loro e le creature viventi che portano in grembo, mentre si rischiano multe salatissime se si calpestano le uova di alcuni tipi di uccello o di rettile.
Se la “libertà” di cui parla Socrates e per cui gioiscono gli abortisti portoghesi e mondiali è questa, se è lecito anche solo pensare che in nome della “libertà” possano essere uccisi ogni anno nel mondo cinquantaquattro milioni di piccoli esseri umani, se è “libero” l’uomo che, a suo piacimento e con la benedizione della legge, può uccidere un suo fratello, allora come non chiedersi “quando sarà che l’uomo potrà imparare a vivere senza ammazzare”? (lo canta Guccini, non il Papa).
Come non pensare che, in fondo, dire che l’aborto rende liberi è come “il lavoro rende liberi” di tragica memoria? Come non pensare che a quei bambini che “adesso sono nel vento” si aggiungeranno presto quelli delle sale operatorie portoghesi?

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